.28. Soledad.

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Barcellona, 
16 Dicembre 1808.

Non avrei voluto vederlo mai, quel posto.

Ne avevo sentito parlare qualche volta, e di certo sapevo che non era il posto per me. Eppure mi trovavo lì, con gli occhi immobili davanti al bordello in cui avevo chiesto asilo.

Non era molto grande: due grossi divani contro i muri esterni, qualche tavolo nel centro, un bancone e una scala che conduceva alle camere un po' più appartate. Per chi invece aveva voglia di fare quelle cose davanti a tutti c'erano appunto i divani. Un uomo seduto in un angolo estremo stava ammirando e toccando avidamente il seno di una prostituta che ridacchiava ai suoi movimenti.

Poco più in la, un altro uomo aveva una mano sotto la gonna di una ragazzina che non poteva essere più grande di me di tanto. Lei gli stava seduta a cavalcioni sulle ginocchia e lui non si curava nemmeno di essere troppo delicato. Si vedeva dalle espressioni disgustate e di dolore della poverina. E quello stesso uomo nel frattempo palpava un'altra donna seduta a gambe aperte accanto a lui.

Sul divano di fronte una donna stava facendo un lavoro con la bocca ad un uomo che le tirava i capelli in modo da sentire più piacere.

Ero disgustata. Volevo vomitare e scappare via da lì ma le gambe non si muovevano.

Katarina mi mise una mano sulla spalla. <<Tranquilla. Tu non farai questo genere di cose, te lo prometto.>> tentò di rassicurarmi ma continuavo ad avere la nausea. <<Ora andiamo da lui.>>

Nessuno dovrebbe fare queste cose.

Riuscii a distogliere lo sguardo. <<Da chi andiamo?>>

Mi sorrise debolmente. <<Da colui che deciderà che tipo di lavoro dovrai svolgere qui dentro, cara.>>

Con una mano sulla schiena mi spinse ad attraversare con lei la sala e mi sforzai di abbassare lo sguardo sui miei piedi, ma sentivo gli sguardi maliziosi di quegli uomini su di me, sul mio corpo.

Raggiungemmo il bancone alla fine del perimetro, accanto alle scale. Prima non avevo notato la presenza di un uomo intento a versare del vino in grossi calici. Forse era troppo vestito per notarlo in quello schifo. Alzò pigramente la testa e notai le occhiaie ben marcate sotto gli occhi e le rughe in tutto il viso, contornati dai capelli grigi e lunghi ma fini e pochi. Mi chiesi da quanto tempo quell'uomo non uscisse da la dentro.

Con la pipa accesa tra le labbra ci rivolse uno sguardo torbido. <<Che cosa ci fate qua dentro? Lo sapete che questa notte avete il turno fuori.>>

Katarina e l'altra donna si guardarono per qualche istante. <<Siamo entrate per parlare con il capo, dopo di che torneremo fuori.>> disse l'amica.

Increspò gli occhi, poi si accorse di me. <<E questa chi è?>> disse con tono scocciato.

<<È per questo motivo che dobbiamo parlare con il capo.>> rispose Katarina. <<È importante.>>

Lui sorrise senza smettere mai di tenere la pipa tra la barba folta. <<Importante.>> ripeté beffeggiandomi. <<Lo deciderà lui se è importante.>> posò la pipa sul bancone sporco di chissà quali liquidi e residui di cibo e polvere, poi indicò le scale con un movimento rapido della testa. <<È di sopra. Ma non posso farvi salire tutte, deve andare solo lei.>>

Strizzai gli occhi e guardai Katarina allarmata. <<No, ti prego, non voglio andare da sola.>>

Lei tentò di rassicurarmi accarezzandomi le spalle e sorridendo. <<Sta' tranquilla. Il capo è la persona meno pericolosa qua dentro, te lo assicuro. Non hai di che temere.>>

Non so se fosse per il tanfo di chiuso e incenso che aleggiava nella sala o per la tensione, ma iniziò a farmi male la testa e mi dovetti aggrappare al bancone per non cadere a terra.

Katarina mi mise un braccio attorno alle spalle. <<Alonso dalle un po' d'acqua.>>

L'uomo, Alonso, sebbene visibilmente scocciato dalla richiesta, mi versò dell'acqua in un bicchiere che aveva l'aria di non essere mai stato lavato. Con la mano che mi tremava afferrai il bicchiere che mi porse Katarina e tentai di non pensare alle incrostazioni sul fondo.

Mi sentivo un po' meglio anche se il senso di nausea sembrava non volermi abbandonare.

<<Tornate a lavoro!>> borbottò Alonso rimettendosi in bocca la pipa. <<Non verrete pagate se non avrete almeno tre clienti a testa questa notte.>>

Le due prostitute abbassarono lo sguardo e, prima di andar via, Katarina mi accarezzò il viso. <<Andrà tutto bene.>>

<<Grazie. Io non so cosa sarebbe accaduto se tu...>>

Mi interruppe mettendomi un dito sulla bocca. I capelli le erano un po' scesi dalla crocca per via dell'umidità di fuori così come il trucco, ma si notava lo stesso che era una bella donna. E ora sapevo anche che non era solo bella, era anche molto altruista.

<<Il padrone non ti troverà.>> disse, poi mi diede le spalle. <<Buona fortuna.>>

Entrambe tornarono fuori.

<<Come ti chiami e quanti anni hai?>> chiese Alonso costringendomi a riportare l'attenzione su di lui.

Faceva finta di pulire il bancone con una vecchia pezza sporca.

<<Geneviève. E ho vent'anni.>>

Scosse la testa. <<Non mi piace. Da stasera sarai...>> studiò a fondo il mio viso, poi si sporse per osservare meglio il mio corpo coperto dalla coperta rossa così come i capelli. <<Soledad.>>

....

Grazie __aurora__02 per avermi dato un grosso aiuto a scrivere questo capitolo. ♥️

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