Aprile 1676 pt. 5

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"Signorina, non correte così! Finirete col cadere!" minacciava la vecchia Marianna seguendola a fatica nel passaggio stretto della dispensa, scantonando tra ceste di verdura posate a terra e spigoli di mobili e tavoli ingombri di cibo fresco. Ludovica rideva e avanzava sicura verso la porticina che dava sul corridoio, pregustando già la vittoria: sarebbe arrivata prima della balia perché era più agile e veloce di lei. Aveva fatto male, Marianna, a sfidarla così impudentemente.

Aveva ormai raggiunto la porta; aveva afferrato la maniglia e socchiuso l'uscio, un piede già poggiato sulle piastrelle di ceramica, mentre l'altro calcava ancora il cotto della dispensa.

"Ho vinto!" cinguettò come un passerotto, gonfiando il petto d'orgoglio. "Ho vinto, signora Marianna!"

Dal fondo della dispensa, la balia procedeva con il fiato grosso, industriandosi per svicolare più rapidamente tra i numerosi ostacoli. Ludovica aveva spalancato la porta e la luce aveva investito in pieno il locale; le ombre, che nella semioscurità rappresentavano solo angoli un po' più bui, erano ora disegnate con estrema precisione, comunque buie, comunque impenetrabili.

"Vi siete ricordata le uova?" l'aveva canzonata la marchesina, balzando vispa sul pavimento di piastrelle lucide del corridoio.

"Ahimè, signorina, temo di no! Andate avanti che vi raggiungo!" aveva ribattuto la balia battendo le mani per il dispetto. Ludovica non aveva obbedito, accucciandosi a spiare tra la porta e l'armadio dei salumi. Marianna scorreva le dita lungo gli scaffali da un ripiano all'altro, alla ricerca dell'ingrediente essenziale per il dolcetto che voleva far preparare per la cena.

D'un tratto, da una fenditura tra due armadi era comparsa una figura nera, alta e magra, che, portandosi dietro nel movimento brusco buona parte del cibo riposto con cura sui piani orizzontali, aveva spinto la balia da un lato, restando a guardarla cadere, battere lo zigomo contro lo spigolo di un tavolo, e quindi, incerto sul da farsi, risolversi a scappare dalla porta spalancata sul corridoio. Ludovica, in un batter d'occhio, si era rintanata sotto l'armadio, approfittando dello spazio riparato e tuttavia bastante al suo corpicino di bambina.

Se chiudeva gli occhi, la marchesina poteva ancora vedere i piedi di quell'uomo sconosciuto: le sue scarpe erano consunte, i pantaloni strappati e logori, oltre che macchiati di fango rappreso. Se prestava ascolto attentamente, udiva ancora il rumore cadenzato dei suoi passi mentre si allontanavano lungo il corridoio, scalpicciando sulle piastrelle. Poi Caterina aveva urlato; il suo grido aveva cancellato tutti i rumori, sospeso lo scorrere naturale del tempo e inaugurato un lunghissimo periodo di cui Ludovica non avrebbe saputo raccontare molto. Era rimasta lì, con i ragni tra i capelli e la polvere sotto la guancia, un odore forte di muffa nelle narici e gli strilli dei fratelli a completare il quadro drammatico.

Credeva fosse morta, la sua cara vecchia balia Marianna: il capitombolo, il silenzio seguito alla caduta non le avevano lasciato altra prospettiva, e il suo respiro si spezzava di frequente al pensiero di aver assistito a un omicidio. La sua paura, allora, era stata che l'assassino tornasse a uccidere anche lei. Invece, al suo posto, era arrivata la mamma, con i suoi occhi grigi come le nuvole d'autunno, a infonderle il calore di cui aveva bisogno.

Non aveva mai dormito nel letto dei suoi genitori: se l'aveva fatto, era stato talmente tanto tempo prima che nemmeno lo ricordava. Ma era bello essere lì perché, nonostante il buio, la paura non esisteva. Il respiro tranquillo dei gemelli, che talvolta si giravano balbettando qualche suono indefinito, le dava un gran senso di pace. Il sonno ben più silenzioso di sua madre, poi, la faceva sentire al sicuro. Rimaneva sveglia per assaporare meglio l'atmosfera di calma che aleggiava nella camera matrimoniale: benché suo padre fosse ancora lontano, Ludovica non dubitava più del suo imminente ritorno e, una volta che fosse stato a casa, allora non avrebbe avuto più nulla da temere. L'intruso non si sarebbe permesso di ritentare il colpo sapendo che il marchese era lì ad aspettarlo; non avrebbe avuto il coraggio di affrontare il suo papà, perché avrebbe perso miseramente.

Tuttavia, il suo volto era impresso nella sua mente; quando allentava il controllo, quel volto tornava di fronte a lei, con le sopracciglia nere e folte aggrottate in un'espressione di stizza e rabbia furibonda, a stento trattenuta dalla necessità di rimanere lucido. Era un uomo cattivo, senza dubbio, e allo stesso modo Ludovica era sicura di quale fosse il suo obiettivo.

Quando l'aveva detto alla mamma, lei non aveva capito, non subito; eppure aveva parlato chiaro, aveva ripetuto le parole mormorate tra i denti dall'intruso: "Maledetto bambino!", così aveva detto. E l'unico bambino lì era Ippolito.

"Hai sentito male, Vivì," l'aveva rincuorata sua madre, "hai sentito male perché eri nascosta sotto l'armadio. Hai sentito male perché avevi tanta paura".

"Ma, mamma, era vicino a me quando l'ha detto!" aveva ribattuto testardamente. La marchesa aveva scosso la testa: "Hai sentito male, tesoro mio".

Non aveva insistito oltre, ma ciò non significava che fosse convinta di aver frainteso. E, guardando gli occhi di sua madre, aveva intuito che il dubbio attanagliava la sua anima e che l'insistenza era uno strumento di difesa di fronte a un pericolo troppo grande da affrontare da sola. Non avrebbe avuto senso, altrimenti, chiuderli nella camera matrimoniale con il divieto di uscire da soli; non avrebbe avuto senso la guardia impettita fuori dalla porta; non avrebbe avuto senso la lettera scritta rapidamente, trattenendo i singhiozzi.

Ludovica era piccola e probabilmente non era del tutto consapevole di questi particolari, ma inconsciamente avvertiva la tensione e notava le cose insolite; era sveglia e curiosa, d'altronde, ma abbastanza timida da tenere per sé qualsiasi osservazione. Le bastava la presenza della mamma e il ricordo del papà lontano per scacciare ogni timore.

Galatea, invece, pur nel sonno apparentemente tranquillo, non nutriva lo stesso senso di protezione: e il risveglio, la mattina seguente, non le portò alcuna consolazione. Venne informata dal capitano della guardia che nessuno sconosciuto era stato trovato nei pressi del palazzo e che nel vicino borgo non si erano visti volti nuovi; tutto era tornato placido, secondo i ritmi di una reggia senza sovrano. I cuochi si industriavano nelle cucine, la servitù svicolava da una stanza all'altra per pulire, rassettare o trasferire oggetti. Galatea, dalla finestra, assisteva alla vita quotidiana del suo palazzo quasi che stentasse a riconoscerlo: da nido accogliente si era fatto, negli ultimi mesi, un luogo di invidie, di vendette e di pericoli.

Si strinse nelle spalle e, alzando gli occhi, incrociò lo sguardo di Ottavio che, dal ritratto, la scrutava impenetrabile. Quel volto, che nei giorni lontani di un anno prima gli era parso la più bella opera del pennello di un uomo, ora le suscitava terrore; non più il terrore dei giorni precedenti, edulcorato dalla sua lontananza reale: ora era un terrore cristallino e gelido, fatto di spine acuminate che da quegli occhi neri piombavano su di lei, smascherandola come madre irresponsabile. La lettera, però, era già stata inviata, presto Ottavio sarebbe tornato; inutile tentare di tenerlo a distanza.

D'un tratto, Galatea si irrigidì sul posto: un altro pensiero, non meno inquietante, conquistò la sua mente già impressionata dal sospetto. Si volse di scatto indagando il pavimento per non farsi sfuggire la benché minima traccia. La lettera anonima non c'era più; si rimproverò la distrazione che le aveva fatto scivolare la missiva dalle mani all'udire il grido di Caterina, si rimproverò la dimenticanza che non gliel'aveva fatta cercare subito al proprio ritorno. Nemmeno ricordava di averla più vista dopo il trambusto del pomeriggio del giorno prima. Ed ora, a ripensarci, le pareva ovvio che la lettera misteriosamente apparsa e misteriosamente scomparsa avesse a che fare con l'uomo che Ludovica sosteneva di aver scorto nella dispensa.



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Angolo Autrice


Vi chiedo scusa per il ritardo di una settimana, ma è un ritardo giustificato: settimana scorsa, infatti, mi sono laureata! XD XD XD


Non so quando pubblicherò il prossimo capitolo, spero, questa volta, di riuscire a rispettare i tempi che mi sono data. Detesto farvi aspettare tanto!

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