8 luglio 1676 pt. 3

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Ottavio e Galatea, poco dopo cena, si erano avviati in camera insieme. Coricatisi, lui le aveva dato un bacio sulla guancia, aveva indugiato a ritrarsi e poi si era umettato le labbra, quasi ad assaporare il ricordo della sua pelle. Poi, esausto, era crollato nel cuscino. Non le aveva fatto intendere di volere nient'altro in cambio ed era stata una mossa efficace per accattivarsela. Si era accoccolata accanto a lui sempre più vicina e, quando era stata certa che fosse addormentato, si era protesa a baciargli la guancia, contenta del suo segreto.

Ferraris, nell'altra stanza, stava terminando di scrivere i propri appunti su un quadernino da viaggio. Ci volle il suo tempo, ma alla fine arrivò. Entrò di soppiatto, senza lume, convinto che entrambi dormissero, e cominciò a svestirsi come ogni notte. Galatea, però, vegliava ancora e, vedendolo entrare, si mosse sotto le lenzuola. Ferraris guardò nella sua direzione, ma non sospettò nemmeno per un istante che fosse vigile. Tornò alle proprie faccende, lasciò i vestiti da parte e si accinse a coricarsi; prima di farlo sedette sull'orlo del materasso e portò le mani alla benda per slegarla. Galatea, allora, tossicchiò per attirare la sua attenzione; lui si volse, la vide e arcuò le sopracciglia per la sorpresa.

«È molto tardi?»

«Credo di aver sentito battere undici rintocchi.»

Galatea respirò con un certo impaccio e disse: «I bambini dormono?»

«Come sassi.»

Il silenzio ripiombò sovrano nella stanza; nessuno si mosse. L'unico flebile suono era il respiro di Ottavio. Galatea si era girata dandogli le spalle per tenere lo sguardo fisso su Ferraris, ma la consapevolezza che fosse dietro di lei la tranquillizzava; tuttavia, contraddizione che le capitava spesso di rilevare in quei giorni, avrebbe volentieri chiamato a sé anche l'altro, per averli entrambi attorno. Un briciolo di ragione, però, le consigliò di non esporsi al suo giudizio; la voce, che in quel momento era diventata sottile, quasi impercepibile, la esortava invece a consegnarsi del tutto a lui, agendo su quella parte del suo animo che inclinava verso di lui.

Ferraris sospirò e si distese sul materasso, il gomito piantato nel cuscino e la mano premuta contro la guancia destra, per non perdere la prospettiva da cui gli piaceva guardarla. La vide esitare, quasi fosse indecisa su qualche cosa, e sorrise; e in un attimo decise come si sarebbe dovuta risolvere quella notte.

Galatea, inconsapevole e pur avvisata da un sesto senso, cambiò l'espressione esitante con una diffidente; la tenue luce che penetrava dalla finestra rivelò a Ferraris il rischio di un disastroso fallimento.

«Vedo che avete paura di me», osservò scanzonato. Lei, a quell'insinuazione, ribatté con una smorfia e si sollevò sui gomiti con aria offesa: «Perché dovrei avere paura di voi?»

«Non lo so: perciò ve l'ho detto, perché mi pare strano.»

Ottavio mugolò nel sonno e Galatea sobbalzò per timore che si svegliasse. Ferraris approfittò della sua distrazione per scivolarle vicino, così vicino da sfiorare le sue cosce con le proprie; lei, istintivamente, si spinse con la schiena contro il petto del marito e lui, dormendo, le abbandonò un braccio nell'incavo del fianco. Ferraris rise sommessamente, mentre Galatea, confusa, sibilò: «Spostatevi o io...»

Lasciò la frase in sospeso, ma i suoi occhi fiammeggiavano di vergogna. Lui la sfidò, premendosi contro di lei, e avvertì il fremito della sua pelle sotto la sottoveste; la spinse, dimodoché fosse stretta tra lui e Ottavio, dimodoché sentisse il contatto con entrambi e il suo pudore fosse vinto dal desiderio che la univa a tutt'e due. Il marchese, quasi collaborasse, fece scendere il braccio e allargò la mano sulla sua coscia, accarezzandola. Lei, in trappola, poggiò le mani sul petto nudo di Ferraris nell'atto di cacciarlo via, ma il tutto si risolse con un ansito di stizza e un volgere lo sguardo indietro, sopra la spalla destra.

Ferraris non si lasciò scappare l'occasione e si tuffò a baciarle il collo lasciato scoperto; nello slancio le si aggrappò alle maniche e allentò involontariamente il nodo della camicia che, scorrendo, le scoprì le spalle. Lei trasalì, si divincolò e Ottavio si lamentò a voce più alta; Ferraris, da parte sua, la strinse a sé, accavallò una gamba alle sue e solo alla fine, per respirare, si trasse da lei.

«Voi siete matto, matto! Lasciatemi andare subito o comincerò a urlare», minacciò in un soffio, con le lacrime agli occhi. Ferraris le dedicò uno sguardo intenso, poi, accarezzandole la guancia calda di vergogna, sussurrò: «Un'ultima domanda».

Galatea corrugò la fronte, ridusse gli occhi a due fessure e disse: «Fate in fretta».

Ferraris si sporse avanti, le labbra già socchiuse, e si congiunse a lei, alla sua bocca morbida e accogliente. La baciò con passione e sentì il cuore esplodere come una bombarda; allo stesso tempo, percepì le dita di lei contrarsi sul suo petto e il suo respiro spezzarsi, i suoi muscoli distendersi. Avrebbe continuato a baciarla, ma si scostò dopo appena qualche secondo per studiare la sua reazione: la trovò intontita, come se avesse battuto la testa. Dunque, la incalzò: «Che cosa rispondete?»

La sua espressione non mutò: i suoi occhi erano fissi, le labbra inumidite e schiuse nello sbigottimento, rosse e ardenti. Ferraris gliele accarezzò con la mano con cui indugiava sulla sua guancia e lei batté le palpebre un paio di volte prima di imitarlo sfiorandogli il mento. Quindi si volse indietro, guardò Ottavio dormire, poi si rivolse a Ferraris.

«Devo ripetere la domanda?» chiese lui, accostandosi tanto da poter percepire i suoi seni contro il petto. E, in assenza di risposta, la baciò di nuovo senza timore di doversi più fermare. Non le faceva cosa sgradita. Dopo un momento di esitazione, Galatea cominciò a corrispondergli, a cercare le sue labbra quando lui si tirava indietro, a percorrere le sue spalle e la sua schiena con le mani. Lui, dal canto proprio, allargò la scollatura finché la sottoveste non fu scesa più giù della sua vita e la toccò in ogni dove, incurante della mano di Ottavio abbandonata ancora sulla coscia di lei. Quando l'eccitazione lo portò a spingere la sottoveste ancora più in basso, per esplorare nuovi territori, non faticò a spostare la mano di troppo. Galatea lo lasciò fare tra brividi di piacere, offrendosi a lui con la stessa determinazione con cui, fino a un attimo prima, gli si era sottratta.

Il suo odore risvegliava finalmente in lei istinti che aveva voluto dimenticare, voglie di cui per tanto tempo aveva voluto privarsi; perché gli si stesse concedendo non le era chiaro. Perché cedesse a lui e non a Ottavio, non lo sapeva. E non se lo chiese per paura di infrangere l'atmosfera che era venuta a crearsi tra le lenzuola. Bramava baci, desiderava carezze, chiedeva un paio di mani che la toccassero dove voleva. Troppo a lungo aveva digiunato, troppo a lungo aveva rigettato l'idea di una rinnovata passione amorosa.

Eppure Ferraris si stupì del suo repentino cambiamento: più la baciava, più lei lo voleva e più lui stringeva la sua carne tra le dita, più lei gli si stringeva contro per sentirlo più vicino a sé. Allo stesso modo, però, si accorse di un'altra cosa: non voleva separarsi da Ottavio, presenza in sé rassicurante anche nell'adulterio; gli rimaneva attaccata, esigeva un contatto pur minimo con lui, come quello della mano sulla coscia e, quando questa mancò, dell'intermittente sfiorarsi della schiena con il suo petto. E lui invece cercava di trarla da parte, così da poter proseguire verso l'unico esito possibile.

Ferraris fu dunque costretto a insistere: la brancò per la vita, la tirò con forza e lei gli rovinò addosso; l'equilibrio si ruppe e Galatea, d'istinto, raccolse le lenzuola sul petto e scalciò per tornare da Ottavio. Ferraris allora si gettò di slancio e afferrò stretto il suo polso destro, quindi la sottomise a sé nel tentativo di impedirle di tornare indietro. Lei singhiozzò, gemette, ma fece di tutto per tenere basso il tono della voce, mise in atto ogni precauzione affinché Ottavio non si svegliasse. Ansimavano entrambi per la foga dell'assalto e si guardavano, penetrando con gli occhi l'oscurità che celava tutto fuorché i leggeri contorni illuminati dal pallore lunare.

«Venite, non abbiate paura», borbottò Ferraris quando ebbe ripreso fiato e, forte della posizione dominante, la spostò delicatamente verso il bordo del materasso opposto a Ottavio. Lei, questa volta, non si oppose, ma rivolse lo sguardo al marito e non lo perse di vista per un solo istante. Ferraris, vedendola in quello stato, tremò al timore di essere sul punto di consumare una violenza e ristette, diviso tra il desiderio ormai sciolto dai freni e la ragionevole idea di lasciar perdere.

«Se Ottavio si svegliasse?» mormorò a quel punto Galatea; la fiamma della speranza arse all'improvviso nel petto di Ferraris che, ancora sopra di lei, si chinò a baciarla.

«Non succederà, non succederà», disse tra un'effusione e l'altra, assaporando le sue labbra e le sue guance. Lei gli corrispondeva con prudenza, o forse con provocante astuzia femminile, ma i suoi occhi socchiusi guardavano nella direzione del marchese e la mano, il cui polso era ancora saldamente prigioniero della stretta di Ferraris, tendeva inesorabilmente verso l'altro uomo addormentato.

Galatea non avanzò parere negativo quando capì che Ferraris si stava togliendo i calzoni; neppure lo aiutò, ma questo parve a entrambi di ben poca importanza. Tolta anche la biancheria intima, i due amanti si ridistesero con più calma, presero le dovute misure, convennero sottovoce il necessario e poi, quando furono pronti, compirono il grande passo. Per Galatea la penetrazione fu più fastidiosa del previsto: per questo mugolò e irrigidì le braccia, trattenne il respiro e gonfiò il petto; Ferraris, da parte sua, ansimò piano, quasi volesse dissimulare il gran piacere che stava provando al solo pensiero di aver finalmente raggiunto un obiettivo tanto agognato. La sentiva sotto di sé, non gli sfuggiva nemmeno il minimo movimento della donna che aveva desiderato per cinque lunghi anni; ne comprese l'impaccio, l'imbarazzo, le titubanze, e la guidò pian piano oltre tutto ciò. Le carezze e i baci che l'avevano indotta a cedere divennero un piacevole contorno dell'atto vero e proprio, che d'altra parte proseguì placido e avvolgente in un crescendo di emozioni sempre più forti.

Galatea sospirava di quando in quando, rilassando le membra contratte; Ferraris invece respirava il suo profumo, inebriandosene come fosse pura ambrosia, sfiorandole il collo e le spalle con le labbra umide. Il ritmo era lento ed entrambi lo seguivano senza fatica e, soprattutto, senza far rumore. Il materasso sussultava, ma non in modo eccessivo. Lei lo accoglieva ad occhi semichiusi, la testa leggermente reclinata all'indietro, con la sensazione di affondare nel cuscino ad ogni sua spinta; ad un tratto, però, si volse a Ottavio, lo vide ignaro e ingenuo e il suo cuore si sciolse. Gli occhi le si riempirono di lacrime e, mentre Ferraris cercava le sue labbra, mai sazio di baci, lei faceva finalmente scivolare la mano destra verso il marito; mentre baciava un altro, accarezzava la guancia di suo marito, il marito che stava tradendo, e sentiva dentro di sé un gran desiderio di lui. Non provava un desiderio così forte da tanto tempo, da più tempo di quanto avrebbe immaginato. Ferraris le dava piacere, molto piacere, e con il piacere che le dava irrobustiva via via il desiderio. Avrebbe voluto piangere, Galatea, confusa da tanti sentimenti discordanti. Alla fine trovò la mano di Ottavio e la raccolse con delicatezza, intrecciando le proprie dita alle sue. Ferraris lo notò, sorrise teneramente e sussurrò: «Non mi è mai capitato nulla del genere».

Anche Galatea abbozzò un sorriso e non ebbe timore di ammettere: «Vorrei che fosse sveglio, che mi vedesse ora», ma un gemito irrefrenabile le troncò le parole. Ferraris ansimò dopo di lei, quindi a stento riuscì a domandare: «E poi? Che cosa succederebbe?»

Galatea affilò lo sguardo e rispose: «Farebbe il proprio dovere di marito».

Ferraris avvertì un lungo brivido pervaderlo in tutto il corpo e, per stare al suo gioco, la provocò: «Siamo sempre in tempo a svegliarlo... Sono curioso di vedere cosa farebbe...»

«Non lo merita,» replicò, dedicando al marito uno sguardo dolcissimo, «ma vi confesso che...»

Ottavio si mosse; socchiuse gli occhi; Galatea gli vide battere più volte le ciglia e impietrì. Ferraris si schiacciò su di lei, sperando di passare inosservato. Tuttavia, i loro respiri erano affaticati e l'oscurità sembrava amplificarli.

Passò un lungo momento di sospensione in cui il tempo parve fermarsi. Tutto era diventato incerto; d'un colpo, ogni cosa si sarebbe potuta dissolvere come polvere. Ottavio mormorò, si lamentò sottovoce, premette la testa contro il cuscino e strinse più forte la mano di Galatea, traendola un poco verso di sé. Aspettarono, trattenendo il fiato, gli occhi sbarrati; ma Ottavio si quietò senza essersi mai svegliato, smise di muoversi e di mormorare a bocca chiusa. Quando Ferraris fu assolutamente certo del cessato pericolo, tornò ad essere padrone della situazione.

La scarica di adrenalina improvvisa attizzò una fiamma già ruggente; Galatea, con le lacrime a fior di ciglia, baciava e si faceva baciare, toccava e si faceva toccare. Il suo cuore palpitava sempre più forte, dandole l'impressione di essere lì lì per scoppiare fragorosamente. Non per Ferraris, però, ma per Ottavio, al quale stava facendo un grave torto e al quale, pure, dedicava tutta la propria mente; per Ferraris nutriva immensa gratitudine per la risolutezza con cui la stava possedendo, ma lo trovava sminuito nel valore proprio in quanto amante, e non legittimo marito. Ciò non significava che non le piacesse o che le piacesse meno; semplicemente, stava scoprendo il sapore dell'adulterio. Un sapore indefinito, ma certamente amaro, eppure non disgustoso. C'era qualcosa di più: era come se fosse preparata alla scoperta, come se, in varie occasioni, avesse già assaggiata una goccia della bevanda che stava sorbendo a grandi sorsate. E conosceva i brividi che la percorrevano dalla testa ai piedi, non le erano affatto nuove; anzi, erano diventate l'abitudine negli ultimi giorni.

Scottati dall'ardore amoroso, accecati dalla smania di soddisfare ogni voglia proibita, ma ancora in un certo modo consapevoli dei rischi che dormivano letteralmente accanto a loro, conservarono qualche brandello di inibizione. Questo non li contrariò affatto; forse, invece, fu proprio il pensiero di non aver consumato tutte le energie ad eccitarli, a proiettarli già verso una nuova occasione di sfogo.

Così, quando Ferraris si chiuse su di lei per baciarle la fronte, Galatea fremeva ancora. Le sue dita, però, erano rimaste avvinghiate strenuamente alle dita di Ottavio, e i suoi occhi, non appena li aprì, si volsero verso di lui. Ferraris si coricò sul fianco destro, quindi, osservando i seni di lei che si alzavano e si abbassavano al ritmo del suo respiro, disse piano: «A che cosa pensi ora?»

Galatea sorrise debolmente per il tono di confidenza che aggiungeva un tocco di complicità; non lo guardò mentre rispondeva: «Penso che lo voglio, Alessandro, lo voglio da morire...»

E si trasse da quella parte, strisciando con discrezione, volgendo le spalle a Ferraris.

«Devi rivestirti o domani mattina potrebbe vederti nuda», constatò, non senza una punta di dispiacere.

«Rivestiti anche tu...» ribatté, e subito baciò le labbra di Ottavio. Raccolse la sottoveste, la indossò in fretta e si coricò di nuovo stretta al marito; poi si girò e picchiettò il materasso.

«Vieni qui, abbracciami insieme a lui...» sussurrò nel buio, portando la mano di Ottavio sul proprio fianco. Ferraris, rimessosi i calzoni, tornò a letto e la raggiunse, cingendole la vita, sovrapponendo il proprio braccio a quello del marchese. E mentre lui le baciava le spalle, lei baciava e baciava le labbra di Ottavio.

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Angolo Autrice

Lo so. Lo immagino. Anche per me è difficile ammettere che sia successo.

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate ❤

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