Capitolo 3 - Sarah

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Quella notte non avevo chiuso occhio, ero troppo agitata. Sophie si era messa a piangere quando le avevo raccontato il piano, non vedeva l'ora di andarsene. L'avevo rassicurata ripetendole più volte che sarebbe andato tutto bene, ma non ne ero così sicura: sapevo che la probabilità che il piano fallisse era concreta.

Erano mesi che pianificano tutto nei minimi dettagli, da quando avevo trovato quel fascicolo di lettere nello studio di papà. Saranno state una decina, tutte datate e tutti sue. Sì, erano state scritte a mano e firmate da lei e quando le lessi mi misi a piangere. La sua scrittura era inconfondibile.

Papà non ci aveva mai detto di quelle lettere, ci aveva sempre nascosto il fatto che mamma gli scriveva per sapere come stavamo io e Sophie e che voleva rivederci, ma dalle lettere capii che papà non gli aveva mai risposto. L'ultima lettera risaliva a un anno e mezzo prima e mamma aveva scritto che lavorava come serva presso una ricca famiglia a Dingle. In quel momento lo capii. Mamma non ci aveva dimenticato. Mamma continuava a chiedere come stavamo, ero papà ad averla dimenticata, ad averci dimenticato.

E così iniziai a pianificare tutto.

Ma c'era un problema: Dingle, come aveva scritto la mamma in un'altra lettera, era letteralmente dall'altra parte dell'Irlanda, ci sarebbero voluti sette giorni a piedi per arrivarci.

Continuavo a rigirarmi nel letto ripassando la lista delle cose da prendere: la cartina che avevo rubato nello studio di papà, il cibo che avevo preparato negli ultimi giorni per il viaggio, qualche spicciolo trovato per casa durante quei mesi, un po' d'acqua e l'unico cambio che avevamo: l'altra divisa da serve.

Mi girai, Sophie stava dormendo beatamente con un mezzo sorriso sulle labbra e fu quello a darmi la forza e a farmi credere davvero in questa fuga.

Era solo per lei che lo facevo: volevo darle un futuro diverso, un futuro migliore, volevo che fosse felice. Se qualcuno mi avesse chiesto qual era il mio sogno sicuramente avrei risposto vedere mia sorella felice. Avrei dato tutto per lei e non l'avrei mai messa così tanto in pericolo se non fosse stato l'unico modo per salvarla.

Poche ore prima i signori erano tornati dal ballo tutti contenti ed emozionati, o meglio Jocelyn, Karen ed Alfred; Lidia invece sembrava in preda ad una crisi isterica. Il ballo doveva essere andato davvero bene, poiché, da quel poco che avevo capito, era stata Jocelyn la prescelta per diventare la moglie del futuro duca.

Mi alzai prestissimo, il sole non era ancora sorto e fuori vi era ancora buio pesto. Svegliai Sophie e preparai le ultime cose per la partenza.

Appena le colline si illuminarono delle prime luci del mattino dissi a Sophie che era arrivata l'ora.

Mi avvicinai alla porta per uscire, ma Sophie mi trattenne per un braccio.
"E se ci sentono o qualcuno ci vede?" mi chiese.
"Sssh, parla piano. Non ci sentiranno, ieri sera sono tornati tardi dal ballo e ora stanno dormendo tutti e se qualcuno dovesse vederci vedremo cosa fare, ma adesso non ci pensiamo".
Sophie vicino a me tremava dalla paura.
"Andrà tutto bene Sophie, ce la faremo, fidati di me!" e così con il suo aiuto aprii la porta senza fare il minimo rumore.

Ce l'avevamo fatta, eravamo fuori!

Avevo studiato il percorso a memoria, quindi non fu difficile trovare il sentiero per allontanarci dal paese e da quella casa, dalla "nostra" casa.

Corsi.

Corremmo finché il sole non sorse completamente.

A quel punto eravamo già abbastanza lontane e così, percorrendo scorciatoie e controllando che nessuno ci stesse seguendo, incominciammo a rallentare e a riprendere fiato.

Dopo poco sentimmo un rumore di zoccoli e vedemmo due cavalli venire verso di noi.

Ci nascondemmo in un bosco vicino al sentiero, nonostante sospettassi che ci avessero visti. Infatti non mi sbagliai. Ci avevano beccati. Il nostro piano era già andato in fumo. La nostra fuga era già finita.

"Chi va là?' chiese una voce maschile, "So che c'è qualcuno, vi abbiamo visto. Avanti uscite, non abbiate paura."

Incominciai a tremare. Avevo paura. Non volevo tornare in quell'inferno, non volevo subire la punizione che Karen e papà ci avrebbero inflitto.

Ormai ci avevano beccati, tanto valeva non opporre resistenza e tornare presto a casa o le conseguenze sarebbero state ben peggiori.

Uscii dal bosco, ma imposi a Sophie di rimanere nascosta, non volevo metterla in pericolo.

Mi ritrovai davanti un ragazzo ed una ragazza più o meno della mia età in sella ai loro cavalli.

"Chi siete?" chiese il giovane. Era vestito in modo elegante, probabilmente apparteneva ad una famiglia nobile. Aveva dei fantastici capelli ricci di un marrone così scuro da sembrare quasi neri che creavano un contrasto perfetto con i suoi occhi blu, ma di un blu particolare, che non avevo mai visto, blu notte, come quando il sole è tramontato e nel cielo compaiono le prime stelle.
Il suo cavallo era bianco, mentre quello della ragazza era marrone.
La giovane indossava un completo molto elegante da equitazione e aveva lunghi capelli rossi liscissimi, dello stesso colore delle lentiggini che incorniciavano un volto pallido che metteva in risalto gli occhi marroni.

Non risposi. Non sono bene il perché, ma non lo feci.

Dai miei vestiti si capiva che ero una serva, non c'era bisogno che lo dicessi.

Abbassai la testa, provavo vergogna per essermi fatta beccare subito.

Aspettai che il giovane dicesse altro, ma non parlò.

"Cosa ci fate qui da sola a quest'ora? Potrebbe essere pericoloso!", aggiunse la ragazza dai capelli rossi, ma vedendo che non rispondevo aggiunse "Tranquilla, puoi parlare, non avere paura!".

E mi fidai.

Mi fidai perché i loro occhi sembravano sinceri, non sembravano pronti a giudicare come quelli di tutti.

Mi fidai perché nessun nobile si sarebbe fermato a parlare con una stupida serva, ma loro l'avevano fatto.

E mi fidai perché qualcosa, non so bene cosa, in quel ragazzo mi diceva che potevo fidarmi di lui, di loro.

Feci un cenno a Sophie perché uscisse dal nascondiglio e lei si mise dietro di me, come per nascondersi, aveva paura, era spaventata dall'idea di tornare in quella casa, ora che aveva finalmente assaporato un piccolo pezzo di libertà.

"Quindi, chi siete?" chiese il ragazzo evidentemente interessato.
"Mi chiamo Sarah e lei è Sophie, mia sorella. Siamo le figlie di Alfred Williams e Anne, la sua prima moglie. Siamo serve di nostro padre da quando avevamo dodici anni ed ora stavamo cercando di scappare da quel posto perché vogliamo raggiungere nostra madre ed essere felici. Purtroppo però voi ci avete beccato ed il nostro piano è fallito".

"No no, tranquille, non vogliamo ostacolarvi, non preoccupatevi. Vi abbiamo visto e volevamo sapere chi eravate. Non parleremo con nessuno, avete la nostra parola!" parlò la ragazza a nome di entrambi.

"Non sapete chi siamo, chi sono, vero?" chiese il giovane con voce roca.
Scossi la testa.

"Io sono Derek, Derek Johnson".

E io quasi svenii. Era Derek. Era quel Derek. Davanti a noi vi era il futuro duca d'Irlanda.

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