.17. Che posto ha l'amore?

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Barcellona, 
10 Novembre 1808.

<<Padrone...>>

<<Geneviève, dove sei...>> si interruppe quando vide il signor Garçia dietro di me.

Vide che era senza la sua giacca e che la reggeva nelle mani, poi notò le mie guance rosse e accaldate. E allora capì e mi preparai al peggio.

<<Non sapevo di avere visite.>> disse, piatto.

Portò una mano dietro la testa e si pettinò i capelli con le dita.

Mi girai per guardare Juan, e vidi che aveva gli occhi stretti come due piccole fessure e i pugni serrati sulla sua giacca pesante. <<Conte.>> chinò appena il capo. <<I miei più cari saluti.>>

<<Siete cresciuto molto dall'ultima volta, Garçia.>> il padrone spostò lo sguardo su di me e mi strinsi nelle braccia. <<Entra, fa troppo freddo per la tua pelle delicata.>>

Allungò una mano per toccarmi il braccio ma mi scostai per evitare il contatto. Mi metteva i brividi di più soggiornare nella sua stessa stanza che stare all'aperto con quel freddo.

Juan mi affiancò e mi mise una mano sulla spalla. <<Io e la signorina Geneviève siamo amici, sa? Da molti anni. Ci raccontiamo tutto.>>

Alexander strinse un occhio e alzò un sopracciglio. <<Signorina?>> si burlò di me schernendomi e ridendo di gusto. <<Amici, certo, immagino.>>

Abbassai lo sguardo. <<Devo andare, signore.>>

Feci per andarmene, ma Juan mi trattenne per un braccio. <<Non andare.>> mi supplicò con gli occhi. <<Dobbiamo ancora finire la conversazione.>>

Guardai prima il padrone che a sua volta guardava la sua mano sul mio braccio, poi lo sguardo di Juan. Era pieno di speranza.

<<Devo lavorare, signor Garçia, mi dispiace.>>

Il padrone finalmente smise di osservare la nostra leggera unione. <<Va pure. Parlerò io con chi di dovere. Non ti preoccupare.>>

Restai senza dubbio sorpresa dalle sue parole. Mi stava dando il permesso di non lavorare? Di stare in compagnia con un altro uomo?

Incapace di rispondere, Alexander ne approfittò per togliersi la giacca pesante e posarmela sulle spalle. <<Fa freddo, Geneviève.>> mi sussurrò nell'orecchio.

Si scostò per guardarmi e io mi persi ancora una volta nei suoi occhi del colore dello smeraldo. Sentii il cuore battermi all'impazzata e mi morsi le labbra per frenare quella strana sensazione che stavo provando.

No, non di nuovo...

Il padrone se ne andò, dritto verso le scuderie; probabilmente stava andando a sellare il suo cavallo, al diavolo gli ospiti.

Mi resi conto che stavo sorridendo: non volevo ammetterlo, ma provavo ancora qualcosa per Alexander, e lo avevo capito in quel momento. Mi aveva guardata come aveva fatto la prima volta che mi aveva spogliata. Desiderio, seduzione, inganno.

Mi bastò alzare lo sguardo su Juan per perdere il sorriso. Mi guardava come se lo avessi tradito nel profondo.

<<Mi hai deluso.>> tuonò dopo qualche secondo di solo silenzio. <<Di nuovo.>>

<<Mi ha offerto la sua giacca, che altro potevo fare? Fa freddo, e voi volete ancora parlare con me qui fuori.>>

<<Te l'ho offerta anche io, ricordi?>> scosse la testa. <<Non sarei mai dovuto venire.>> prese a camminare verso il giardino, rimettendosi la giacca addosso.

Mi affrettai dietro di lui, mantenendo la giacca del padrone per quel che riuscivo a fare. Io ero bassa mentre il padrone era alto con le spalle larghe.

<<Avevate detto che eravate stato costretto.>>

Alzai lo sguardo al cielo: si era ingrigito molto, probabilmente sarebbe venuto a piovere da un momento all'altro.

<<Ti ho mentito.>> disse ancora a qualche passo da me.

Mi fermai. <<Su cos'altro mi avete mentito?>>

Si fermò anche lui e abbassò la testa e immaginai che i capelli gli fossero finiti sugli occhi, come succedeva ogni volta. <<Sono qui per due ragioni specifiche.>>

Un fiocco di neve mi danzò davanti agli occhi e sorrisi: amavo la neve. Presto tutto il giardino, ora bagnato dalla vecchia pioggia, sarebbe stato totalmente bianco e puro.

Qualche fiocco si posò sui suoi capelli e sulla giacca scura, bagnandola. Si girò lentamente e fece qualche passo verso di me.

Ci trovavamo nel bel mezzo della parte di giardino dedicata alle rose. In un altro periodo dell'anno probabilmente ne stavo ammirando i colori e il profumo, ma a novembre tutto ciò che potevo ammirare erano gli steli secchi e privi di colori. Il giardiniere non era particolarmente bravo per farle vivere anche in autunno.

<<Ditemele.>> sussurrai e le mie parole si persero nel vento.

Un fiocco di neve si posò sulle ciglia lunghe e si affrettò a toglierlo con un dito. <<Vogliono farmi sposare, Geneviève, te lo avevo detto.>>

<<Con chi?>>

Sospirò. <<Con Sara Castro. Sono qui per conoscerla.>>

Mi si mozzò il respiro. <<Lei ha... ha quattordici anni...>> balbettai.

<<Secondo i miei genitori è abbastanza grande da sposarsi e darmi dei figli. I Castro posseggono molti soldi e sono di parecchi gradi in più della mia famiglia, ci serve il loro titolo.>>

Sara non era abbastanza grande per sposarsi. Non era neanche ancora diventata una signorina. Era una bambina troppo alta per la sua età, piccola e insicura.

<<A voi nobili importa solo del denaro.>> affermai seria. <<Che posto ha l'amore nelle vostre vite?>>

A Juan brillarono gli occhi. <<Non esiste l'amore per noi.>>

Arretrai, arrabbiata e delusa e non sapevo neanche perché. A me non sarebbe dovuto importare niente di loro, io non appartenevo a quel mondo, io non avrei mai avuto il lieto fine, non mi sarei mai sposata. Ma loro si sposavano, e mi innervosiva il fatto che potevano farlo ma non sceglievano mai l'amore. Importava solo il denaro e quanti altri soldi avrebbero avuto nel caso di un unione delle famiglie.

Ero disgustata.

Mi voltai e corsi via.

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