26. Riprovarci

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Stavo lavorando al computer da tanto tempo, tanto da credere che fossero passati giorni, invece avevo trascorso solo una notte in quell'appartamento terribilmente silenzioso. Le poche ore che Marcello mi aveva promesso la sera prima si erano prolungate notevolmente. In realtà, era tornato solo per dormire qualche ora, ma non l'avevo né sentito rientrare né andare via. Tuttavia, sapevo che era stato lì perché si era cambiato d'abito e mi aveva lasciato un bigliettino sul comodino.

"Sei mia" era scritto sul piccolo foglio bianco lucido.

Avevo dormito così male, a causa di una serie di sogni sconnessi, che mi sentivo ancora più stanca. Avevo cercato di scacciare via quel retrogusto amaro che riempiva la mia bocca, fumando alcune sigarette lasciate intatte tra le dita. Mi sentivo vuota, confusa, avevo perso completamente il senso della mia realtà. Non provavo né caldo né freddo, non avevo fame, anche se da giorni non mangiavo un pasto completo. Provavo solo un enorme vuoto al petto, perché il mio cuore era a pezzi per aver dovuto mandare via Valerio. Speravo, anzi, mi aggrappavo all'idea di trovare rifugio tra le braccia di Marcello. Speravo di scoprire un lato umano, compassionevole, affettuoso di lui, al di là della sua maschera di marmo, dietro la quale era abituato a nascondere con grande rigore ogni segno di cedimento.

Mi trovavo sul terrazzo, appoggiata come un passerotto. Sorseggiavo svogliatamente un tè freddo con ghiaccio in un bicchiere che sudava per il caldo estivo. Avevo tutta la casa a mia disposizione, ma non potevo andare da nessuna parte. Marcello, in fondo, non mi aveva proibito di uscire, ma con il suo atteggiamento dittatoriale mi aveva suggerito di evitare il Madama, a causa del via vai di poliziotti. E sicuramente non ero nelle condizioni di affrontare le inquisizioni di Ginevra.

Il giorno precedente avevo scoperto da Nenita che Veronica era una Sanna, ovvero la figlia dello Zio, come tutti lo chiamavano. L'appartamento in cui stavo gurstando1\ la mia bevanda era lo stesso in cui Marcello e Veronica avevano vissuto quando erano sposati. Avevo quindi scoperto quale fosse il legame di Marcello con quella famiglia e mi chiedevo confusa se il suo divorzio avesse anche segnato la fine della sua connessione con il clan. Dalle mie ricerche, avevo scoperto che quel cognome era coinvolto in numerosi delitti nel territorio calabrese, spesso legati a concetti come patti d'onore, riti di sangue e pene da scontare al di fuori della giustizia Italiana. Avevo letto alcuni articoli secondo i quali la famiglia Sanna costituiva una fitta rete di affiliati e connessioni dirette tra politici e religiosi, un'organizzazione criminale vera e propria. Avevo capito che ai membri della famiglia erano stati imputati vari reati, dalla droga alla prostituzione, fino all'immigrazione clandestina. Alcuni giornalisti parlavano di una vera e propria triangolazione tra Roma, Miami e Catanzaro.

Per cosa ti sta accusando Ginevra? chiesi al vento.

Ero determinata a non rimanere con le mani in mano. Avrei cercato di parlare con il commissario di Polizia e capire il ruolo di Marcello in quella situazione, ma volevo evitare di farle pensare che avessi una relazione con lui.

Senza pensarci troppo alle conseguenze, presi le scale e mi diressi verso la prima fermata della metropolitana. Sembrava che l'universo si stesse sincronizzando con i miei pensieri. Appena arrivata alla metropolitana, la carrozza sembrò quasi aspettarmi. Non avevo le scarpe adatte per correre e avevo solo il mio cellulare con me. Decisi di spegnerlo, se Marcello mi avesse chiamato avrebbe messo in dubbio le poche certezze che stavo cercando di costruire.

Il tragitto in metropolitana fu breve. Era ancora molto presto, ma sapevo che avrei trovato Paolo già sveglio, e così fu. Erano settimane che non ci vedevamo né sentivamo.

«Ciao, posso salire?» citofonai al portone del vecchio palazzo.

«Certo!».

Bastarono poche parole per farmi riconoscere al mio caro ragazzo. Nella mia mente le parole si confondevano, avevo paura di come mi avrebbe trattata quando gli avrei parlato di Marcello, ma ero così emozionata di poterlo rivedere e riabbracciare.

Arrivai ansimante al suo pianerottolo e lo vidi già lì, sull'ultimo scalino, ad aspettarmi. Era scalzo e vestito solo a metà, con addosso solo un paio di pantaloni. Mi gettai tra le sue braccia e lui mi accolse dolcemente per dei lunghi e intensi minuti. Poi sollevò il mio viso fino all'altezza dei suoi occhi.

«Quasi non ti riconoscevo, non volevo sgualcirti. Dov'è la mia ragazzina, con i jeans strappati e le Converse consumate?» mi allentò dall'abbraccio.

«Mi sei mancato».

«Anche tu. Che fine hai fatto? Perché non mi hai risposto al telefono? Stavo impazzendo. Marta mi ha detto che sei passata con Marcello l'altro giorno nel vostro appartamento. Cosa sta succedendo?» mi fissò preoccupato, mentre con la mano mi indicava di accomodarmi su una delle sedie della cucina.

«Dov'è Enrichetta?» chiesi, preoccupandomi del fatto che la cucina fosse priva dei suoi passi veloci ma incerti.

«È in chiesa, c'era un matrimonio oggi e vuole aiutare il prete con i preparativi... Vuole darsi da fare, sentirsi utile anche se ormai riesce a fare poco. Si stanca in fretta e anche i medici le hanno raccomandato di riposare» sospirò a lungo. Girò intorno al tavolo e si sedette di fronte a me.

«Ti prendi sempre cura di noi, delle tue ragazze» dissi, prendendo le sue mani tra le mie.

«Ma né tu, né lei me lo permettete davvero... L'ultima volta che ti ho vista era allo Shekinà e stavi con Valerio, poi Marta mi ha chiamato e mi ha detto di averti vista di nuovo con Marcello. Lia, spiegami, non riesco a capire» cercò i miei occhi per trovare una breccia nella mia anima e costringermi a raccontargli molto più di quanto avrei voluto.

«Non devi preoccuparti per me, sto con Marcello per il lavoro nell'agenzia di Gloria, ricordi,» mentii sciogliendomi i capelli come per nascondere il viso dal suo sguardo. «È successo tutto per caso, ho scoperto all'ultimo minuto che il mio cliente sarebbe stato il mio ex capo, Gloria mi ha detto che sarebbe stata un'ottima opportunità perché conoscevo già il suo modo di fare... Non potevo dire di no». Cercavo di velare tutta la verità che altrimenti l'avrebbe atterrito. Dovevo nascondergli ciò che era successo quella sera a casa mia con il Piotta e il suo scagnozzo.

«Il caso». Sospirò profondamente prima di prendersi un attimo e poi continuare. «Sei una donna ormai, se fai le tue scelte, devi imparare a gestirle. Ma ti farà del male, lo sai come andrà a finire tra te e lui, ci siamo già passati. E Valerio» chiese con uno sguardo serio nei suoi occhi tremanti. «È sparito anche lui, ho provato a chiamarlo per cercare te, ma non mi ha mai risposto né richiamato».

«Da quando non lo senti?».

«Ho provato a chiamarlo un paio di sere dopo che ci eravamo visti allo Shekinà».

«Con Valerio non è il caso che mi veda più, non può funzionare tra noi. Lo stavo solo illudendo, è molto preso e se continuassi a vederlo gli darei solo false speranze».

«Sai bene perché Marcello non mi piace,» prese le mie mani tra le sue come per supplicarmi. «Gli inquirenti non hanno nulla di diretto contro di lui, ma i suoi affari continuano a non essere del tutto legali. Gestisce holding e capitali dalla dubbia provenienza, facendo trattative con politici accomodanti come quel bel tipo di Girardi, che ha amichette sempre più giovani. A mio parere, solo per questo dovrebbe essere dietro le sbarre. Senza contare le persone che frequenta, sono le stesse di cui i giornali parlano continuamente. Marcello è sicuramente più scaltro e non si lascia sporcare da tutta la merda che muove tra Miami, Ostia e Olbia. Lia,» enfatizzò il mio nome, «Marcello è uno di quelli che si rifà ancora al codice Barbaricino. Quella è gente a cui non piace scherzare».

«Credo che tu stia esagerando, ma...» bloccai il respiro per qualche secondo prima di proseguire. «Non voglio litigare con te. Mi sembra tutto un déjà vu. Io che frequento Marcello, tu che mi dici di non fidarti dei suoi affari e noi due che finiamo per litigare». Mi alzai dalla sedia, sfuggendo alla presa delle mani di Paolo. Stavo cercando di trattenere le lacrime insolenti che continuavano a bussare alla porta della gola. Deglutii il nodo che si era formato e continuai determinata.

«Lo abbiamo già fatto quando sono partita per Miami e poi tutto è andato male. Questa volta non voglio che finisca di nuovo allo stesso modo».

«Mi stai dicendo le stesse sciocchezze dell'altra volta e non vuoi affrontare la realtà. Marcello è un delinquente e tu continui a guardare dall'altra parte, permettendo che ti tratti come una sua puttana». Paolo si alzò e si avvicinò al punto da trovarsi a un centimetro dalle mie pupille, con gli occhi colmi di lacrime.

«Mi sembra di sentire mia madre, mi tratti come una bambina da sgridare. Mi dici tutte queste cose su Marcello come se volessi convincermi a non iniziare una storia di cui nemmeno io so come andrà a finire» protestai.

«Allora, non lasciarla nemmeno iniziare» mi interruppe Paolo bruscamente, stringendo le mie spalle tra le sue mani. «Se non vuoi soffrire, prendi una pausa da tutto. Se devi lasciare l'appartamento, vieni a stare qui o vai a Latina da tuo padre, o a Rieti da tua madre. Stacca la spina e lascia tutto qui a Roma. Nel weekend, se vuoi, vengo a prenderti e ce ne andiamo insieme».

«Tu vuoi litigare e non te lo lascio fare,» lo sfidai, sorridendo falsamente. «Non c'è bisogno che ti preoccupi tanto, so cavarmela» cercai di convincerlo, fissandolo negli occhi per mostrargli che non avevo permesso alle lacrime di sgorgare. «Ti prometto che andrà tutto bene, e poi, l'ultima cosa che vorrei ora è avere mia madre o Alberto con la sua nuova fiamma intorno a me» aggiunsi con un altro mezzo sorriso.

«Fai come credi» rispose Paolo, allontanandosi di qualche passo.

«Dico sul serio, ho bisogno di vedere come andrà a finire tra me e Marcello. Non è detto che tutto vada in malora come l'altra volta».

«Se ci credi davvero, libera di farlo. Sei abbastanza grande per bere, fumare e andare a letto con chi vuoi, ma allora spiegami perché sei venuta qui oggi» disse poco convinto, accennando a un sorriso a metà, come se volesse sostenere le sue parole.

«Volevo solo vederti» risposi debolmente.

«Devo andare». Iniziò, incerto, continuando a darmi le spalle. «Sono già in ritardo, tra mezz'ora dovrei essere in ufficio. Chiamami quando vuoi, lo sai che ti risponderei anche alle tre di notte» concluse, lasciando brillare i suoi grandi occhi, mentre si avvicinava nuovamente con un'aria che mi chiedeva di andare. Era la prima volta che mi metteva alla porta. Scegliere Marcello, per Paolo, significava mettere fine alla nostra amicizia speciale. Il suo sguardo saldo sul mio voleva dirmi molto più di quanto le sue parole aspre avessero fatto.

«Ti voglio bene» disse Paolo. Per un istante, il mio cuore si riempì nuovamente di gioia. La nostra amicizia era la cosa che mi faceva sentire meglio più di ogni altra e non avrei permesso di perderlo di nuovo. Mi lanciai in un abbraccio intorno al suo collo.

«Anch'io ti voglio bene... Non sai quanto».

Ci salutammo senza sapere quando ci saremmo rivisti, ma sapevo che il mio caro amico non era felice delle mie scelte. Non volevo però tornare indietro. Avevo deciso di seguire Marcello per proteggere Valerio, ma in quel momento ero determinata a capire cosa mi avrebbe portato a restare con lui, qualunque cosa fosse. Mentre camminavo per il marciapiede, rivivevo le stesse scene di qualche mese prima: Paolo che mi metteva di fronte alla scelta tra lui e Marcello, dover sopportare i segreti e i silenzi irrispettosi di Marcello. L'unica differenza era la sofferenza che sentivo nello stomaco, l'assenza di Valerio. Nonostante il sole alto tra i rami ricoperti di foglie, provavo freddo. Era il prezzo da pagare per aver ferito Valerio più delle botte del Piotta. Continuavo a camminare senza una meta precisa, cercando con scarsa convinzione di mettere insieme i pezzi di quella storia d'amore andata a male. A Roma, Marcello indossava i panni di un intermediario finanziario, tessendo abilmente intrighi tra politici corrotti e altri imprenditori pronti a trarre profitto dall'illegalità con fondi all'estero. Ad Olbia, aveva ereditato una tenuta dalla sua famiglia adottiva, che con le sue competenze aveva trasformato in un'attrazione internazionale, rinnegando le sue umili origini contadine. A Miami, si occupava degli affari della famiglia Sanna, cercando di guadagnarsi i favori dello Zio. Quante maschere per un solo uomo. Un funambolo capace di manovrare interessi, denaro e relazioni senza cadere dal piedistallo che aveva costruito. Quello che non riuscivo a capire era quale fosse il mio ruolo in tutta quella situazione. Avrei potuto raccontare tutto a Ginevra sulle oscure attività di cui ero stata una mera spettatrice silenziosa, anche se non avevo delle prove certa. Avrei potuto usare la mia vicinanza per punirlo come aveva fatto con me e Valerio, tramando contro di lui nella sua stessa casa. Ma poi pensai a cosa aveva fatto al Piotta e al suo scagnozzo. Sapevo che era un uomo spietato, capace di eliminare i suoi avversari, trattenendo tutta la crudeltà con cui era stato cresciuto. Guardai il mio pallido viso riflesso in una vetrina e capii che non sarei riuscita a farlo. Con le mani tremanti, accesi il cellulare e una valanga di messaggi e chiamate perse riempirono le mie applicazioni.

«Perché non hai risposto prima?» tuonò la voce di Marcello senza garbo quando un'altra chiamata illuminò lo schermo.

«Non potevo» risposi con determinazione, cercando di mantenere la mia posizione mentre scrutavo intorno, temendo che Renato o la sua auto sportiva spuntassero per riportarmi nella mia gabbia.

«Hai letto gli SMS?» chiese con voce trattenuta. Immaginavo la rabbia che gli stava montando dentro.

«Per questo ti ho chiamato. Non li ho letti, ho solo visto che erano tanti».

«Dove sei?».

«Non sono a casa... Non puoi semplicemente dirmi cosa succede?» chiesi con ansia.

«Che tu non sia a casa lo so, perché io sono qui e ti avevo chiesto di restarci fino al mio ritorno! Dove sei?» sentivo la sua mascella irrigidirsi nella sua solita mostruosa rabbia che a stento conteneva.

«Sono in giro per Roma, avevo bisogno di aria, stavo soffocando».

«C'è lui con te!» interruppe bruscamente.

«Chi?» chiesi sinceramente incerta se si riferisse a Paolo o a Valerio.

«Facciamo così, vengo a prenderti. Dimmi dove sei?» cambiò tono, cercando di apparire quasi gentile.

«Prendo la metropolitana e arrivo da te». Chiusi la conversazione, ignorando il fatto che il cellulare continuasse a illuminarsi e vibrare.

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