«Tu non sei mio padre!»
Kate e mio papà si scambiano uno sguardo.
Sussulto quando sento la porta sbattere alle spalle di Bradley, il rumore echeggia per la stanza lasciando un'atmosfera strana, pesante, imbarazzante, rabbia, non riesco a descriverla.
Passano le ore, Brad non è ancora tornato, salgo in camera mia, dove prendo la borsa e il telefonino. Scendo ed entro in cucina, i nostri genitori sono seduti a tavola, appena si accorgono della mia presenza smettono di parlare.
«So dov'è andato... andrò a parlargli».
Mio padre sventola la mano e si alza.
«Vengo anch'io.»
«No papà, peggioreresti le cose».
Faccio una pausa per un momento prima di continuare la conversazione.
«Bradley ti apprezza molto e preferirebbe che a rimproverarlo ogni tanto fosse suo padre. Per lui, sei come uno zio, proprio come Kate lo è per me. Ma ciò non implica che non vi vogliamo bene; anzi, siete dei punti di riferimento importanti per noi. Quindi, scusate se ogni tanto vi facciamo arrabbiare».
Lui mi guarda, si spettina i folti capelli, si passa la lingua sulle labbra e cerca le parole adatte, Kate interviene aiutandolo.
«Elisa, non devi scusarti, sappiamo quanto è dura per Brad».
Si avvicina e mi appoggia una mano sulla guancia.
«Tua madre sarebbe orgogliosa di te, Matthew tua figlia ha ragione».
Arrivata al bar, saluto Jessa con un cenno, a quell'ora è vuoto, qualcuno passa sorseggiando una birra con un panino per una pausa dal lavoro. È alla sera che c'è più movimento.
Attraverso il corridoio, tra vari tavoli, finalmente vedo Bradley, sta giocando a biliardo. Mi avvicino al tavolo e lo guardo mentre tenta di colpire con la sua asta la pallina bianca.
Appoggio la mano sul suo braccio muscoloso, lui mi guarda per qualche secondo e sono io a rompere il silenzio tra noi.
«Se vinco, torniamo a casa?»
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