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Barcellona,
19 Marzo 1809.

La voce di Lorein si perse nell'aria non appena fui abbastanza lontana.

Avevo seguito la persona sbagliata per tutto quel tempo. Avrei dovuto ricominciare da capo, invece sentii di nuovo la voce mozzata di qualcuno che tentava di parlare.

Felice che fosse la direzione opposta a quella di Lorein, seguii il rumore. Il cuore mi batteva all'impazzata, tant'è che se stavo abbastanza in silenzio riuscivo a sentirlo rimbombare attraverso il petto e fare eco contro le mura dei sotterranei.

Il respiro mozzato si faceva sempre maggiore man mano che avanzavo, fin quando mi ritrovai di fronte un'altra stanza come quella di Lorein. Questa era senza letto, ma la stessa catena sbucava da un angolo del muro fino a congiungersi in un angolo della stanza. Il suono mi costrinse ad avvicinarmi, e finalmente vidi la fonte.

Juan era poggiato con le spalle contro il muro; una gamba stretta ad una cavigliera e le mani legate con una corda. Anche lui aveva al collo lo stesso collare di Sara, e i riccioli gli cadevano davanti agli occhi non permettendogli di vedere bene. Una benda gli copriva la bocca, sotto ad essa un sorriso e varie lacrime sulle guance sporche.

Mi inginocchiai di fronte a lui e gli toccai il viso per essere certa che si trattasse della persona che stavo cercando. Gli tolsi la benda e lui rise felice.

<<Geneviève, sei davvero tu?>> disse lasciando andare svariate lacrime.

A me ne scesero anche di più e mi buttai tra le sue braccia, incapace di parlare.

<<Mi hai trovato...>> sussurrò tra i miei capelli. <<Sei qui... Mio dio, non saresti dovuta venire.>>

Mi scostai e gli liberai le mani strette da una corda, poi mi lasciai abbracciare e stringere forte. Piansi parecchio, e lui insieme a me, sussurrandoci parole di conforto. Sentivo il suo cuore battere velocissimo, e il mio in risposta al suo. Portava gli stessi vestiti di quando siamo scappati, con la camicia aperta e una medicazione sul torace all'altezza della pancia asciutta.

<<Perché non sarei dovuta venire?>>

<<Perché ha calcolato tutto. Sapeva che saresti venuta.>>

Cambiai argomento. <<Che cosa ti ha fatto?>>

Lui mi accarezzò una guancia. <<Mi ha sparato, ma mi ha preso di striscio. Non so se di proposito o per sbaglio, ma poi mi ha portato dentro e fatto curare. Quando mi sono svegliato ero legato accanto a Sara.>>

<<Sapeva che prima o poi lo avrei scoperto e avrei tentato di liberarti. E ora siamo tutti bloccati qui.>>

Fece un'espressione sorpresa. <<Con chi sei venuta?>>

<<Con il capo del bordello in cui ho abitato in questi mesi.>> gli vidi assumere un'espressione ancora più confusa, quindi mi affrettai a dire: <<È una lunga storia. Ora devo trovare il modo di liberarti.>>

Annuì e l'argomento cadde subito.

Presi la candela – quasi del tutto esaurita – e la usai per illuminare il perimetro della cella. Sulle pareti non c'era niente, però calpestai qualcosa: una chiave. La presi incredula e la mostrai a Juan.

Lui la osservò per bene. <<È la chiave che collega questo dannato collare alla parete.>>

Mi affrettai a girarla dentro alla piccola serratura; sentimmo subito un click e il collare cadde in terra mostrando il collo rosso e pieno di sfregature di Juan. Lo toccò con una smorfia di dolore, poi mi indicò la cavigliera. Tentai anche con quella e si aprì subito. Lo aiutai a rimettersi in piedi, ma non camminava da tempo e aveva le gambe intorpidite.

<<Te l'ho detto, ha calcolato tutto.>> disse mentre si reggeva a me.

Uscimmo dalla stanza e, lentamente, Juan riuscì a camminare da solo. Mi teneva lo stesso la mano, e nell'altra reggeva la piccola candela.

Mentre cercavamo l'uscita da quel labirinto di pietra, gli raccontai chi fosse Jonathan e dove avevo abitato per tutto quel tempo. Ascoltò il mio racconto in silenzio, senza dire niente. Camminammo parecchio e spesso ebbi la sensazione di girare in tondo se senza più una meta, finché riconobbi la biforcazione iniziale che mi aveva condotto da Lorein. Presi il comando e guidai io Juan fin quando vidi da lontano la prima candela accesa sulla parete. Aumentai il passo e Juan mi seguì arrancando, soffocando gemiti di dolore dovuti alla ferita non ancora guarita.

Ci lasciammo illuminare dalla candela appesa al muro, fermandoci sotto ad essa per riprendere fiato.

<<Riconosco questo posto.>> disse Juan. <<Fino a pochi giorni fa ero legato proprio lì.>> indicò un angolino dove c'erano varie catene in terra e ciotole vuote. <<Poi mi ha spostato lì in fondo, senza motivo.>>

La sua frase echeggiò tra i muri restando nell'aria per qualche attimo in più, poi ricominciammo a camminare verso l'uscita.

E solo quando raggiungemmo Sara capii il motivo per cui il padrone aveva spostato Juan: Alexander era lì, con un fucile in mano puntato sul petto di Jonathan.

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