Il satellite

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Federica fece appena in tempo a voltare lo sguardo verso il cielo prima di vedere una palla di fuoco che tracciava una linea sopra di loro. Il cuore le saltò un battito. Rachel dall'altra parte della stanza stava parlando con Robert e Jerome. Si appese al braccio di Robert spaventata. La palla di fuoco si schiantò più a valle verso Ginevra. Il boato fu orribile e cancellò ogni altro rumore nella vallata. Una grossa mole d'acqua e fumo si alzò come un geyser dal lago lasciandoli tutti ammutoliti. La testa di Federica passava in rassegna ogni ipotesi plausibile, una dopo l'altra, trattenendo il fiato. L'unica possibile era quella che sussurrò un ricercatore poco distante da lei e che arrivò al suo orecchio in concomitanza con l'onda d'urto che fece esplodere in mille frammenti tutti i vetri della sala. Le persone urlarono e si gettarono a terra. Un Satellite.

Quel satellite normalmente girava a 300 km dalla superficie terreste in orbita geostazionaria negli ultimi strati dell'atmosfera terrestre, ma il campo magnetico terrestre stava cominciando ad indebolirsi. A quel punto i satelliti nelle fasce più esterne sarebbero stati raggiunto dalle radiazioni solari e si sarebbero trasformati in pochi minuti carcasse infuocata, variando la loro orbita e rischiando di precipitare nell'atmosfera o di perdersi nel freddo spazio vuoto. La possibilità che incontrassero altri satelliti o detriti spaziali sulla loro nuova traiettoria e li lanciassero come palle da biliardo contro ciò che rimaneva dell'atmosfera era altissima. Ognuno di quei frammenti sarebbe potuto cadere sulla terra ad una velocità impressionante, spinto dalla forza di gravità. L'atmosfera era in grado di bruciare i frammenti più piccoli, ma forse non un satellite. Il cielo si coprì di moltissime scie più piccole, come se fossero precipitati in una notte di stelle cadenti.

Nonostante la bellezza di ciò che vedeva, il pensiero che più la paralizzò oltre alla paura era che senza satelliti, non avevano modo di raggiungere i sensori. Senza sensori, non avrebbero saputo nulla riguardo l'avanzare della tempesta del 23 aprile. Niente simulazioni. Avevano usato tutto il tempo per calcolare l'impatto esatto della seconda tempesta ed ora non avevano più altro che le predizioni a lungo raggio fatte all'inizio. In più i satelliti erano l'ultima modalità di comunicazione rimasta, senza quella erano tutti isolati: era come riportare il mondo indietro di secoli. Federica rimase a guardare lo schermo dove fino a poco prima c'era l'immagine di Helene. In quel nero precipitò anche il suo cuore. Fece sparire il volto tra le mani. Non sapeva davvero più cosa fare ora.

Il sorriso di Jerome si spense lentamente. La situazione stava precipitando più in fretta del previsto. Si voltò d'istinto verso Federica. Nemmeno si era mossa. Continuava a fissare quello schermo vuoto. Si mosse a fatica nella calca di persone che si affrettavano ad uscire all'esterno per cercare di capire cos'era successo. Anche Rachel e Robert erano scomparsi nella folla. Impiegò diversi minuti a raggiungerla. Sembrava una statua. Il mondo intero collassava tutto attorno a lei sprofondando nel caos e lei era lì, immobile, con la testa tra le mani. Quando finalmente si avvicinò notò le guance di sua moglie rigate di lacrime. Lui non aveva più niente da perdere, ma lei aveva ancora una vita davanti e stava combattendo per salvare anche i loro figli e le loro famiglie. Non era il bosone di Higgs. Era molto peggio. Era una lotta che alcun essere umano vorrebbe dover perdere.

Federica alzò lo sguardo lentamente verso di lui. - Sono i satelliti- aggiunse soltanto. Allora Jerome capì il suo sconforto.

- Che stupida che sono stata! Ho tanto lavorato per salvarli per questa tempesta e poi la prossima spazzerà via tutti e nemmeno sapremo esattamente quando arriverà. Che differenza fa aver regalato dieci giorni di patimenti e morti orribili a milioni di persone? - disse Federica senza fiato. Sentiva un peso sul petto. Come un'oppressione.

-Sai, Federica, sto ripensando molto ai miei errori in questi giorni- cominciò Jerome. Federica lo fulminò. - Ti prego non adesso- lo supplicò. Lui le prese la mano e le strinse forte il polso.

- Lasciami finire Federica, ti prego. - disse allora lui. Federica sospirò a fondo e poi puntò i suoi occhi dritti contro i suoi sfidandolo a continuare. Inaspettatamente lui non desistette.

- Ho sbagliato molte cose nella mia vita, nei miei progetti. Ho sempre pensato di dover tenere tutto sempre sotto controllo per il bene della riuscita delle cose. Ho sempre pensato che se io non mi davo da fare per arrivare in fondo a certe ricerche, non l'avrebbe fatto nessuno. Quando tu sei sfuggita al mio controllo, invece di seguirti, mi sono incaponito, mi sono convinto che non potevo abbandonare la mia missione nel mondo, che dovevo continuare a lavorare e lavorare, per dare alla scienza un contributo fondamentale. Quanto sono stato stupido e presuntuoso! Potevo fare un passo indietro, seguirti a Bruxelles ritagliarmi una piccola cattedra, anche solo in un liceo e vedere i nostri figli sposarsi e fare figli e crescere una famiglia. Avrei potuto godermi tanti momenti con te e invece ho perso tutto. - sospirò Jerome.

-Jerome, non ha senso ormai, quello che è stato è stato- disse Federica decisa. Voleva tagliare quel discorso il prima possibile. Non le sembrava il momento di dirsi addio, non ancora per lo meno.

-Ascoltami bene Federica, non ti sto dicendo questo per chiederti scusa, voglio solo che non commetta anche tu il mio stesso errore. - disse lui deciso.

-Cosa intendi dire? - fece Federica irritata.

-Ho voluto assolutamente partecipare al gruppo del bosone di Higgs. Nonostante mi fossi accorto che la mia testa non era più la stessa e l'ho fatto perché pensavo di essere ancora indispensabile, ma non era così già da molti anni. Quei ragazzi avrebbero fatto un ottimo lavoro anche senza di me. Forse ho dato qualche imbeccata giusta, ma se avessi contato il tempo che gli ho fatto perdere per ricontrollare i miei calcoli, in definitiva avrebbero concluso almeno un mese prima senza di me. Capisci dove voglio arrivare? - fece Jerome impaziente.

-Vuoi dire che questa guerra non è più la mia, ma è quella di Rachel? - sospirò Federica scorata abbassando le spalle.

- No no, non solo, voglio dire che non possiamo essere io o tu a salvare il mondo, non da soli. La scienza va avanti e lo fa per il contributo di tanti, non per il lavoro di uno soltanto, è sempre stato così, sempre sarà così. Se vuoi dare all'uomo una possibilità di salvarsi, dagliela. Dagliela per davvero. Sotto questa sfera hai quasi 300 fisici, scienziati, tesoro. Trecento teste, per dieci giorni. Per quanto il bosone fosse un gran bel progetto, io ti assicuro che ognuna di queste persone qui sotto darà il massimo per trovare una soluzione perché si tratta della loro vita, di quella delle loro famiglie. - aggiunse infine Jerome. Federica lo guardò stupita. Poi si guardò attorno, vedeva quei fisici entrare ad uno ad uno. I volti terrorizzati. Stanchi. Lei aveva già trovato la gabbia. Il suo contributo l'aveva già dato.

-Accetto ad una condizione. Tu torni in ospedale ora- aggiunse Federica decisa.

-No! Perché? - protestò Jerome. - Non sarà ancora per quella scommessa che hai fatto col dottore? - aggiunse poi puntandole il dito contro con un mezzo sorriso.

-In parte, in parte devi convincere quello... stimato... emerito... - fece Federica trattenendo a stento la rabbia.

-Sì...- fece Jerome ridendosela sotto i baffi.

-Che il mio posto è qui e che farà meglio a trasformare quel sotterraneo in una gabbia di faraday, perché quando arriverà la grossa tempesta del 23, se non sarà attrezzato io...- continuò Federica.

-Si, va bene, amore... messaggio chiaro e forte. Ti prometto che gli farò costruire quella gabbia di Faraday- promise Jerome ridendosela sotto i baffi.

-Per il bene di tutti, intendo! - aggiunse Federica. Jerome annuì lasciando intendere di aver capito benissimo. Federica si alzò, ma il suo fianco lanciò di nuovo una fitta preoccupante. Fece due profondi respiri.

-Finito qui, vi raggiungerò, promesso- aggiunse infine quando riprese fiato. Jerome le sorrise.

-Vado a cercare il mio autista- aggiunse dirigendosi lentamente con la carrozzina verso la rampa che portava all'esterno.

Federica invece fece un gran respiro e poi chiamò il direttore del CERN che le si avvicinò subito.

- Se siamo nella merda, me lo può dire senza troppi giri di parole- disse l'uomo senza troppi convenevoli. Federica sospirò. Studiò i suoi occhiali con una lente a pezzi, il profondo livido sulla tempia, il taglio sulle braccia. Si chiese quanti di loro avessero ancora la lucidità per pensare a qualcosa di buono.

-La gabbia di Faraday fermerà un'onda dieci volte più grossa, questo posso assicurarglielo. Il problema è la tempesta. E le radiazioni, prima e dopo...- aggiunse guardando il cielo ancora nuvoloso, ma striato di raggi rossastri.

-Immaginavo- annuì il direttore.

-Saremo senza satelliti nel giro di 24 ore. Spero che i miei su stiano facendo più calcoli possibili, ma non ne ho idea e non ho modo di comunicare con loro al momento. In realtà non so quanto sapere il momento preciso possa aiutarci. Tra venti quattro ore il nostro mondo sarà rispedito al 1800. Solo comunicazioni radio via terra. Quando l'atmosfera collasserà negli strati più bassi, tra cinque/sei giorni, inizieranno le tempeste solari e anche quelle saranno fortemente disturbate. Linee elettriche in tilt, blackout...- Federica stava ragionando a voce alta.

-Dio mio... ed è solo l'inizio...- disse il direttore asciugandosi il sudore dalla fronte. Federica lo vedeva grondare ogni particolare che lei aggiungeva.

- Le dirò schiettamente che io non ho un'idea per saltarci fuori al momento, ma come faceva giustamente notare mio marito, siamo 300 teste, 300 scienziati sotto una sfera. Può mandare tutti a casa dalle loro famiglie oppure possiamo provare tutti insieme a trovare un modo per garantire all'uomo la sua esistenza sulla terra, in numeri non irrisori. - aggiunse Federica decisa.

- Finché l'atmosfera non collasserà, le assicuro che nessuno si muoverà di qui. - disse deciso il direttore. - Bene, la ringrazio molto- aggiunse Federica prima di raggiungere Rachel.

-Jerome mi ha detto cosa pensi di fare. È ... wow... - aggiunse Rachel eccitata. Strano che Jerome non si fosse preso il merito di quell'idea.

-Ci servono molte lavagne e molti pennarelli. - disse solo Federica. Rachel annuì.

- Tu come stai? - aggiunse poi.

- Meglio di quanto starò tra dieci giorni se non troviamo nulla- tagliò solo Federica. Rachel tirò un profondo respiro e poi fermò alcuni ricercatori che conosceva perché l'aiutassero con le lavagne.




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