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E quando le parole erano finite e la giornata si era risolta con le sedie svuotate e un fiume di persone riversato a singhiozzo sulla strada, Lorenzo aveva capito che non avrebbe avuto un'altra occasione perché forse non l'avrebbe rivista mai più. Glielo suggerivano i due uomini che accompagnavano Anna praticamente ovunque e che presto l'avrebbero portata via, in un luogo segreto.

Il coraggio lo aveva trovato anche grazie a Salvatore che lo aveva spinto avanti, in mezzo alla cerchia che la circondava e le faceva domande e le scattava foto.

Salvatore si era accorto che Lorenzo era bloccato, forse lo aveva fatto più per lui che per sé, si era infilato in mezzo e con la mano era arrivato davanti ad Anna e aveva detto:

«Abitavamo rintra a stissa strata a Palermo, sunnu Salvatore, ti ricordi?»

E lei lo aveva guardato il tempo di un respiro. E riconoscendolo aveva girato lo sguardo nella folla, come se vederlo da solo non fosse logico, perché Salvatore per le strade di Palermo stava sempre con un ragazzino riccio.

Poi gli aveva stretto la mano: «Come no, ciao, che piacere».

Lorenzo era diventato tachicardico, quella ricerca l'aveva subito acceso di speranza, fosse stato anche solo un abbaglio.

S'era aperto un varco e Salvatore gli aveva spianato la strada e si era messo da parte.

Toccava a lui stringerle la mano. Anche se avrebbe voluto tirarla via per quella mano e da quella gente e portarla lontano, dove nessuno li avrebbe ritrovati. L'avrebbe protetta lui, altro che polizia.

«Anna», aveva detto forte, dritto davanti a quegli occhi che non aveva mai visto da così vicino. Infatti erano lame che trafiggono anche la superficie più dura.

Anna sembrava avere davanti un fantasma, per come si era irrigidita. Il suo volto era teso, le sue spalle appese; era così spaventoso trovarsi davanti Lorenzo?

Un filo di voce: «Sì?».

«Sono Lorenzo, su quella strada c'ero anch'io.»

E per ucciderlo aveva detto: «Scusa, ma io non ti ho mai visto prima d'ora».

Eppure erano rimasti a guardarsi, come angeli dipinti uno davanti all'altro in eterno.

La delusione aveva disegnato un solco buio e profondo sul volto di Lorenzo e pure dentro alla sua anima che non aveva trovato la forza di insistere e aveva chiesto scusa, filando via come una meteora.

Più tardi, appoggiato con le spalle contro lo spigolo di una traversa, in silenzio l'aveva guardata sparire dentro a un'auto d'ordinanza. E più si allontanava più il cuore di Lorenzo si fermava.

Salvatore gli aveva passato un foglio ripiegato.

«Lore', haju riprendere u trìenu. Stai bene?»

Ma che bene. Lorenzo stava male, altroché. Aveva sbuffato, «Che fai, mi molli i tuoi appunti?».

L'amico aveva risposto velocissimo, c'era l'autobus, lo stava prendendo al volo: «Nun sunnu i mia appunti. Me l'avi data idda», ed era sgusciato dentro.

Lorenzo lo aveva ascoltato e quasi non lo aveva capito. Si era incamminato lungo via Nomentana con un macigno nel cuore.

Poi tra le mani si era messo a guardare quella carta da lettera che aveva un profumo che non poteva essere di Salvatore.

Si era fermato in mezzo alla strada.

Lorenzo, scusami se non sono stata me stessa, oggi. Non volevo che la gente capisse. Se ti avessi detto la verità, e cioè che anch'io non ti ho mai dimenticato, lo avrebbero capito tutti, perché non ti avrei guardato come ho guardato l'altra gente. Volevo salvarti. Mi ricordo benissimo di te. Di tutte le volte che mi camminavi dietro e sapevo che, se c'eri tu sulla strada, potevo sentirmi sicura perché nessuno mi avrebbe fatto del male. Una sensazione che a noi figli di un mondo diverso non capita spesso. Ci sentiamo sempre in pericolo e ogni spigolo è buono per trovarci la morte. Ma tu c'eri e non mi hai mai lasciata sola. Non posso dirti dove mi stanno portando ma ho bisogno di sentire ancora i tuoi passi dietro ai miei. Trovami. Anche se avrò un altro nome. So che tu ne sei capace. Devi solo risalire la costa dove finisce il mare che abbiamo condiviso per anni. Se ti orienti con le stelle, sappi che mi troverai sotto l'ultima stella a sinistra.

E Roma era diventata del colore acre dell'inverno quando il tramonto ti arriva addosso ed è così potente da colorare l'aria. Lorenzo aveva iniziato a correre leggero, veloce. E felice. A prendere a salti la Breccia, superando Porta Pia come un vincitore. Finalmente libero di urlare contro tutte le mafie che nulla possono contro l'amore; che quello non lo possono spegnere, non se lo possono rubare. Che l'amore resiste anche all'oscurità.

Non era possibile, lo sapeva, che lei non si fosse mai accorta dei suoi passi. Lui quei passi li aveva contati, erano sempre gli stessi, ma mai li aveva spesi con la stessa impazienza, ogni volta era più potente. Per lei avrebbe camminato fino al cielo e senza prendere fiato.

*

In viaggio, giugno 2016

Lorenzo seguiva con lo sguardo la costa tirrenica con le mani strette al volante e i finestrini abbassati. Quei riccioli bruni si incastravano nel vento afoso dell'estate e quell'odore forte di salsedine s'infilava rovinosamente negli anfratti più intimi dell'abitacolo, tra i fogli scompigliati e le bottigliette di plastica svuotate nel tragitto. Non era sicuro di essere bravo a guardare in alto per correre in terra, ma gli pareva che adesso tutte le luci del firmamento fossero lì per lui, e ognuna indicava la direzione. Se si fosse perso, non si sarebbe arreso, ormai era una questione d'onore.

In fondo, non era la prima volta che Lorenzo tornava in quella terra difficile e così unica, ma non lo aveva mai fatto seguendo le stelle.

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