12. Ricominciare

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Osservavo dalla terrazza del mio appartamento la fila di ciliegi in fiore posti a perimetro intorno a un piccolo appezzamento di terra bruna, recentemente arato. Il terriccio, lavorato e lasciato fermentare con fertilizzanti naturali, era pronto per ospitare qualche ortaggio da raccogliere nei prossimi mesi. Le prime giornate si facevano più lunghe e i cappotti avevano lasciato spazio a camicie, canotte e magliette. Nell'aria si sentiva l'odore dell'erba. Questo era il periodo dell'anno che preferivo: il freddo era passato, ma l'afa non aveva ancora iniziato a farsi sentire.

Era passato parecchio tempo, forse più di un mese, da quando non sentivo più Marcello. Mi ero immersa nello studio con l'unico obiettivo di laurearmi. Indossavo già i miei vestiti e avevo la tracolla con i libri pronta, aspettando solo Marta, che era puntualmente in ritardo. Tornai dentro casa e bevvi un ultimo sorso dalla tazza prima di posarla sul lavello. Marta ed io eravamo amiche da anni e non avevamo mai litigato. Dopo la serata allo Shekinà, quando tornai nell'appartamento prima di rifugiarmi nella Locanda di Carla, non ci eravamo parlato per giorni. Ma quando ci ritrovammo in cucina, senza dire una parola, mi preparò una tisana calda. Le dissi che la storia tra me e Marcello era finita, senza entrare nei dettagli di ciò che era realmente successo. Fui brava a nascondere anche le tracce del livido enorme sul mio volto. Inventai una storia, attribuendo tutto alla mia sbadataggine, dicendo che ero caduta sotto la pioggia. Non dissi niente nemmeno a Paolo. Decisi di non fare più menzione di quanto accaduto, come se Marcello non fosse mai esistito. Stavo cercando di riprendere le mie abitudini, concentrate sullo studio, studio e ancora studio. Volevo ricostruire le mie solide barriere e tornare alla mia confortevole routine. Ripetevo a me stessa che era più sicuro tornare ai binari che avevo tracciato molto tempo prima di incontrare Marcello e il suo mondo. Pensavo di essere ancora innamorata di lui, ma sapevo che sarebbe stato meglio dimenticare, se necessario avrei dovuto mentire anche a me stessa.

«Eccomi! Sono pronta» esclamò Marta, già vicina alla porta d'ingresso, consapevole di avermi fatto aspettare. Presi la tracolla e scesi le scale insieme a lei, senza nemmeno aspettare l'ascensore.

«Tu, invece, cosa farai oggi?» chiese Marta, salendo in macchina e avviandola.

«Sono molto impegnata. Dalle nove all'una ho lezione, poi dovrei pranzare con Paolo e alle tre e trenta ho un appuntamento per la correzione della tesi» elencai, sbuffando e cercando di organizzare tutte le cose che dovevo fare, senza essere sicura di riuscire a incastrarle. «Ah, e inoltre, nei momenti liberi devo finire di leggere un libro su cui si basa la mia tesi».

«Bene, stavo pensando di invitare Giorgio fuori...» esordì Marta come se stesse condividendo un segreto che non poteva più tenere per sé.

«Giorgio?» la interruppi felice, il nostro rapporto si era ricucito con il semplice tintinnio delle tazze.

«Sì, visto che lui non si decide...» rispose la mia amica. Iniziò a raccontarmi una serie di cose su come Giorgio la facesse impazzire, rimanendo in disparte nonostante fosse chiaramente interessato a lei. Parlare di questa situazione con Marta mi rendeva entusiasta. Pensavo che finalmente tutte le cose che mi spaventavano qualche settimana prima si stessero sistemando. Avevo chiesto a mio padre di aiutarmi finanziariamente ancora una volta, così da potermi concentrare esclusivamente sugli studi e Alberto era stato più che felice di farlo.

«Be', dopo la tesi, prenderai in considerazione l'idea di tornare a vivere la tua vita?» intervenne Marta, intromettendosi nei miei pensieri. «Ormai sono settimane che non esci di casa se non per andare all'università. Non vedi nessuno, tranne Paolo. Quello là,» disse, riferendosi a Marcello, che in alcuni casi era stato addirittura chiamato l'Innominato, «ha lasciato il segno».

«Marta!» la interruppi, richiamando l'attenzione della mia amica. Lei sapeva che non mi andava di parlare di Marcello. Mi aveva lasciato un vuoto dentro che cercavo di colmare concentrandomi solo sui libri. Riuscivo ad arrivare alla fine di ogni giorno come un automa, ma di notte spesso mi perdevo nella voglia di ritornare tra le sue braccia, accarezzargli i capelli e sentire il suo profumo. Nonostante quella sera allo Shekinà. Da allora non ci eravamo più sentiti né visti. Probabilmente per Marcello ero stata solo una sgradevole parentesi, niente di più. Ma per me stava diventando un'ossessione. Non facevo altro che pensarci, creare pensieri romantici inutili intorno a lui, rivivendo ogni parola dei nostri discorsi e cercando di capire come avrei dovuto comportarmi. Analizzavo ogni cosa mentalmente, ogni nostro incontro, chiedendomi continuamente cosa avrei dovuto fare o dire in modo diverso.

«Va bene, non è il caso che ti scaldi!» disse Marta, mostrando un ampio sorriso come se volesse rimediare alle sue parole troppo ardite. Le risposi debolmente, ma rimasi in silenzio, tornando a perderti tra i miei pensieri. Senza accorgercene, eravamo arrivate davanti all'università. Salutai Marta con un bacio sulla guancia mentre scendevo già dalla macchina.

«Scusami» disse la mia amica affacciandosi dal finestrino.

«Scusami tu, non mi sento ancora pronta per parlarne» le risposi, stampando un altro bacio sulla sua guancia. Il suono delle mie labbra le fece sorridere ancora di più.

«Buona giornata!» mi urlò mentre mi avviavo verso l'antico portale in legno e marmo dell'università.

Camminavo a passo svelto tra i corridoi, facendo risuonare il tonfo sordo delle suole in gomma sulla superficie ruvida della pavimentazione in pietra. Mi avviavo verso una giornata intensa di studio, tra un corso e l'altro, seguendo lezioni, prendendo appunti e aspettando con impazienza di incontrare Paolo per il pranzo.

Avevo appena riposto il bloc-notes nella tracolla quando il cellulare vibrò: il mio caro ragazzo mi avvertiva di un piccolo ritardo. Mi avrebbe raggiunto a breve e mi chiedeva di incontrarci a metà strada nella piazzetta adibita anche a parcheggio, poco distante dall'Università. Indossai gli occhiali scuri, rotondi e quasi vintage, per proteggermi dal sole alto che si trovava appena a sinistra dello zenit. Feci solo pochi passi uscendo dallo stesso portale di stamattina quando notai Valerio lungo la breve strada che portava al corso principale. L'ultima volta che ci eravamo visti era stata quella mattina quando mi aveva salutato sotto casa, dopo essere tornati al furgoncino con una tanica di benzina. Sapevo che al locale Paolo aveva subito l'interrogatorio di Valerio più volte, desideroso di sapere la verità su di me e Marcello. Avevamo scambiato qualche messaggio una o due volte, ma nient'altro. Sfogliai la rubrica del telefono e lo portai all'orecchio.

«Ciao» iniziai con un filo di voce.

«Ciao» replicò dall'altro capo con una voce incerta e quasi incredula.

«Fermati. Arrivo. Non fare un passo» fui imperativa, divertendomi con quel gioco enigmatico, giusto il tempo per raggiungerlo. Presi un passo svelto, serrato, quasi di corsa. Valerio stava per svoltare l'angolo e in breve mi trovai alle sue spalle.

«Valerio!» lo chiamai quasi gridando.

Si girò abbassando il cellulare e sfoderando un ampio sorriso.

Feci ancora due passi fino a trovarmi di fronte a lui.

«Ciao» disse dolcemente, accarezzandomi il viso con il dorso della mano.

«Dove stavi andando?» chiesi come pretesto per trattenerlo qualche minuto, facendo riferimento alla custodia della chitarra appoggiata su un lato.

«Da nessuna parte» si propose, disponibile a qualsiasi mio eventuale progetto.

«E tu?» ribattei.

«Stavo dando lezioni di chitarra a un tizio qui vicino» si sistemò il cappello a tesa stretta per potermi guardare profondamente mentre camminavamo lentamente.

«Io non so suonare la chitarra...» pensai ad alta voce. «In realtà non so suonare nessuno strumento» continuai distrattamente, dando voce ai miei pensieri come una bambina rammaricata.

«Se vuoi, posso darti qualche lezione» propose senza togliere gli occhi di dosso.

«Ci penserò» risposi con un tono malizioso. Avevamo quasi raggiunto la piazzetta dove avevo appuntamento con Paolo. Stavo cercando qualche pretesto per poterlo trattenere.

«E adesso?» chiese ritrovandoci sotto l'insegna della metropolitana.

Seguendo il suo sguardo, mi trovai a fissare la "M" bianca della metro.

«Vale come il vischio, ci dobbiamo baciare?» scherzò, abbassando il sorriso in un'aria seria e notando il mio sguardo desideroso, che non chiedeva altro. Ci avvicinammo lentamente, con cautela, entrambi attenti a non rompere l'incantesimo. Raccolse il mio labbro inferiore con la lingua e, con il braccio libero, mi avvicinò al suo corpo. Si ergeva sopra di me, oscurando il mio campo visivo, e potevo solo osservare i suoi occhi dolcemente abbassati, lasciandomi immergere in quel bacio. Ero morbida tra la sua presa salda, sentivo la sua mano stringere per tenermi vicino a sé, mentre la sua lingua continuava a esplorare ogni angolo della mia bocca. La sua pelle rasata aveva un sapore di menta ed era liscia, quasi vellutata. Tutte le persone intorno a noi scomparvero, le macchine smisero di fare rumore e tutto si fermò come in un magico momento di sospensione. Trascorsi un tempo indefinito avvolta con piacere tra le sue braccia. Sentivo il mio corpo vibrare, ma presto mi resi conto che era il cellulare in tasca, impaziente di farsi notare. Improvvisamente, la bolla di sapone si posò a terra e l'incantesimo svanì all'istante.

Ancora presa dalla sua presa, risposi al telefono.

«Scusami, non avrei mai voluto interrompere il tuo idillio, ma sono arrivato» scherzò Paolo per prendermi in giro. Guardai intorno per individuarlo tra i volti sconosciuti e le macchine anonime parcheggiate. Dopo poco lo riconobbi in mezzo alla folla dall'altra parte del marciapiede. Era appoggiato con fierezza alla sua Panda sgangherata e polverosa. Gli occhiali scuri e l'aria risoluta, ma un po' sorniona, lo facevano sembrare identico a Daniel Hasselhoff appoggiato alla sua Supercar. Di scatto mi allontanai da Valerio, sapevo di non aver fatto nulla di male, ma mi sentii scoperta, in qualche modo colpevole. Sentii le guance arrossire e sul viso mi apparve una smorfia di vergogna travestita da uno scialbo sorriso. Ero come un contadino tra capra e cavoli, non volevo lasciare andare via Valerio, ma dovevo raggiungere Paolo per evitare che la sua ironica allegria si accentuasse. Gli feci cenno con la mano di avvicinarsi.

«Ti va di pranzare con noi?».

«Sì» rispose sillabando, mentre con gli occhi puntati su di me studiava attentamente il mio improvviso cambio di umore.

«Eccoci!» annunciavo appena Paolo ci raggiunse, presa da una strana sensazione di inadeguatezza. I due si salutarono con una calorosa stretta di mano e una pacca sulla spalla.

«Bene» continuavo a dire stupidamente, non sapendo come rispondere allo sguardo divertito di Paolo, che avrebbe reso quella scena il suo tormentone preferito per almeno una settimana.

«Dove vogliamo andare?» iniziò Paolo.

«Devo tornare in facoltà per le tre perché poi ho la correzione della tesi» sottolineai.

«Be', c'è un posto qui vicino» propose Valerio, «ci possiamo arrivare a piedi».

«Perfetto» sentenziò Paolo.

Avevo bisogno di nicotina. Mentre Valerio ci faceva strada, mi attardai a cercare nel profondo della borsa il pacchetto di sigarette. Paolo si avvicinò senza dire una parola, ma sapevo che si stava prendendo gioco di me. Voleva tutti i dettagli. Trovai le sigarette e presi un paio di boccate per far arrivare rapidamente la nicotina a tutte le mie nervature. La pausa pranzo volò via grazie alla piacevole compagnia. Ci saziammo di risate e trascorremmo un paio d'ore a chiacchierare di tutto e di niente. La sensazione di disagio iniziale svanì presto. La loro compagnia fu un toccasana per l'anima che, negli ultimi tempi, si era contorta e afflitta per l'assenza di Marcello. Lo studio era stato fino a quel momento un modo per nascondere, senza cancellare, il senso opprimente di tristezza che la mancanza di Marcello mi procurava giorno dopo giorno. Mi mancavano le sue continue attenzioni, il contatto con i suoi occhi che potevano lacerarmi dentro ogni volta che si indurivano e mi escludevano dal suo mondo. Ripensavo costantemente al suono incantevole della sua voce, rievocando tutte le sue piccole manie per mantenere un atteggiamento controllato e sicuro.

La pausa dai miei pensieri malinconici mi fece tornare un sorriso genuino. Il peso insopportabile che avevo trascinato per giorni si alleggerì, ovunque andassi, qualunque cosa facessi. Paolo fu il primo a salutarci, dovendo tornare ai suoi impegni. Aveva iniziato il tirocinio in uno studio legale e si destreggiava abilmente tra la sua crescita professionale, il lavoro come barista con cui manteneva sé stesso e la sua premurosa dedizione nei confronti di me e della sua adorata nonnina. Lo ammiravo. Era un ragazzo generoso e instancabile.

«Dobbiamo parlare tu ed io» mi sussurrò Paolo all'orecchio con un finto tono minaccioso quando ci baciammo fuori dal caffè dove avevamo concluso la pausa pranzo.

«Ti chiamo tra stasera e domani» risposi, intuendo cosa mi aspettava.

Valerio si offrì di accompagnarmi all'università e io accettai volentieri, non potendo fare a meno della sua compagnia. Riusciva a infondermi un senso di tranquillità e il suo carattere aperto e radioso stava risvegliando in me qualcosa di sopito. Per settimane mi ero sentita immersa in una sorta di torpore in cui avevo preso gusto a rifugiarmi.

Camminavo quasi a mezz'aria, così euforica che sembravo caricata da un'adrenalina strana. Mi aggrappavo al braccio di Valerio, cercando un contatto con il suo corpo, approfittando del fatto che eravamo di nuovo soli, lontani dallo sguardo indagatore di Paolo.

«Siamo arrivati» annunciai con una traccia di amarezza tra le labbra strette quando ci fermammo di fronte al portone dell'università. Valerio prese le mie mani e mi guardò dritto negli occhi. La luce che brillava nelle sue pupille azzurre mi rinfrescava più di un sorso d'acqua. Mi sentii come una ragazzina fuori da scuola con il suo amichetto, pronta a fare qualche sega a scuola.

«È stato bello incontrarti oggi» mi disse tra due sospiri.

«Anche a me» risposi prontamente, riempiendo il tempo con frasi scontate per procrastinare il momento della separazione.

«Possiamo rivederci?» chiese Valerio avvicinandosi lentamente alle mie labbra. Sobbalzai per l'imminente impatto, ma non mi tirai indietro. Anzi, desideravo ardentemente il sapore della sua bocca sulla mia.

«Sì» riuscii appena a pronunciare un monosillabo con le labbra febbricitanti.

«Quando?» umettò le labbra con la lingua, visibilmente desideroso di incontrare le mie.

«Ti chiamo...» promisi fiaccamente, non riuscendo più a contenere il desiderio di perdermi di nuovo in un suo bacio.

Ci ritrovammo saldamente abbracciati. Il calore del suo corpo sul mio mi riempì di una scarica erotica. Avrei voluto non essere per strada, esposta agli occhi indiscreti. Avrei voluto trasformare quel bacio in un vorticoso amplesso che si protrasse all'infinito.

«Devo andare» cercai tra altri piccoli baci di riprendere fiato e prendere le distanze.

«Chiamami» mi esortò Valerio lasciando scivolare le sue mani lungo le mie spalle e le braccia, ancora vibranti di desiderio.

Un ultimo bacio, un "Ciao" sussurrato appena e gli voltai le spalle. Dovevo essere drastica con me stessa, anche se non riuscivo a fare neanche un passo in più per allontanarmi.

Entrando nell'ingresso dell'università, provai a mettere in ordine i capelli, cercando di non pensare alla voglia di tornare indietro. Camminavo lungo il corridoio mentre la mia mente cercava di riordinare il caos che si era creato dentro di me. Dovevo prepararmi per la revisione, rivedere i documenti raccolti e rileggere i capitoli scritti. Salii i tre piani dell'edificio, maledicendo il vizio di fumare. Il respiro si affannava ogni volta che affrontavo quelle scale. Aspettai mezz'ora prima di poter essere ricevuta nello studio del professore. Nonostante mi sentissi impreparata, la revisione sembrò andare bene. Presi nota di alcuni libri da studiare, commentammo quello che avevo trattato fino a quel punto e discutemmo di altri argomenti. Continuai a prendere appunti senza rendermi conto che erano trascorse ore. Nonostante fuori ci fosse ancora un sole rosso al tramonto, l'università stava per chiudere. Salutai, ringraziando il professore per il tempo che mi aveva dedicato, e iniziai a pensare se aspettare l'autobus o dirigermi a piedi verso la metropolitana. Alzai gli occhi dal marciapiede e con grande sorpresa trovai Valerio seduto sugli scalini ad aspettarmi, a pochi metri dall'università. Lasciò da parte la chitarra appoggiata debolmente su qualche accordo. Si alzò il cappello per scostare la visiera e osservare meglio i miei passi mentre mi avvicinavo. Quando fui di fronte a Valerio, mi accolse con uno dei suoi sorrisi ampi, mostrandomi i suoi denti disallineati.

«Che ci fai qui?» chiesi sorpresa, o meglio, felice di incontrarlo.

«Non potevo aspettare che mi chiamassi per rivederti. Ci hai messo mesi per fare la prima telefonata, non potevo aspettarne un'altra per la seconda».

«E adesso?» chiesi.

«Invitami a casa tua!».

«A casa mia?» dissi sorpresa.

Si alzò, raccogliendo il mio volto nelle sue mani nodose e calde. Il suo bacio fu eloquente quanto un'intera frase, e capii dalle sue intenzioni che voleva venire a casa mia. Lo presi per mano, facendogli capire che accettavo la sua proposta.

Camminavo per strada leggera, indossando una t-shirt quasi informe abbinata senza troppa cura a un paio di leggings e delle comode ballerine. Restammo mano nella mano per tutto il tempo, come fidanzatini e in metropolitana non riuscivamo a tenere le labbra lontane, in continua ricerca reciproca, tanto da distrarmi quando il viaggio era arrivato alla nostra fermata. Riuscimmo a uscire di corsa solo all'ultimo istante. Ero stata distratta dalla sequenza incessante dei suoi baci, dalle sue mani avvolte intorno alle mie spalle. Il suo corpo accanto al mio mi faceva sentire piccola e protetta. Valerio era un ottimo antidoto per l'ansia e lo stress accumulati. I suoi occhi cristallini erano così profondi da farmi perdere il contatto con il resto del mondo.

«Ti posso offrire...» trattenni le parole per pensare a cosa avevo nel frigo.

«Forse ho una birra». Non ero riuscita a fare la spesa da giorni e maledissi le volte in cui ero stata pigra e avevo rimandato.

Valerio era seduto sull'orlo del divano, seguendo con lo sguardo i miei movimenti per casa. Teneva tra le mani solo le dita che picchiettavano frenetiche tra loro, rigirando e rigirando i pollici, mentre io cercavo di sembrare disinvolta senza riuscirci davvero. Marta non c'era, mi aveva lasciato un biglietto sul frigo dicendomi che sarebbe tornata tardi e di non aspettarla in piedi. Quella sera la casa era pericolosamente tutta per me. Valerio non diceva nulla, ma continuava a osservarmi mentre mi spostavo da una stanza all'altra, cercando stupide scuse. Era la prima volta che portavo un ragazzo a casa, Marta era stata per quasi due anni con un certo Giacomo e solo poche volte si era fermato da noi a dormire. La nostra casa, per lo più, trasudava disordine, un quotidiano femminile. Pensai alle confezioni di assorbenti lasciate a vista sul mobile del bagno, al mio letto disfatto, troppo piccolo per permetterci di dormire una notte intera in due. Mi affacciai nel frigo ed ebbi come risposta un silenzio assordante. C'era una confezione di yogurt Vitasnella scaduta da qualche giorno e su una mensola della porta, il blister degli ovuli anticiste di Marta.

«Posso farti del caffè!» annunciai vittoriosa. Il caffè era l'unica cosa che non mancava mai.

«Va bene...» disse Valerio dall'altra stanza.

Cercai nel lavabo la macchinetta del caffè, già utilizzata quella mattina. Se fossero venuti i vigili sanitari in quella casa, ci avrebbero messo i sigilli. Avevamo urgente bisogno di qualche lezione da parte di Martha Stewart.

Misi il caffè sul fuoco e mi lanciai alla ricerca di un paio di tazzine non scheggiate o macchiate. In cucina non ebbi fortuna e tornai nel salottino, ricordando che nel buffet dell'Ikea doveva esserci una fila di bicchierini di plastica.

Passandogli ancora una volta accanto, mi tirò per un braccio e mi tenne dritta davanti a sé. Appoggiò il suo capo sul mio ventre e mi cinse i fianchi con le sue grandi mani. Ero tra le sue gambe ed appoggiai le mani sulle sue spalle rilassate, correndo lungo le sue braccia che teneva sui ginocchi. Restammo in quella posizione statica per qualche minuto. Solo le mie mani non riuscivano a fermarsi e si spostavano dalle braccia, alle spalle, alla nuca, accarezzandolo e sentendo il piacevole tocco del suo corpo. Mi avvicinò ancora a sé, facendomi precipitare su di lui, e con una sola mossa mi fece sedere sulle sue gambe. Mi accoccolai sul suo collo iniziando a baciarlo, con piccoli tocchi che seguivano la linea naturale della sua pelle. Prese il mio volto tra le mani e cercò le mie labbra per immergercisi con la lingua. Il suo bacio era famelico e le sue mani iniziarono a muoversi in cerca del mio corpo.

L'odore del caffè bruciato si diffuse dalla cucina al salottino e mi ricordai della macchinetta lasciata sul piano cottura. Scattai in piedi, inciampando nella nostra lampada da terra. Valerio seguì i miei goffi movimenti tra divertito ed esterrefatto. Rialzandomi, mi catapultai in cucina per spegnere la fiamma che faceva bollire la moka ormai quasi vuota. Il piano cottura era inondato di caffè e l'odore era decisamente pesante. Decisi, quindi, di aprire le finestre del balcone per far circolare l'aria nella stanza. Mentre lottavo con la maniglia ormai lenta sul telaio, mi ritrovai sovrastata dalle braccia di Valerio. Le sue mani coprivano le mie ed i suoi occhi trasparenti mi guardavano dolcemente. Mi voltai, trovandomi annodata da un braccio in cerca del mio sedere.

«Non voglio il caffè. Voglio te» spiegò prima di stordirmi con un bacio profondo. La sua lingua si spinse in fondo, quasi arrivando alla gola. Mi sollevò con forza. Avevo le gambe avvolte intorno al suo busto e mi portò nelle stanze oltre il breve corridoio. Staccai una delle due mani aggrappate ai suoi capelli, per toccare lo stipite della porta della mia stanza. Tenendomi saldamente in groppa, aprì la porta. La mia stanza, piccola e lunga, era un percorso ad ostacoli nel quale Valerio seppe destreggiarsi bene. Chiuse lo sportello dell'armadio, dove erano appesi in modo disordinato alcuni jeans e delle magliette. Avvicinò una sedia alla scrivania, dove altri abiti aspettavano di essere riposti. Trovò il letto disfatto per farmi cadere. Si tolse la maglietta, lasciando a vista il petto liscio e si sovrastò su di me tempestandomi di baci intensi e ripetuti. Cercava le mie labbra, le mie guance fiammeggianti e il collo. Poi, iniziò a rovistare sotto la maglietta alla scoperta del mio seno. In un attimo di tregua dai baci, mi fece scivolare via prima la maglietta, per poi liberarmi dalla costrizione del reggiseno.

La sua attenzione a quel punto fu completamente concentrata sui miei capezzoli: li baciava e leccava con la lingua, mentre abilmente sbottonava i miei jeans. Ero piacevolmente assoggettata alle sue abili movenze e mi lasciai completamente andare, abbandonandomi al suo corpo che si apriva un varco dentro di me. Il nostro appassionato amplesso si protrasse in un intenso scambio di languidi e lunghi baci. Fare l'amore con Valerio fu un'esperienza delicata e piena di attenzioni verso il mio corpo. Le sue mani mi accarezzavano ovunque, dalla punta della gamba che teneva con dolcezza intorno al suo busto, fino al sedere e alle spalle torturate con brevi baci e morbidi morsi. Il suo respiro vellutato si affannava dolcemente a pochi centimetri dal mio orecchio e la sua fronte, umida di sudore, si univa alla mia. Allungai la mano verso il comodino, sperando di trovare il preservativo che era lì ammucchiato tra i collant e gli slip, appositamente tenuto in attesa di un'eventualità simile. Il desiderio che ci aveva sorpresi era un istante eterno, in cui i nostri respiri accaldati si unirono in un amplesso interrotto da un silenzio di contemplazione. I nostri sguardi si fusero in una profonda connessione. Il respiro lento riprese a pulsare, riempiendo i miei polmoni di aria. Valerio si accasciò pesantemente su di me, potevo sentire i nostri cuori battere incessantemente al medesimo ritmo.

Chiusi gli occhi, apprezzando il rilassamento dei muscoli. Avevo ancora il sapore dei suoi baci di in bocca e appagata dal suono regolare del suo respiro, mi addormentai.

* * *

Mi ci volle qualche istante per rendermi conto che i miei occhi si stavano aprendo. Era buio intorno a me. Sentivo solo il respiro profondo di Valerio. Il suo corpo mi abbracciava da dietro, eravamo avvolti in un abbraccio a cucchiaio. Lentamente mi sfilai dal suo braccio che si aggrappava al mio petto.

Posando i piedi sul pavimento freddo, mi resi conto di essere nuda. A tentoni cercai qualcosa con cui coprirmi e presi una t-shirt lunga, lasciata arrotolata sulla scrivania da qualche giorno. Uscii dalla stanza senza fare rumore, la casa era avvolta dallo stesso silenzio e buio. Mi muovevo con cautela per non svegliare Marta, che chissà quando era tornata. Mi orientai barcollando fino a raggiungere, con un senso di sollievo, la luce della cucina. La mia claustrofobia mi faceva soffocare, quindi cercavo con ansia l'interruttore e quando riuscii a trovarlo, il bagliore del neon mi tranquillizzò.

Senza un motivo apparente, i pensieri si rincorrevano in un groviglio di domande su chi fosse Valerio e perché l'avevo ospitato nella mia casa. Era la prima volta che permettevo a un ragazzo di dormire nel mio letto e i sentimenti che provavo per lui mi confondevano. Avevo apprezzato le sue attenzioni e il modo dolce con cui mi aveva guidata verso un orgasmo mai provato prima. Ma non era Marcello e ancora una volta lo confrontavo con lui.

Un rumore proveniente dalle stanze catturò la mia attenzione e dopo pochi minuti, nel buio, il volto stropicciato di Valerio mi venne incontro. Aveva i capelli scompigliati e un'aria dolce da bambino appena svegliato. Il suo torso nudo mostrava i suoi tatuaggi e i jeans abbottonati a metà mi fecero pensare che fosse decisamente sexy.

«Ciao» mi sorrise venendo a cercare un abbraccio confortante.

«Ciao» risposi baciandolo appena.

«Non riuscivi a dormire?» chiese affondando sul divano e invitandomi ad unirmi a lui con la mano tesa verso di me. Contemplai la sua proposta senza accettarla, anzi, mi allontanai andando in cucina. Mi sentivo stranamente colpevole per aver paragonato Valerio a Marcello, colpevole per aver accettato la sua proposta di venire da me, colpevole come se stessi tradendo Marcello, nonostante non lo avessi sentito da settimane, nonostante il modo in cui ci eravamo lasciati. Cercavo in ogni modo di cancellare la presenza di quell'uomo arrogante dalla mia mente, ma non ci riuscivo. Volevo solo liberarmi del dolore che si annidava nello stomaco.

Trattenevo il respiro come se Valerio potesse percepire il conflitto interiore che stavo vivendo. Gridavo silenziosamente dentro di me, cercando di capire come il mio irrazionale bisogno d'amore mi avesse spinto a coinvolgermi in un rapporto sessuale appassionato con questo ragazzo sconosciuto, di cui sapevo poco e con un passato evidentemente complicato. Mentre che nella mia mente, in ogni pensiero, Marcello continuava a tormentarmi.

Iniziai a pulire il piano cottura incrostato di caffè raffermo.

«Vuoi che me ne vada?» chiese Valerio alle mie spalle, con un'aria grave, come se avesse letto i miei pensieri.

In fondo, era vero. Avrei voluto essere sola, così da poter essere libera di distruggere in modo forse inopportuno ed eccessivo la mia anima.

«No, non andare» risposi tenendo gli occhi bassi sul lavello. Lo strofinaccio tra le mani molli continuava a gocciolare. La confusione dei miei desideri contrastanti mi aveva bloccata.

«Allora vieni...» disse prendendo la mia mano bagnata e facendomi lasciare cadere il panno. Non riuscivo a confessare a voce alta, nemmeno a me stessa, l'assurda sensazione di colpa che sentivo montare dentro di me. Sensi di colpa mescolati alla speranza di poter colmare il vuoto tra il petto e l'addome, dove il dolore durante le ultime notti echeggiava fino all'alba. Rimasi in silenzio mentre Valerio mi allontanava dalla cucina e mi riportava nella stanza, attraversando lentamente il corridoio. Si sdraiò sul letto e mi cercò come un cuscino da abbracciare. Ero vuota, non riuscivo più a pensare a nulla. Appoggiai il capo sul suo petto. Il sapore della sua pelle liscia era piacevole al tatto e richiamava i miei baci. Mi teneva stretta con una mano, mentre con l'altra mi accarezzava il capo e il viso.

«Resta qui, se vuoi proviamo a dormire... Veglio sui tuoi mostri» disse con il suo solito sorriso che si allungava sul viso. La sua innata capacità di trasmettermi serenità era un palliativo a cui non sapevo rinunciare.

Osservavo le ombre che si muovevano intorno al letto e mi rallegrai della sua vicinanza. I miei occhi caddero sull'abito grigio perla sfumato sull'orlo d'argento che non avevo più restituito a Marcello. Ancora una volta mi sentii adultera. Stavo tradendo Valerio, perché nel profondo sapevo di volere ancora Marcello. Stavo tradendo Marcello stando a letto con un altro uomo. Forse, per un insano principio di rivalsa, Marcello si sarebbe infuriato se mi avesse vista avvolta nell'abbraccio di Valerio. Non potevo permettere a un fantasma, che viveva solo nei miei pensieri, di limitare le mie scelte. Stavo bene tra le braccia calde e muscolose di Valerio. Ero piacevolmente accomodata sul suo petto e con il dito seguivo i contorni del suo ampio tatuaggio sul fianco. Sentii il peso dei suoi occhi su di me e sul mio dito. La macchia di inchiostro pigmentata nella pelle nascondeva una lunga cicatrice a forma di Y. La sfiorai appena, ma Valerio sussultò, prese la mia mano e la portò alla sua bocca, baciando delicatamente i polpastrelli.

Poi cercò le mie labbra, baciandole ripetutamente, lentamente, per gustarne la consistenza, invadendo la mia bocca con la sua lingua. Mi spostò sopra di lui, facendomi sedere a cavalcioni sul suo corpo. Il sapore irresistibile dei suoi baci catturò la mia attenzione. I miei capelli lunghi e disordinati cadevano davanti al viso, disturbandomi. Li spostai più volte, senza successo, cercando di metterli dietro l'orecchio. Allora Valerio li raccolse con una mano, permettendo alle nostre bocche di unirsi senza interruzioni. Con l'altra mano mi accarezzava il sedere nudo sotto la maglietta.

«Sei bellissima» disse interrompendo per un attimo i suoi baci. «I tuoi occhi grandi e intensi,» mi sfiorò il viso con le mani, come se volesse scoprire il mio volto tra i capelli. «La tua pelle bianca... sei un angelo».

Un senso strano di pudore mi bloccò. Dall'altra parte del letto, gli occhi di Marcello erano appesi alla porta, due fuochi ardenti, furiosi nel vedermi sensuale tra le braccia di un altro.

«Cosa c'è?» chiese Valerio, accarezzandomi con lo sguardo, mentre io non riuscivo a dire nulla. Mi guardava come se fossi il centro gravitazionale del suo universo, mentre le mie parole si erano bloccate in gola. I nostri occhi erano fissi l'uno nell'altro e cercavo di convincermi che non potesse entrare nei miei pensieri. Avere paura di fare l'amore con un ragazzo con cui ci ero già stata, o peggio ancora, sentire vergogna per un fantasma, erano sentimenti inconfessabili. Valerio non disse altro, si limitò ad accarezzarmi il viso e posarlo sul cuscino accanto al suo. Dopo qualche altro bacio, non ci fu altro. Misi da parte tutti i pensieri e iniziai a sentire la stanchezza accumulata dalle poche ore di sonno.

Chiusi gli occhi e mi sforzai di dormire.

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