4. Ricordi

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Gloria abbassò gli occhi sulla mano della detective stretta nella sua. Ricacciò le lacrime che cercavano di uscire copiose. Sentiva stringere la gola e deglutì il magone che tentava di soffocarla. Non ricordava. Continuavano a trattarla come un'adulta, ma lei non lo era.

Chiuse gli occhi e iniziò a pensare da dove partire. Un flashback le attraversò la mente come un fulmine. Cominciò a raccontare piano, confusa e insicura di cosa stesse vedendo nella sua mente. Le labbra screpolate si muovevano da sole; si sentiva spettatrice della propria vita.

«Il parco del mio paese è così bello, ha un laghetto dove nuotano le papere. Ce ne sono tante sai? Alcune sono bianche e altre marroni. Mamma dice che sbaglio: sono oche.

Io non lo so. So solo che quando escono dal laghetto, rincorrono i miei amici che gli lanciano le pietre con quel verso che fa: qua, qua, qua. Mi fa ridere tanto vedere come si difendono quei cattivoni, per poi scappare a gambe levate.

Ci sono tanti giochi e tutti i miei compagni di scuola si riuniscono la domenica mattina, alcuni li vedo rincorrersi, altri vanno sugli scivoli e sulle altalene rosse poste dietro al laghetto. A destra poi c'è un piccolo campetto di Basket, ci può entrare a giocare chiunque e spesso i ragazzi più grandi si sfidano in partite che durano ore.

Vedo, sì, io vedo solo. Perché mamma mi ci porta al parco, ma non mi fa giocare.

Dice che sono troppo grande per poter correre e che mi sporco il vestito. A me non piacciono i vestiti che mi costringe a indossare. Oggi me ne ha fatto mettere uno rosa, come le ballerine e il cerchietto che ho sui capelli.

Non vuole che giochi, perché sono quasi una signorina, e alla mia età è sconveniente farsi vedere tutta sudata e sporca di terriccio. Quindi arriviamo ogni domenica mattina e mentre lei chiacchiera tra una sigaretta e l'altra con le sue amiche io devo leggere un libro.

Uno qualsiasi; ogni settimana me ne dà uno diverso. Questo che ho tra le mani ha una copertina rossa e il titolo è dorato. Si chiama: Cuore. Mamma ha detto che è un libro molto famoso, italiano. Io ho letto un paio di pagine, ed è il diario di un bambino come me, si chiama Enrico e i genitori lo fanno giocare.

Così quando sono al parco, faccio finta di scorrere con le dita quei righi pieni di lettere e nel frattempo sbircio gli altri bimbi. Mamma non se ne accorge, è troppo occupata a fumare sigarette e ridere con le amiche.

Papà ogni volta ci resta male, ci litiga spesso. Le chiama stupide convinzioni da donna di paese. Ma poi per non litigare sgrida me e di nascosto mi dice di fare la brava bambina, perché la mamma ha un caratteraccio, e dobbiamo accontentarla per non sentirla urlare, perché lui è stanco.

Il mio papà fa un lavoro duro, almeno così dice sempre. Lavora in una fabbrica. Lo vedo solo di sera e quando torna non ha voglia di discutere con mamma, né di giocare con me. Il suo posto preferito è la poltrona di fronte alla televisione. Guarda sempre quei programmi dove si parla di politica e delle notizie del giorno. Mamma la sera quando lo vede rientrare mi dice di stare ferma e non fare casino. Allora prendo di nuovo il libro, mi siedo sul divano e aspetto la cena.

A volte litigano e io non capisco come mai. Urlano tanto e rompono le cose. Io non so perché sono sempre arrabbiati, ma resto sul divano e continuo a fare finta di leggere.»

All' improvviso Gloria fermò il suo racconto, la voce che era diventata sicura e forte s'incrinò di nuovo. Anna prese la bottiglia posta sul comodino e versò il liquido trasparente in un bicchiere. Gloria lo guardava pensierosa ma non parlava. Così Summer lanciando uno sguardo preoccupato a Mark, strinse la mano della ragazza e le disse con voce calma:

«Gloria, cosa succede? Se sei stanca possiamo continuare dopo.» In cuor suo sperava andasse avanti. Dovevano sapere al più presto quante più cose possibili, non avevano tanto tempo. Gloria la guardò impaurita. Voleva dirglielo ma aveva paura che quella donna potesse farle del male. Voleva dirle che aveva ricordato: lei non era una bambina di otto anni, ne aveva tredici.

Ma temeva la sua reazione, perché non le era venuto in mente tutto quello che era accaduto. Si guardò intorno terrorizzata, era in una stanza dalle pareti bianche; il letto era in metallo con le lenzuola candide. Un vassoio contenente il suo pasto era posato distrattamente sul tavolino grigio alle spalle della poliziotta che le parlava. Era già stata in Ospedale una volta, perché aveva sbattuto la testa contro uno spigolo e le avevano messo quattro punti. Lo ricordava bene quel giorno, ma allora le dissero di stare zitta con i poliziotti. Ora perché era lì? Cos'era successo? No, forse a quella donna bionda poteva dirglielo. Così sospirò e stringendole forte la mano ricominciò a narrare i ricordi che man mano le affioravano alla mente, la sua voce era incrinata dal dolore, quasi sussurrando disse:

«Era una sera di maggio quando accadde. Ricordo ancora l'odore del pollo che cuoceva nel forno. Non vedevo l'ora di cenare. Il pollo con le patate mi piaceva tanto. L'aria era fresca e il sole ormai stava tramontando. Ero seduta sul divano a leggere un libro che come al solito mamma mi aveva dato. Si chiamava orgoglio e pregiudizio. Era la storia di quattro sorelle, e di una madre che cercava un fidanzato per le figlie. Ricordo che quel libro era l'unico che lessi con piacere, perché l'atmosfera allegra delle sorelle Bennett mi metteva di buon umore. E poi da grande avrei voluto un fidanzato come mr. Darcy. Era così romantico.

Papà era tornato da poco da lavoro, dopo una doccia veloce aveva dichiarato di essere stanco e di voler vedere la partita alla tv, ma lei non glielo permise. Si mise davanti allo schermo con le braccia incrociate, i bigodini che si muovevano a ritmo delle sue urla e minacciavano di uscire dalla retina rosa che li avvolgeva. Sbraitava qualcosa come: in questa casa devo fare tutto io, tu non fai nulla!

Io ridevo per la scena comica, ma mio padre si alzò dalla poltrona in velluto bordeaux, le si avvicinò, e all'improvviso le mollò un ceffone. Il rumore di quello schiaffo risuonò per la stanza, secco e duro come cemento. Li guardai con occhi spalancati. Non erano mai arrivati a tanto, di solito oltre a quattro piatti rotti non c'erano state conseguenze.

Quella reazione di mio padre, quel gesto inaspettato, fu solo il primo atto di una ribellione violenta da parte di un uomo che, a suo dire, aveva subito sempre il caratteraccio di una donna ignorante e ottusa.

Così ogni volta che lei protestava per qualcosa, lui la rimetteva a posto con le mani. Forse quel primo schiaffo e la reazione passiva di mia madre erano state per lui una vittoria.

Un gesto di rivalsa verso una vita che non gli piaceva, verso una donna che non amava abbastanza. Fatto sta che una sera, era seduto sulla sua solita poltrona e mi disse di prendergli una birra fredda. Io gliela portai di corsa, ma era calda, e lui senza dire una parola si alzò e iniziò a picchiare anche me. Sento ancora il bruciore di quegli schiaffi ripetuti sul volto. Piansi tanto e non fu l'unica volta. Ogni sera quando tornava a casa era un'incognita.

Quale delle due userà come un punchball per sfogarsi? Chi di noi stasera le prenderà?

Ho odiato ogni singolo giorno della mia vita da quell'istante. Un'infanzia arida come un deserto. Nessuno mi ha mai amata. Nessuno ha mai giocato con me, letto una favola, riso alle mie battute o bevuto il te con le bambole solo per farmi sorridere. E gli anni a seguire sono stati anche peggio.»

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