.35. Non hai fatto niente.

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Barcellona, 
2 Gennaio 1809.

Theo continuava a baciarmi con delicatezza esplorando la mia bocca lentamente. Quasi non ce la facevo più a restare così immobile con l'adrenalina nelle vene e il corpo in fiamme. Andava troppo, troppo piano.

E decisi che non ne potevo più di aspettare.

Lo guidai verso il letto, convinta di avere io la situazione nelle mani. Slegai con un solo movimento i suoi capelli ricci e subito essi finirono sul viso oscurandone i tratti, nonostante fosse pieno giorno. Stavo per farlo sdraiare sul letto quando invece prese in mano le redini e mi spinse contro il materasso coprendo la mia figura minuta con la sua alta.

Per un attimo mi attraversò un lampo di dubbio: cosa stavo facendo? Stavo andando contro tutto quello che avevo detto da quando ero la dentro, eppure mi stava piacendo e non volevo fermarmi. Poi i miei occhi si posarono sulla porta della camera e notai che era chiusa nonostante fossi sicura che fino a pochi istanti prima fosse totalmente aperta in attesa dei prossimi clienti.

Quel pensiero cadde subito quando Theo mi baciò il collo e prese ad esplorare le curve del mio seno, poi i fianchi larghi e di nuovo il seno e sempre lentamente.

Sembrava inesperto, come se non sapesse esattamente cosa fare di preciso. Pensai che fosse perché era giovane ed io ero stata solo con Alexander che sapeva possedere le donne da molti anni. Non ero abituata a tutta quella delicatezza e lentezza nei singoli movimenti. All'inizio lo avevo anche apprezzato, ma poi era diventato noioso.

<<Theo...>> sussurrai dopo un po'.

Lui staccò il viso dal mio collo e mi guardò dritto negli occhi. Era accaldato.

<<Cosa c'è?>>

Invece che aspettare una mia risposta, prese a far correre la mano lungo i fianchi e poi sulle gambe per poi risalire sotto la gonna. Serrai le ginocchia in risposta a quel gesto inaspettato e mi irrigidii.

<<Per favore, alzati...>> sussurrai tenendolo per le spalle.

Sbatté gli occhi un paio di volte, molto sorpreso. <<Come? Perché? Ho fatto qualcosa di sbagliato?>>

Non hai fatto niente, avrei voluto dire. È questo il problema.

<<No, però ora alzati.>> lo supplicai con gli occhi.

Invece mi accarezzò le gambe. <<Tra un attimo... >> e riprese a baciarmi il collo, poi il petto scendendo sempre di più.

<<Theo, ti prego...>> continuai a supplicare ma non sembrava avere alcuna voglia di fermarsi.

E tornai subito nella villa dei Castro. Il padrone che mi prendeva contro la mia volontà ed io che non potevo oppormi al suo volere. Le sue dita calde contro la mia pelle fredda, l'odore di alcool impregnato nei lunghi capelli e la violenza nel prendermi e farmi fare ciò che voleva.

Le lacrime di rabbia presero a bruciare dietro le palpebre e finalmente ebbi la forza di reagire: gettai Theo di lato sul letto e mi affrettai ad alzarmi e ad allontanarmi da lui.

<<Va via!>> urlai mentre le lacrime scendevano copiose.

Lui, con i gomiti contro il materasso e le gambe oltre il letto, mi guardò come se lo avessi ferito nel profondo. <<Mi ha assicurato che ci saresti stata, stupida sgualdrina!>>

Un pugno avrebbe fatto meno male.

All'improvviso capii tutto: la sua presenza durante il mio orario di lavoro, la sua età e persino quella maledetta porta che ero sicura che non si fosse chiusa da sola.

<<Chi ti ha mandato da me?>>

Tentai di coprirmi il corpo con le braccia, ma ero nuda e spoglia davanti alla consapevolezza di ciò che stava per succedere, sebbene avessi ancora tutti i vestiti addosso.

Theo si legò i capelli dietro la testa e si alzò dal letto, sistemandosi la camicia spiegazzata. <<Ho pagato per un'ora ed esigo immediatamente che tu torni qua a fare ciò per cui io ho pagato.>>

<<Qualora tu non te ne fossi accorto io sono una donna delle pulizie! Non una puttana!>>

<<Non mi sembrava fino a pochi istanti fa...>> ammiccò passandosi la lingua sulle labbra carnose. <<Ci stavi eccome e volevi persino prendere il controllo.>>

<<Io...>> iniziai con tutta l'intenzione di sputargli addosso tutti gli insulti che conoscevo, ma tutte quelle lettere e parole si annodarono sulla lingua e uscirono fuori solo versi strozzati.

Mi coprii il viso con le mani e poi dietro i capelli, così mi lasciai sfuggire una lacrima. <<Ti hanno ingannato, così come hanno ingannato me. Ora va via, di sotto sapranno darti un'altra donna che saprà soddisfare tutte le tue esigenze.>>

Non rispose, si limitò a raccogliere le sue cose e ad andarsene sbattendo forte la porta.

Rimasi sola con i miei pensieri.

Ci ero cascata così come aveva progettato la persona che lo aveva mandato da me. E, in cuor mio, sapevo già di chi si trattasse.

Solo che non volevo crederci. Una parte di me si rifiutava di credere che Theo fosse mai stato in quella stanza e che io gli fossi saltata addosso dopo appena cinque minuti. Ma la mia parte razionale diceva che tutto ciò che era appena successo era la prova che infondo non ero molto in disaccordo con il pensiero del capo. Se la donna era consenziente e se l'uomo ci sapeva fare, allora fare la prostituta non era poi il lavoro più brutto del mondo. Il calore, la pelle contro la pelle, il sudore che si mischiava... tutto quello era reale e magnifico se ci si lasciava andare.

Il problema era... lasciarsi andare.

Uscii dalla camera del piacere qualche minuto dopo, ma non prima di aver finito di ripulirla. A testa bassa mi diressi verso la mia camera, quando incontrai il capo nel corridoio.

Fino ad una mezz'ora prima lo avrei riempito di insulti e probabilmente sarei scappata via senza il suo consenso. Ma...

Jonathan si fermò davanti a me e alzò il capo scrutandomi. <<Finito?>> disse solo.

Era ovvio che fosse lui. Chi altri poteva essere?

<<Sì.>> risposi. <<Vi ringrazio. Questa esperienza mi è servita per farmi capire il vero senso di lavorare qui dentro. Quindi grazie, Jonathan.>>

Chinai appena la testa in segno di rispetto e saluto, pronta ad andare via per non dargli troppa soddisfazione. Lui si limitò a guardarmi con aria confusa, poi superai la sua figura e mi diressi nella mia camera. 

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