30•capitolo -I cules-

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Ester

Esco presto la mattina, do un bacio a Gonçalo e gli scrivo un messaggio per avvertirlo che vado da mio padre. Non che non lo sapesse, solamente ho preferito affrontare da sola questa cosa, si sarebbe fatto prendere dall'ansia vista la brutta cera che ho in viso. Non ho dormito per nulla questa notte, l'unico mio conforto sono state le braccia di Gonçalo che mi tenevano strette a sé. Per fortuna, io e lui, siamo riusciti a chiarire e adesso non mi sento più in difetto. Ora ho capito che lui vuole stare davvero con me.

È l'unica eccezione positiva al periodo negativo che sto attraversando, e capisco che durerà ancora per molto quando, nel tragitto, vedo mio padre seduto in un tavolino del bar in cui mi aspetta. Non è lo stesso uomo che ho lasciato l'ultima volta che l'ho visto, sembra esausto e credo che non stia dormendo notti serene, proprio come me. Penso che per lui debba essere ancora più faticoso visto che sa di essere l'artefice di questo caos che si è venuto a creare.

Avanzo a passo lento verso di lui, e solo dopo qualche istante si accorge di me, ridestandosi dal torpore in cui era caduto. Abbozza un sorriso, ma non è il suo, non è quello a cui mi ha abituato. Sembra si stia sforzando per mostrarsi sereno, proprio a me che lo conosco bene, in fondo è mio padre ed è anche colui con il quale ho un rapporto speciale. Come dimenticare tutte le volte che mi ha confortato e aiutato, la mia infanzia si chiama Felix.

«Tesoro!» esclama, si alza, appoggia una mano sul mio fianco e mi stampa un dolce bacio sulla guancia. Poi torna a sedersi e io lo seguo, mettendomi di fronte a lui per osservarlo meglio. Mi accorgo di non essermi sbagliata, lui non sta dormendo bene ultimamente, glielo si legge negli occhi.

«Come stai?» domanda per rompere il ghiaccio. «Sta andando bene a scuola?»

Annuisco e trattengo il respiro. Non me la sento di raccontargli che anche lì è un casino, che Borja mi ha rovinato la reputazione e io, a pochi mesi dalla fine della scuola, non ho ancora deciso l'università. Probabilmente si aspetta di sentirmi dire che sarò la sua erede, non ho avuto il coraggio di confessargli che il suo lavoro non mi ha mai entusiasmata e non è ciò che voglio.

«Tutto bene.» Sto per chiedergli la stessa cosa, ma mi anticipa.

«Tua madre?» è un tasto dolente sia per me che per lui, visto che nel solo pronunciare quel nome, ha abbassato gli occhi come fosse solo un verme. Per un po' l'ho pensato, ma ora che ce l'ho davanti non posso non guardare in faccia la solita persona pura che mi ha cresciuta.

«Potrebbe stare meglio.» Cerco di cambiare discorso, non sono ancora pronta per intraprendere questa conversazione. «Tu come stai?» allora gli chiedo a mia volta.

«Be', potrei stare meglio anch'io, ma me la cavo. Sto alloggiando all'hotel Mendoza» l'hotel Mendoza è il più importante di Madrid, questo dovrebbe tranquillizzarmi, ma so che stare lì da solo non gli fa bene. Anche se, potrebbe ormai aver intrapreso una relazione con quell'altra donna. Il pensiero mi atterrisce così tanto, che stringo le labbra e lui se ne accorge. «Sono da solo!» mi rassicura. «Amo tua madre, moltissimo. So che lei non mi crede più, ed è giusto così, ma non avrei mai voluto farla soffrire»

«Eppure lo hai fatto.» Trattengo le lacrime e mi pento subito di averglielo detto, probabilmente non era il caso di mettere il dito nella piaga.

«Ho fatto soffrire anche te e Gonçalo, lo so!» ed è quando nomina anche lui, come fosse davvero suo figlio, che una lacrima mi scappa dagli occhi. Non lo sa quante emozioni si provano nel sapere quello che prova anche lui per il mio ragazzo. «Sono stato uno stupido.» Afferma, abbassa gli occhi e prende la mia mano appoggiata al tavolino. «Voi tre siete la cosa più importante del mondo, per me!» lo dice con una sicurezza tale che riesce a convincermi, e che mi fa domandare come non abbia convinto Esperanza.

«Parla con mamma, lei ti ama!»

«È proprio questo il problema,» un sorriso amaro gli incornicia le labbra arse. «Mi ama così tanto da avermi messo sempre al primo posto, e ora che l'ho ferita non riesco a riconquistare la sua fiducia»

«Posso parlare io con lei, posso...»

«No!» afferma perentorio, togliendo la sua mano dalla mia per poi tornarci. «Non devi entrare in questa storia. Non so se tua madre mi perdonerà mai, sta di fatto che ha tutti i motivi per non farlo. Le ho mentito per molto tempo!» il suo sguardo rammaricato mi mette tristezza addosso che non so se, dopo che me ne sarò andata, riuscirò a scrollarmela di dosso. Sono sicura che mi rimarrà dentro per tutto il giorno.

«Non voglio che vi separiate!» e ormai è troppo tardi per fermare le lacrime, non volevo piangergli davanti, ma non ce la faccio più a sotterrare la paura che ho di perdere mio padre. Lui si alza dalla sedia e mi viene incontro, si inginocchia, un po' come faceva quando ero piccola per mettersi alla mia altezza, asciuga le mie lacrime con delicatezza, affiora sulle sue labbra un sorriso e poi mi stringe addosso, facendomi capire che, nonostante tutto, non mi lascerà mai. Affondo la testa sul suo petto, gli sporco la camicia di mascara e mi faccio cullare dall'odore del mio papà.

Finisce che lui mi riaccompagna a casa e tiene la mia mano stretta anche mentre guida, lanciandomi sguardi di sottecchi. Quando arriviamo sotto casa, lui si guarda intorno con malinconia, poi si sofferma sui miei occhi e ancora la sua mano si posa sul mio viso, come volesse dimostrarmelo a tutti i costi che tra noi nulla cambierà. Ma me lo sento che tutto, da oggi in poi, cambierà.

Lo lascio lì, ma quando scendo mi accorgo che mia madre è di ritorno da una delle sue uscite con le sue amiche. Si sofferma a guardare mio padre e leggo nei suoi occhi rancore, ma anche tanta tristezza nel non poterlo più avere. Mi sembra di rivedere in lei i primi giorni con Gonçalo, quando il suo odio superava l'amore. Indugia un po' troppo negli occhi di mio padre, poi gli dà le spalle e torna dentro. Io la seguo, lei si ferma un attimo dopo e mi guarda come volesse dire qualcosa.

«Tutto bene?» poi mi chiede.

«Non fate che chiederlo tutti!» sbotto, trattenendo le parole al vetriolo che vorrei urlare. Ma non sarebbe giusto visto che anche lei ci sta male. «Dovresti perdonarlo, Mà. Lui...»

Sorride amaramente, quasi esausta di una conversazione che è appena cominciata.

«Se l'è giocate bene le sue carte. Ester, non immischiarti in cose che non ti competono!» poi siccome non vuole prendersela con me, si allontana per un attimo, torna e mi dà una carezza. «Lo so che vuoi bene a tuo padre, ma ti prego, non parlarmi di lui!»

Annuisco e non dico nulla, per fortuna a salvarmi da questa discussione ci pensa Gonçalo, che viene verso di me e indugia nei miei occhi. Mia madre ci lascia soli e io finalmente mi tuffo a capofitto sulle braccia del mio ragazzo.

«È andata così male?» mi chiede, accarezzandomi la schiena.

«Non ce la faccio più.» Confesso. Lui mi prende il viso e mi guarda negli occhi.

«Ti va di uscire?»

Annuisco, in questo momento voglio solo stare con lui, con nessun altro.

Mi prende per mano e andiamo a prendere un autobus. Solo quando si ferma, mi accorgo che siamo giunti nella villa in cui vivono Roman e Beatriz.

«Ho pensato che ti avrebbe fatto bene stare con Beatriz. E sì, è stata un'idea di Roman che ha insistito perché venissimo» sorrido. Sì, avrei voluto stare da sola con lui, ma quel ragazzo stravagante architetta sempre un modo per stare insieme a noi.

Suoniamo al campanello, e si presenta Roman con una camicetta a pois aperta.

«Eccoli i miei due fantastici amici. Accomodatevi, ho già riempito i vostri bicchieri,» esclama lui, facendoci spazio. Nel frattempo, alle nostre spalle arrivano anche Santiago e Ana. Non sono di certo felici di essere arrivati, casualmente, nello stesso momento. Infatti Santiago la guarda di sottecchi e fa di tutto per rimanerle lontano, quasi avesse la peste.

Ci fa accomodare nel suo maestoso salone. Lui è quello che ha la villa più grande di tutti, suo padre è proprietario di tutti i più importanti night club di Madrid. Di certo questo rende Roman, il più ricco del gruppo.

«Accomodatevi, amici!» ripete, facendoci sedere, per poi chiamare la cameriera della casa per farci servire dei cocktail. «Li ho fatti io, per voi!» afferma con aria da superiore.

«Certo, come no. Vuol far credere di essersi sporcato le mani.» Interviene Beatriz che viene verso di noi solo in quel momento, con le mani conserte e l'aria piuttosto nervosa. Deve come al solito aver litigato con Roman, o semplicemente è la sua presenza che la disturba.

«Bellezza, guarda che l'ho preparato anche per te!» non si fa minimamente scalfire dalle offese della mia amica, le serve il cocktail e le sorride. «Sei veramente bella oggi con...» ridacchia. «Il pigiama a righe di mia nonna.» La sfotte per il suo modo di vestire. Di certo non si può dire che la mia amica bionda sia alla moda, tuttavia non credo sia così male. «Ora che siete tutti qui, visto che Felipe non ha voluto partecipare» e nel dirlo, lancia uno sguardo in direzione del mio ragazzo, che mi stringe la mano al solo sentirlo nominare. Non c'è verso di fargli accettare che, anche se forse il loro rapporto non tornerà come prima, fa sempre parte del gruppo. Mi dispiace che è tutta colpa mia se non sono più amici. «Voglio mostrarvi il mio regalo di Natale anticipato di un anno...» sfila dalla tasca dei pantaloni i biglietti di una partita di calcio. «il grande Real Madrid contro i Cules, senza offesa Gonçalo!»

«Sei riuscito a prendere i biglietti?» il mio ragazzo mi lascia e quasi si inginocchia davanti a Roman. «Li cerco da settimane ma erano esauriti. Io ti amo, Roman!» e un po', lo ammetto, ci rimango male visto che anche se so che scherza, a me non l'ha ancora detto. Faccio finta di niente però, non voglio che lo noti, né che si senta obbligato a dirlo.

«Lo so, sono un amico meraviglioso!» afferma con un sorrisetto sardonico.

«Per questa ti perdono anche che mi hai dato del Cules. Tanto si sa che il Barcellona è superiore, tutta invidia.» Se la ride lui.

«Che noia!» sfiata Beatriz. «È per questa stupidaggine che ci hai convocato tutti?» chiede poi. «Potevi invitare solo i ragazzi» Beatriz ultimamente sembra che faccia di tutto pur di indispettire Roman, invece pare che i suoi occhi si riempiono di lussuria tutte le volte che la sente inveire contro di sé.

«Piccola... andremo tutti insieme, anche tu, Ana e Ester verrete!» lo dice come se non ci potessimo rifiutare in alcun modo. Ana sorride perché le piace l'idea, a me importa che starò con Gonçalo, Beatriz stringe le labbra con disappunto.

«Manco morta!» esclama lei. «Non ci vengo!» sembra lo dica più per non darla vinta a Roman, piuttosto che per una convinzione. Non le piace molto il calcio ma, solitamente, non fa tante storie anche quando le si propone di andare dove non le fa piacere.

«Rassegnati, bocconcino, verrai!» scrolla le spalle, poi gliele gira indispettendola ancora di più, senza darle più attenzioni. «Gonçalo, ti avviso: ci sarà anche Felipe. Non voglio scenate. Le vostre discussioni tenetele a casa vostra!» è duro nel modo che ha di parlare, probabilmente si sono stancati lui e Santi di dover scegliere con chi stare e lo capisco. Il mio ragazzo aveva un sorriso da guancia a guancia, ora invece il suo sguardo diventa duro come la pietra e stringe le mani in due pugni.

«Perfetto: non verrò!»

Trattengo il respiro e penso di raggiungerlo, ma rimango un attimo ad osservare la scena.

«Fai come ti pare. Quando la smetterete di fare i bambini, voi due, sarà sempre troppo tardi» lo so che dispiace a Roman dover essere così duro, ma so anche che si è stancato di assecondarli.

«Quello stronzo, mi ha rubato la ragazza. Non voglio stare nello stesso posto dove c'è lui!»

Si mette in un angolo e sospira, lo raggiungo subito dopo e appoggio le mani alle sue.

«Ce ne andiamo?» mi chiede lui, sbuffando tutta l'aria che ha in corpo.

«Ci andremo a questa partita!» gli dico, quasi lo supplico con lo sguardo. Non voglio vederlo rinunciare a qualcosa che gli piace per una storia che non sarebbe mai dovuta esistere tra me e Felipe. Voglio così bene a quel ragazzo ma ho fatto solo un gran male ad entrambe le persone a cui tengo di più, soprattutto a Gonçalo.

«Vuoi andare dove c'è Felipe?» mi schernisce, gli occhi diventano per un attimo crudeli, poi se ne pente.

«Se avessi voluto stare con Felipe, adesso ci starei. Non dovresti fare questo ai tuoi amici!»

Mi fissa, Gonçalo, intrufola gli occhi dentro ai miei quasi non avessi scampo. Ed è sempre un'emozione troppo grande, un brivido a cui faccio fatica a rinunciare sentirlo addosso. E lo amo sempre di più, ogni secondo un po' di più.

Alza il braccio e con la mano accarezza il mio viso, un po' trema e tentenna, quasi stesse ancora riflettendo.

«Non ha senso che mi debba abituare alla sua presenza, non mi ci abituerò mai. Ma hai ragione su una cosa: i miei amici non possono dover scegliere!»

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