15 luglio 1676 pt. 3

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«Mamma, guardate quelle focaccette!» cinguettò Ludovica indicando il banco di un venditore di dolciumi. Galatea, dandole retta, si avvicinò e scrutò con attenzione la merce in vendita; poi, quando anche Giovannino l'ebbe affiancata, domandò a entrambi che cosa preferissero. La calca era notevole, poiché la festa aveva attirato gente da tutti i paesi circostanti e a quell'ora, prossima più al mezzogiorno che alla mattina, tutti spingevano per accaparrarsi le migliori leccornie.

«Io voglio due di quelle focaccette con l'uva!» ribadì la bambina, saltellando sulle punte per l'eccitazione. Giovannino, dopo un'occhiata più meticolosa, scelse una fetta di torta salata e una manciata di pesciolini fritti. Galatea, infine, optò per una focaccia semplice.

«Questo sarà il pranzo di oggi, non abbuffatevi o più tardi avrete di nuovo fame», raccomandò, distribuendo a ciascuno ciò che aveva richiesto. Ludovica, come se non avesse prestato orecchio a sua madre, morsicò immediatamente la sua focaccetta con un'espressione di vera e propria estasi. Galatea si concesse un assaggio alla propria focaccia, che trovò ottima, prima di dirigersi con una certa fretta ai limiti della piazza, dove la folla era meno fitta. Giunti al riparo dalla ressa, si udì un'intera formazione di trombettieri dare aria agli strumenti contemporaneamente al rintocco delle campane: era mezzodì e, come da tradizione, i pescatori di Vallebruna erano pronti a sfilare nel porto con le insegne del paese e la statua del patrono. Si ricordava in quel modo l'arrivo, un paio di secoli prima, delle reliquie che tuttora dimoravano nell'altare della chiesa. Giovannino, al primo squillo di tromba, sobbalzò come se non avesse aspettato altro dal proprio risveglio e, afferrando Galatea per un braccio con una confidenza che andava oltre l'ordinario, la pregò di seguirlo al porto senza altre esitazioni, o non avrebbero trovato posto. Lei, prendendo Ludovica per mano, gli fece cenno di avviarsi avanti per aprire loro la strada e Giovannino, astutamente, decise di passare per le vie interne e non per quella principale: trovarono così ben pochi ostacoli e arrivarono alla meta prima di molte altre persone che si erano attardate in piazza ed erano rimaste rallentate dal fiume di gente che scorreva, lento e goffo, verso il mare seguendo il tratto cittadino del torrentello che vi sfociava. Non vedendo l'ora di assistere a uno spettacolo tutto nuovo, Giovannino aveva studiato nei giorni precedenti la migliore posizione da cui ammirare la sfilata e condusse le sue due accompagnatrici in un cantuccio poco affollato, ma da cui era possibile godere un'ottima vista. Ludovica si fece prendere in braccio, implorando di ricevere subito la seconda focaccetta, ma la mamma le negò questo vizio additandole le prime vele che si affacciavano nel recinto del porto.

La gente prese ad applaudire e a lanciare strilli di ovazione: le barche, agghindate con nastri, fiori e campanelle, scivolarono lente e solenni in fila indiana, disegnando una circonferenza all'interno della quale si pose infine una piccola imbarcazione su cui, a detta dei più anziani, le reliquie erano state trasportate nell'ultimo tratto: su di essa svettava, in cima a un piccolo palco di legno stuccato in oro, la statua di San Bonaventura che aveva il suo piedistallo di pietra nella cappella laterale della chiesa.

Il parroco, indossati di nuovo i paramenti bianchi della messa solenne della mattina, benedisse il porto, gli abitanti e le loro barche, mettendo sotto la protezione del santo gli affari del paese e la crescita della fede cristiana. Il silenzio religioso durò giusto il tempo di una breve esortazione, poi, quando si ritenne che il curato avesse espresso abbastanza, gli applausi servirono a zittirlo in pochi secondi. Le barche compirono un ultimo giro attorno alla statua, quindi cominciarono a disperdersi lungo il molo per attraccare e continuare i festeggiamenti in altro modo. La folla, ugualmente, iniziò a diradarsi, ma c'era ancora tanta gente quando le truppe ducali si presentarono, armate di picche minacciose, sulla piazzetta del porto.

Fu Galatea, stavolta, a scattare sulle punte per non perdere la visuale; il mormorio dei presenti era un frastuono di domande, di risposte improvvisate, di preghiere e maledizioni e questo non le permise di ascoltare le parole con cui l'ufficiale si indirizzava a chi si trovava sul suo cammino. Come se ciò non bastasse, il nervosismo sollevato dalla vista dei soldati spinse i più ad allontanarsi verso i camminamenti laterali; quelli che, come Galatea, cercavano, vuoi per curiosità, vuoi per sospetto, di restare al proprio posto per vedere meglio vennero inevitabilmente travolti e costretti a seguire la corrente. Fu così che si ritrovarono a prendere fiato sotto l'arco di una volta tra due case di pietra, a ringraziare il cielo di non essersi persi di vista nella confusione. Passato il primo istante di incertezza, Galatea decise che sarebbe stato meglio tornare a casa e rifugiarsi lì in attesa che il trambusto si quietasse; ma, prima di avviarsi, un uomo ammantato le diede un colpetto sulla schiena, poi si avvicinò all'orecchio e sussurrò: «Seguitemi», e li precedette camminando spedito. Se non si fosse trattato di un personaggio familiare, Galatea si sarebbe ben guardata dal mettere in atto il suo comando; poiché la voce dell'uomo le era nota senza ombra di dubbio, sollevata in braccio Ludovica, gli andò dietro, perdendosi nelle stradine intricate della zona del porto. Giovannino, che non aveva impiegato più di un secondo a riconoscere il passante incappucciato, gli trotterellava accanto sorridente e a testa alta in un modo che fece sorridere la marchesa. Eppure il suo respiro era corto, sia per il passo svelto sia per il bisogno di avere notizie: a un certo punto si chiese se lo stesse pedinando perché gliel'aveva imposto oppure perché aveva lei stessa la necessità di parlargli. Galatea, però, non dovette attendere ancora molto: si arrestarono, infatti, in una piazzetta su cui affacciavano capanne disabitate e ridotte in rovina dall'ultimo terremoto. Lì, seppero dopo, si sarebbero accampate le truppe ducali prima di riprendere il cammino verso la capitale, cosa che avrebbero fatto nel primo pomeriggio nonostante la calura estiva.

Dopo un'accurata ispezione dei ruderi, per assicurarsi che nessun vagabondo vi avesse preso dimora, Ferraris si sfilò il cappuccio dalla testa e si mostrò con una faccia orgogliosa e soddisfatta. «Tutto va per il meglio. Ora che anche Toni Pertica è stato preso, posso dire con assoluta certezza che ogni pericolo è passato e non c'è più nulla di cui preoccuparsi.»

Galatea giunse le mani e sussurrò un'invocazione di ringraziamento alla Madonna, poi abbassò le braccia e guardò Ferraris con lo sguardo illanguidito: «Eppure,» disse, «mio marito non è qui... Dov'è? Sta bene?»

«Benone, parola mia! È a casa e vi aspetta.»

«Oh, grazie, grazie!» esclamò, indirizzando ancora le sue parole verso il cielo, quindi riprese: «Andrò subito da lui, mi fermerò a qualche bancarella a comprare del cibo... Ma sta bene? Gli manca qualche cosa?»

«Che io sappia, gli mancate solo voi...» le rispose con un'occhiata eloquente. Galatea sentì vibrare il cuore e prese un respiro, ma subito si trattenne e bisbigliò: «I bambini?»

«Lasciateli qui con me, esploreremo insieme queste rovine... Magari ci troveremo un tesoro nascosto!»

Giovanninoalzò le braccia urlando di giubilo, Ludovica rise battendo le mani;rassicurata, Galatea diede un bacio alla figlioletta e si volse in direzionedel porto, per tornare, da laggiù, alla propria casa.

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