Il primo fulmine

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Aveva cinque anni, sua mamma era in giardino con la radio accesa. Aveva il pallone tra le mani. –Perché la palla che calci per aria fa un pezzo di cerchio, mamma?- aveva chiesto. Sua madre si era alzata . Era venuta ad abbracciarlo, gli aveva sistemato gli occhiali sul naso.

–Il mio piccolo newton! Ruota perché gli dai un calcio, tesoro, vedrai la maestra te lo spiegherà molto meglio di me – sorrise sua madre. I suoi occhi marroni lo fissavano con una tenerezza che faceva scomparire anche le sue più cupe paure.

-Io non so se voglio andare a scuola, mamma- rispose il piccolo alzando il pallone sopra i capelli corti e ricciolini .

-Sebastian , ne abbiamo già parlato, vedrai non sarà male - lo rimproverò la mamma.

-Gli altri bambini , non sono come me, sono più pallidi e mi prendono in giro!- protestò Sebastian.

-I bambini francesi sono pallidi, io e tuo padre non siamo originari di questo paese, ma non c'è nulla di diverso , sei figlio del console, tutti lo sanno. Vedrai che non ci saranno problemi a scuola - disse sua madre guardando il cielo sopra la palma.

–Sembra che stia per piovere- annunciò poi. Il cielo di Parigi si stava ingrigendo infatti. Una goccia pesante, piena , corposa cadde dalla palma dritta sul pallone e poi sulla sua testa. Sebastian alzò gli occhi al cielo. Vide le gocce crescere di dimensione, si sentì stringere il cuore dall'emozione, da dove arrivava l'acqua? Perché le nubi gocciolavano così? La mamma lo trascinò dentro di corsa. Nel salotto della casa d'epoca con i vetri smaltati, rimase immobile e tremante , zuppo d'acqua sullo zerbino.

–Togliti le scarpe , Sebastian!- urlò la mamma dalla stanza a fianco. Sebastian obbedì malvolentieri. Sentiva lo zerbino pungergli sotto i piedi e gli dava fastidio. Poi il rumore di un tuono lo distrasse verso la finestra. Appoggiò le mani al vetro, pigiò il naso contro e poi lo vide: una saetta che attraversò il cielo. Viola o forse gialla non aveva idea: era stata così veloce!

–Wow- aveva detto rimanendo estasiato. Era stato il suo primo fulmine.

–Sebastian, non stare così vicino alla finestra è pericoloso. Non vorrai che un fulmine ti colpisca?- La mamma l'aveva trascinato in salotto, l'aveva messo sul divano sopra un asciugamano e l'aveva avvolto. Sebastian non aveva replicato, ma aveva pensato che a lui non faceva affatto paura il temporale. Era interessante. E lui non capiva perché la mamma avesse tanta paura.

–Mamma la maestra ci spiegherà cos'è un fulmine? - chiese poi.

–Sì, credo, anche se non il primo anno forse. E' una cosa difficile, Sebastian!- rispose la madre. Aveva il vestito a fiori ancora zuppo di pioggia. A Sebastian piaceva molto quel vestito, gli ricordava i colori del posto in cui era nato: la costa d'Avorio.

-Io voglio sapere come mai avviene un fulmine- disse deciso Sebastian.

-Sei così curioso, Sebastian, vedrai che ti piacerà la scuola- aveva sorriso sua madre coprendogli la faccia con l'asciugamano.

Quello che aveva addosso eppure non sembrava più un asciugamano. Pizzicava. E gocciolava allo stesso tempo. Sebastian irrigidì le braccia e cercò di tastare sotto di lui. Sentiva il sangue in bocca. La mano sinistra sentì una parte rugosa, come di un tronco, la mano destra... nulla. Si sbilanciò leggermente poi si afferrò con la mano sinistra. Si rimise dritto. Respirò profondamente e aprì gli occhi, aveva un ramo in faccia, un sempre verde. E non si trovava affatto a Parigi. La testa gli pulsava da impazzire, le mani gli tremavano, era completamente zuppo. Non si ricordava nulla. Si soffermò un attimo sul ricordo che la sua mente aveva pescato.

Erano anni che non ci pensava. Aveva sempre voluto fare il fisico? Allora perché era finito a studiare medicina? Perché ci aveva messo tutto questo tempo per ritrovare la sua passione? Il suo primo fulmine. L'idea ora gli pareva quasi comica. Eppure sapeva benissimo che non c'era nulla da ridere. Di fulmini quel giorno ne aveva visti quanti mai prima. Eppure era tutto molto confuso in lui ciò che era successo dopo che l'auto era caduta. Guardò in basso.

Era sopra un ramo di un albero a due metri da terra. Per fortuna non aveva mai sofferto di vertigini! Si impose di fare mente locale. Non aveva mai spiegato a sua mamma l'effetto Magnus, ossia perché la palla che ruota in aria fa una traiettoria curva . Forse sua madre non avrebbe capito. E non era una cosa che potesse spiegargli la sua maestra di prima elementare, nonostante fosse molto brava. In quanto al fulmine, lì non si trattava certo di fisica elementare. Scostò il ramo che gli era caduto addosso. Aveva la testa che girava proprio come un pallone , chiuse nuovamente gli occhi e si concesse un respiro profondo.

Dietro la schiena sentiva lo spessore rugoso del tronco. Quel tronco gli aveva salvato la vita. Ricordava vagamente di essere stato trascinato fuori dal furgoncino dalla furia delle acque. Un momento: dov'era il furgoncino? Sebastian chiuse gli occhi. Respirò a fondo. Aveva paura anche solo a guardare. Si perse un attimo a guardare il cielo ancora ingombro di nubi e più avanti la vallata: rimase senza parole. Ginevra era un cumolo di focolai spenti e fumo. Si mise una mano sulla bocca per soffocare lo stupore.

Un senso di urgenza e praticità lo prese all'improvviso. Si alzò lentamente sul ramo, studiò il ramo sovrastante, vi si appese e si lasciò cadere verso il basso finché non incontrò un altro ramo. Fece un bel respiro e si lasciò andare. Il ramo sotto di lui si flesse, scivolò lateralmente, sbatté il fianco sul ramo ma riuscì ad arpionarsi ad una punta spezzata che spuntava dal tronco, si tirò più su e valutò di essere circa ad un metro e mezzo dal terreno scosceso sotto di lui. Non sarebbe stato piacevole, ma sentiva di non avere altra scelta. Si lasciò scivolare, chiuse gli occhi, mise le mani davanti a lui, cadde sulla schiena e ruzzolò per qualche metro prima che un tronco lo bloccasse. Respirò profondamente e riaprì gli occhi.

Si sentiva come se fosse passato sotto una schiaccia sassi. La caviglia gli faceva male e anche il fianco e la schiena nel punto in cui era caduto. Pregò di non essersi rotto nulla e lentamente si alzò. Si sporse tenendosi a quel tronco e studiò quella cascata da cui erano caduti col pulmino, si sporse sempre più giù finché non vide il pulmino. Soffocò un sussulto. Il furgoncino semi distrutto, coi vetri a pezzi si trovava in posizione innaturale col baule incastrato tra i tronchi e il muso che sporgeva come un fossile parzialmente nascosto dai rami di abete. Si gettò di corsa per il pendio usando gli alberi per arpionarsi. Coprì il dislivello di una decina di metri in poco tempo. Quindi si bloccò davanti al furgone. Non sapeva bene da dove iniziare. Salì sul cofano e studiò il parabrezza semi distrutto. Prese un ramo da una pila a fianco e cominciò a spostare i vetri disperdendoli verso il posto di guida, il suo posto, che era ovviamente vuoto. -Michele- il suo fu quasi un sussurro. Studiò il collega arpionato con la mano al bracciolo. Prese coraggio e gli strattonò il braccio.

-Michele! - stavolta la sua voce uscì chiara. Il braccio si contrasse quasi come se fosse stato un movimento involontario, ma Michele aprì lentamente gli occhi. Aveva un brutto taglio in fronte. Ci mise un attimo per metterlo a fuoco.

-Ehi- gli sorrise Sebastian.

-Sebastian? - lo guardò Michele allucinato.

-Mi sono svegliato su un albero a metà della cascata, credo di aver avuto la mia buona dose di fortuna- sospirò Sebastian invitandolo ad uscire dall'auto. Michele seppure lentamente si alzò e attraversò il parabrezza lasciandosi andare sul cofano. Guardò stranito il volo che avevano fatto. Gli girava vorticosamente la testa, ma cercava di respirare a fondo e mettere a fuoco la cascata tra le sporadiche gocce di pioggia che ancora scendevano.

-Dove vai? - chiese poi vedendo Sebastian che entrava nell'auto. Sebastian non gli rispose, si sedette al posto di Michele, si girò nel retro e studio la situazione. Helene era dietro di lui, il suo braccio abbondonato. Sebastian prese il suo polso tra le dita. Contrariamente a quanto temeva, Helene sembrava viva seppure incosciente. Non osò toccare Federica, ma si rivolse a Rachel, le mosse la gamba all'altezza del ginocchio.

-Rachel? - la chiamò. Ciò che fece per prima cosa Rachel fu lanciare un grugnito. Sebastian tolse frettolosamente la mano. Rachel aprì gli occhi. Imprecò. -Come sei messa? - chiese Sebastian impaziente.

-La spalla, la schiena- disse respirando a fondo.

-Ok, dobbiamo cercare di uscire da qui prima che ricominci a piovere. – la spinse Sebastien.

– Gli altri come stanno? – chiese lei.

-Michele è già uscito, Helene è viva, incosciente, Federica non ho ancora controllato – riepilogò.

-Prova a vedere se Helene si sveglia- suggerì Rachel cercando di alzarsi dal seggiolino. Sebastian si sporse e la tirò lentamente verso di lui.

-Non sembra coscente, ma forse posso tirarla fuori- aggiunse respirando per lo sforzo mentre la spostava di peso verso il sedile anteriore. La lasciò al posto del guidatore, le appoggiò delicatamente la testa e poi si rivolse di nuovo verso Rachel che stavo sentendo i battiti dal collo di Federica.

-Non è normale, va pianissimo- disse poi sconcertata. Sebastian deglutì. -Cosa vuoi fare? - le chiese.

-A quanto siamo dalla struttura? – chiese Rachel. Michele che nel frattempo si era un po' ripreso si alzò a controllare.

-In linea d'aria una cinquantina di metri al massimo. – disse poi urlando.

-Vedi un sentiero, qualcosa? - chiese Rachel.

-Se prendiamo il pendio da quella parte non dovrebbe essere troppo ripido- indicò Michele. Sebastian si sporse fuori dal furgoncino. Saltò fuori e lo raggiunse.

-Secondo me ce la possiamo fare. Dammi una mano a tirare fuori Helene. - disse poi rivolto a Michele. – La sollevo, prendila sotto le ascelle- lo istruì. La trascinarono fuori dall'auto e la lasciarono seduta appoggiata ai tronchi che bloccavano il furgoncino. Quindi Sebastian tornò verso l'auto per aiutare Rachel. La pioggia ricominciò ad aumentare. Helene si svegliò tossendo per qualche goccia che le era finita in gola. Rachel che stava uscendo in quel momento dall'auto, si sedette accanto a lei e la incoraggiò a respirare lentamente.

– Come ti senti? - le chiese poi.

-La testa- disse solo Helene cercando di massaggiarsi il collo, ma Rachel le consigliò di non toccarsi. Quindi Helene si guardò intorno sconvolta. Si alzò in piedi di scatto, dovette tenersi all'auto per quanto il mondo girava. Sebastian nel frattempo era arrivato sul sedile posteriore e aveva a sua volta poggiato due dita sul collo di Federica. Poi studiò se aveva ferite visibili. Allora si accorse di un ramo appuntito che usciva dal fianco.

-Rachel, abbiamo un problema- attirò l'attenzione della collega. Rachel si sporse. Helene li guardò senza capire: - dov'è Federica? - chiese avvicinandosi a Rachel. Quando la vide rimase senza fiato.

-È un tutto per tutto, ma io ci proverei, te la senti?- disse Rachel.

– Su c'è una cassetta del pronto soccorso, posso provarci per quel che mi ricordo, non vi garantisco nulla- aggiunse Sebastian.

Michele sospirò: - Potremmo anche ucciderla nel tirarla fuori-. La prospettiva non lo entusiasmava. Rachel guardò l'ombra della struttura, guardò il cielo.

–Io non sarei quella che sono, se non fosse per lei, non la lascerò morire qui da sola- disse decisa Rachel guardando Michele dritto negli occhi.

– Ok, proviamoci- disse Sebastian cambiando posizione. Fece un profondo respiro.

-Vai lentamente- gli ricordò Rachel. Luì annuì. Sollevò piano piano Federica dal seggiolino. Sia Rachel che Michele si sporgevano dal cofano per riuscire a prenderla non appena fosse stata a portata. Sebastian si appoggiò sulla spalla il corpo inerme di Federica, quindi ruotò verso di loro e la spinse verso il parabrezza. Helene tratteneva il fiato. Infine la appoggiarono a terra nel sotto bosco a pochi metri dal camioncino.

-Dici che su c'è una barella? – chiese Rachel dopo un momento che a tutti sembrò eterno. Sebastian annuì. Si tastò le tasche improvvisamente pressato, poi sospirò ed estrasse le chiavi della struttura. Quindi si rivolse a Rachel.

-Vado su con Helene, torno appena posso con la barella – disse dando una pacca a Michele. Entrambi annuirono. Helene seguì Sebastian verso il limitare del pendio. Il cielo sopra di loro cominciava nuovamente a borbottare come un oste arrabbiato. Rimasero entrambi allucinati a guardare oltre la vallata che scendeva giù fino a Ginevra la devastazione causata dal temporale. La notte avanzava velocemente dietro di loro. Sebastian trascinò Helene su per il pendio.

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