15 luglio 1676 pt. 7

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«L'avevo detto che eri una brutta faccia da sbirro.»

Con queste esatte parole Toni Pertica, ammanettato e abbandonato ai piedi di un muretto diroccato, accolse il ritorno solitario di Ferraris. L'ufficiale Negri gli lanciò un'occhiata velenosa, ma non osò parlare in presenza del consigliere del duca; avevano concordato di mantenere un profilo anonimo in modo che i prigionieri potessero intuire il meno possibile riguardo all'identità di chi li aveva fermati. Nemmeno il marchese si era presentato esplicitamente come tale e il fatto che Rosina l'avesse riconosciuto non implicava che lo stesso valesse per gli altri congiurati: l'ordine di arresto era stato emanato dal duca Antonio II in persona e, stando alle notizie ufficiali, la famiglia del marchese era all'estero per un viaggio diplomatico.

Ferraris, in ogni caso, non si lasciò intimidire dall'aggressione verbale e non fece cenno a nessun soldato di intervenire; Toni, con arroganza, riprese: «Tu, parruccone, che cos'hai contro di me? Che ti ho fatto?!»

Lo ignorò di nuovo, andando in un angolo a confabulare con Negri. Mentre il marinaio scaricava tutte le sconcezze della sua bocca contro di loro, i due discutevano gli ultimi dettagli della partenza.

«Sua Altezza», cominciò Ferraris, «ha dato l'ordine di trasferire il prigioniero a Ponte San Giulio con la garanzia che non possa sfuggire e valicare il confine.»

«Non accadrà, signore!» ribatté Negri con fermezza militare.

«La carrozza per le Loro Altezze?»

«Si trova appena fuori dal paese, in un luogo discreto.»

«E gli uomini della scorta?»

«Li ho già incaricati, attendono solo un vostro segnale. Sono quei cinque cavalieri laggiù.»

«Pronti a montare in sella, vedo», concluse Ferraris, quindi, aggiustatosi un ricciolo ribelle, mosse un passo in direzione del paese e con lo sguardo proiettato avanti disse: «Legate il prigioniero ai cavalli. Non appena le Loro Altezze compariranno in fondo alla strada, voi prenderete la via.»

«Avete qualche dubbio per cui ritenete prudente la nostra presenza?» domandò Negri seguendolo dappresso.

Ferraris respirò a pieni polmoni. «No, nessun dubbio. Solo una precauzione.»

Toni Pertica, intanto, non aveva taciuto un solo istante: aveva insultato buona parte degli antenati di Ferraris, in ispecie quelle di sesso femminile, con toni e parole che eccedevano i consueti usi degli arrabbiati. Aveva altresì dimostrato di avere una pessima considerazione dell'uomo e ancor peggiori augurii per il suo futuro. Si era già sfogato su Negri e il fatto che non l'avesse mai visto gli tolse gran parte dell'astio che invece nutriva verso l'altro personaggio.

«Tu,» lo apostrofò di nuovo quando il colloquio segreto fu terminato, «parlo con te, cortigianetta da quattro soldi!»

Ferraris voltò appena il viso nella sua direzione e tanto bastò per suscitare una pioggia di epiteti volgari; ma aveva una corazza spessa e non si fece impressionare. Rimase impassibile, rivestito di un manto di superiorità altezzosa, e non fece che provocare il prigioniero a manifestazioni sempre più scadenti. Non contò le volte in cui sputò nella sua direzione; non contò le volte che gli augurò di morire ammazzato in pasto ai pescecani. Le sue parole non lo sfioravano e, anzi, lo spettacolo tragicomico offerto così gratuitamente gli era utile a distrarsi dalla morsa dell'attesa.

Suonarono le tre. Ferraris alzò lo sguardo alla cima del campanile, che distava un buon tratto dal quartiere diroccato. Smorzò un'imprecazione tra i denti, chiuse il pugno e fendette l'aria, portandosi poi le dita alle labbra a mordersi le nocche.

«Signore, volete che andiamo a cercarli?» propose Negri, già affiancato da due dei suoi uomini.

«No, maledizione. E gli ho detto di fare in fretta...» borbottò. Toni scoppiò a ridere e riprese a punzecchiarlo: «I tuoi amici ti hanno lasciato solo? I miei non si dimenticano mai di me, sai? Sfregiato, chi è che aspetti?»

«Che razza di amici vuoi avere, schifoso?» replicò lui, giusto per alleggerirsi il peso dell'impazienza. Aveva i nervi a fior di pelle e il passare lento e inesorabile dei minuti non faceva che peggiorare il suo stato d'animo esponendolo a pericolosi accessi di irritabilità. Toni Pertica, facendosi apertamente beffe di lui, rise sguaiato e ribatté: «Attento a offendermi, sai! I miei amici non vogliono che mi manchi di rispetto».

«Vuoi tacere, avanzo di galera?» intervenne Negri, brandendo un frustino. Tuttavia, non lo colpì, per evitare di contravvenire agli ordini del superiore. Gli fu sufficiente veder passare sul viso beffardo del criminale un'ombra di timore; gli volse le spalle e riprese posto accanto a Ferraris e già Toni aveva ricominciato a sghignazzare.

«Lasciatelo perdere,» bisbigliò Ferraris a braccia conserte, «piuttosto preparatevi a mandare qualcuno in paese per cercarli...»

«Aspettate, signore. Con permesso, guardate là, all'imbocco di questa via...»

«Vedo solo un uomo e un ragazzo... Chi c'è di guardia?»

La strada era in ombra, chiusa tra i muri delle case, e ciò non permetteva di distinguere oltre ogni dubbio i volti e gli abiti di chi stava sopraggiungendo. Negri non fece comunque in tempo a rispondere alla domanda che un soldato si staccò dal muro e si piantò a metà della via, impedendo di proseguire. Dopo un breve parlottare, la guardia si impettì, si inchinò e si trasse da parte. I due ripresero a camminare e divenne chiaro che con loro ci fosse anche una bambina.

Ferraris si sentì venire meno e andò loro incontro senza pensarci due volte. Quando fu abbastanza vicino, notò che Ottavio era molto preoccupato, cupo; Giovannino era nervoso e Ludovica, da ultimo, era quasi in lacrime.

«Che cos'è accaduto? Lei dov'è?»

«L'abbiamo smarrita... Ora vi spiego meglio...» disse il marchese, proseguendo a raccontare i fatti così come si erano svolti. L'avevano chiamata, erano andati in cerca di lei, ma Galatea non era più ricomparsa. Ferraris tremò e tremò anche Ottavio; nel mentre erano arrivati allo spiazzo tra i ruderi e Toni Pertica non li privò della dovuta accoglienza. Fischiò forte e constatò: «Quanti brutti sbirri a Vallebruna! Devo mettere in guardia i miei amici...»

Ottavio lo degnò a stento di un'occhiata, poi, con un movimento istintivo, allontanò la figlioletta da quell'uomo e le ordinò sottovoce di sedersi in un cantuccio riparato. Giovannino la raggiunse per tenerle compagnia e farle animo. I due adulti – tre con l'aggiunta di Negri – si scambiarono le informazioni necessarie per coordinare le operazioni di ricerca.

«Ehi, damerino con il vestito blu!» sbraitò Toni a un tratto, e tutti i soldati presenti fremettero dalla voglia di vedere quale sarebbe stata la reazione del marchese. «Tu, proprio tu con la faccia sveglia, io ti ho già visto da qualche parte.»

Ottavio, dal canto suo, non poté dissimulare il fastidio e quasi la furia che il solo pensiero di Toni gli suscitava. Gli dedicò uno sguardo carico di odio, strinse i denti e aggrottò le sopracciglia.

«Può darsi», rispose soltanto.

«Io non dimentico mai una faccia, quando la vedo. E il tuo muso non mi è affatto nuovo... Dov'è che ti ho visto?»

Ottavio fece spallucce e si rivolse nuovamente a Negri, cui stava spiegando le circostanze in cui Galatea si era persa, quando Toni ridacchiò e riprese, leccandosi le labbra: «Ora mi ricordo. Eri al bordello con la biondina...»

Ferraris impallidì, Negri lo stesso, mentre Ottavio arrossì vivacemente. Un mormorio si sollevò tra i militari.

«A me lei piace, sai? Mi ricorda un'altra fanciulla che ho conosciuto da poco...» continuò Toni. «Solo che me la ricorda troppo, ecco, e allora è meglio se le sto lontano.»

«Frena la lingua», gli intimò Ferraris, temendo che potesse spingersi a dire cose sconvenienti di fronte al marchese. Questi, però, reagì in maniera inaspettata e avanzò verso il prigioniero con aria spavalda.

«Sì, ero io con la biondina. E quindi?»

«Quindi so chi sei, idiota», replicò, sputandogli tra i piedi. Lo fissò per un momento in silenzio, passandosi la lingua sugli incisivi.

«Dubito che tu lo sappia», fu la risposta di Ottavio.

«Dov'è tua moglie, Ferrarini?» gli rinfacciò, scoppiando a ridere subito dopo. «È lei che cerchi, vero?»

Il mormorio tra i soldati crebbe e Negri si guardò rapidamente attorno con aria tesa. Ferraris raggiunse il marchese e lo trovò livido in volto come una furia.

«Che cosa sai di mia moglie?» domandò atono, guardandolo dall'alto in basso.

Toni mostrò i denti in un macabro sorriso e tacque per la prima volta, al che Ottavio dovette ripetersi senza nascondere il grande livore. Il marinaio si lasciò sfuggire un risolino di scherno e bisbigliò: «Non ti conviene trattarmi con disprezzo, signore.»

Avvenne tutto in un battito di ciglia: Ottavio si abbassò, ghermì Toni per il collo della camicia e lo tirò in piedi, spingendolo contro il muro, incurante della polvere che gli pioveva addosso dalle rovine. Toni trasalì, si dimenò, ma la presa era troppo stretta per divincolarsi e le mani legate dietro la schiena gli impedivano di difendersi.

«Parla, assassino, o farò in modo che tu sia squartato in piazza!» urlò, scuotendolo forte.

Ferraris, che assistette da vicino alla scena, non si intromise, restando fermo al proprio posto. Negri, preoccupato che il manigoldo potesse approfittare della confusione per tentare la fuga, richiamò i propri uomini e li dispose in semicerchio con i moschetti in pugno. Toni, difatti, si servì della posizione eretta per sferrare un calcio contro il suo aggressore, ma questi fu pronto a scansarlo e a restituirglielo con successo. Il marinaio arrancò, colpito in una parte sensibile, ma non si arrese e lo derise ancora.

«Parla, ti dico! Che cosa sai di mia moglie?!» urlò di nuovo Ottavio, scuotendolo senza posa.

«Per quello che so,» rispose stavolta l'altro, «tua moglie a quest'ora potrebbe essere già morta stecchita.»

Nel silenzio attonito che seguì la rivelazione, si udì sommesso il pianto di Ludovica. Un suono veramente flebile, che a malapena si sollevava dal corpicino accucciato a terra, ma che arrivò tremendo alle orecchie di Ottavio. Spinse con più forza contro il muro, fino a che gli parve di sentire lo scricchiolio delle ossa di Toni; gli afferrò il grugno con la mano e strinse, immergendo le unghie nella carne raggrinzita delle sue guance scavate, poi scese sulla sua gola e cominciò a premere. I gemiti del marinaio si trasformarono presto in rantoli e rumori gracchianti nei quali si insinuava qualche preghiera di pietà.

«Dov'è! Dimmi dov'è, maledetto!»

«Che vi importa, tanto è morta ormai!» ansimò quello.

Ottavio premette più forte sulla sua gola e sentì il suo respiro agonizzare nella trachea, vide i suoi occhi strabuzzare e le sue vene gonfiarsi.

«Fermatevi o lo ucciderete!» intervenne Ferraris, allentando la presa della mano destra di Ottavio.

«Sei un pezzo grosso, tu,» tossì Toni, «ma non puoi farci niente. L'avevamo scelta da tempo, era destino che succedesse. Mi dispiace che mi abbiate arrestato...»

«Tu vaneggi, matto! Dimmi dov'è!» gridò il marchese, cominciando a cedere alla disperazione.

«Non temi la morte, vero?» lo apostrofò Ferraris, venendo in soccorso con la medesima angoscia dell'amico. Toni lo soppesò e rispose sfrontato: «No che non la temo!»

Ferraris, allora, brandì un pugnale che portava alla cintura e glielo sventolò sotto il naso.

«Sarebbe scontato se ti ammazzassi come un cane rognoso, vero?» lo incalzò.

«Altroché!»

«Bene...» approvò, abbassando la mano fino a pungere, con la punta del pugnale, l'inguine del marinaio. «Perché se non parli subito, farò in modo che tu la morte la implorerai in ginocchio nel tuo sangue. E io non te la darò finché non avrai rinnegato tutta la tua schiatta da qui ai giorni del Signore.»

Per dare corpo alle minacce, Ferraris penetrò superficialmente nella sua carne, facendo sì che urlasse come nessuno prima. Gli diede il tempo di riprendersi e si accinse a rifarlo, ma Toni fu svelto a vuotare il sacco: «Bastiano l'avrà portata al vecchio mulino; ma l'avrà già ammazzata, statene certi. Lui non è come me, non si gode i piaceri della vita... Lui è uno svitato, lui ammazza...»

«C'è altri con lui?» ruggì Ottavio, scuotendolo di nuovo.

«Solo lui, solo lui, lo giuro!» boccheggiò con la voce insolitamente acuta. «Ma è tardi, vi dico! È morta, morta stecchita!»

Ottavio, esasperato da quella nenia continua, pose brusca fine all'interrogatorio: sferrò un pugno in viso a Toni così potente e inaspettato che il malcapitato, dopo un gemito, stramazzò a terra privo di sensi. Il marchese, invece, scattò felino in groppa a un cavallo, prese le redini tra le mani e si diede a un folle galoppo verso i campi. A poco servirono le urla di Ferraris che lo richiamava indietro: egli si vide dunque costretto a seguirlo, non senza essersi munito di un moschetto carico.

«Signore, vi veniamo dietro?» domandò Negri, prima di mollargli le redini.

Ferraris pensò rapidamente e ordinò: «Spedite i cavalieri lungo le strade fuori dal paese e pattugliatele; i fanti corrano in ogni dove e interroghino la gente. Quest'uomo è alto, robusto, capelli corti e scuri, occhi piccoli. Raggiungeteci al vecchio mulino con gli uomini strettamente necessari perché, qualora il criminale abbia ragione e il delitto si fosse già consumato, sarà bene impedire la fuga.»

Detto ciò, rivolse il cavallo in direzione del marchese, ormai un punto lontano in una nuvola di polvere, e diede di sprone.

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