Martikhorarum et venatoribus (II)

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Hans aveva trascorso le ultime ore di buio a rigirarsi tra le mani l'ascia e a passare le dita sulle tacche incise sull'impugnatura nel corso degli anni, che rappresentavano gli incarichi compiuti; spesso si sorprendeva nel pensare che sapeva ancora alla perfezione a quale segno corrispondesse un mostro che aveva ucciso. Dopo il colloquio con la driade, però, tutti i ricordi gli parevano come ricoperti da una patina di malinconia.

All'alba aveva intrapreso quella che, di minuto in minuto, gli sembrava sempre di più la sua marcia funebre verso il corno del drago, seguito da Doveriye che, invece, era allegro e pieno di curiosità.

"Mi dispiace averti trascinato fin qui" pensò Hans, guardandolo scivolare sul ghiaccio che compariva a chiazze azzurre sotto la neve.

Il sentiero, intanto, si snodava tra pareti ghiacciate, che calavano a picco in burroni e spaccature, e permetteva di vedere slavine lontane che trascinavano cumuli di neve lungo i fianchi delle creste; oltre al tumore dei loro passi, si poteva udire riecheggiare nella valle lo schiocco secco del ghiaccio che si dilatava sotto il sole che batteva impietoso sui loro capi. Di ora in ora, il corno del drago si avvicinava sempre di più, pari a una lama argentata tra i monti vicini. Hans pensava sarebbero riusciti a raggiungerlo prima del calare del sole, così da potersi accampare nei pressi della tana della manticora e studiare una strategia per il giorno successivo; non credeva la bestia si sarebbe fatta sorprendere nel sonno, vista la viva intelligenza che aveva dimostrato nel prendere possesso del territorio, ma non pensava neppure che attaccarla senza alcuna precauzione fosse una buona idea.

Le sue riflessioni furono interrotte all'improvviso da un suono lontano, che pareva quasi quello di un flauto o di una tromba, seguito dal brontolare sordo di Dov.

Hans sentì il sangue diventare più denso, un nodo di paura che gli strinse subito lo stomaco nel rendersi conto che lei era lì e che l'avrebbe attaccato. L'abbaiare furioso del cerbero, però, lo strappò dallo stato in cui era caduto.

"Non ti preoccupare" sussurrò più a se stesso che all'animale, sganciando l'ascia dalla schiena. "Vedrai che uccidiamo anche questo."

Il suono, intanto, si avvicinava sempre di più, diventando una melodia dolcissima che ricordava a Hans alcune delle ninnenanne che ascoltava da bambino, quando i mostri erano solo i personaggi di un brutto incubo.

"Dove sei?" pensò, girando sul posto e tenendo ben stretta tra le mani l'arma.

Lo capì pochi istanti prima di essere attaccato, allertato da un'ombra sulla neve: fece un passo indietro e, alzando lo sguardo, vide volare in tondo sopra di lui la manticora, allo stesso modo dei corvi quando vedono una carcassa. Rapida, la bestia arricciò la coda e lanciò un aculeo, che si piantò davanti ai suoi piedi come un macabro avvertimento di ciò che sarebbe potuto accadere se non si fosse spostato. Lanciato un ruggito di disappunto, l'essere volò in direzione della pineta, lasciando Hans paralizzato sul posto; solo quando fu abbastanza lontana si chinò a terra e, con le mani che gli tremavano, strappò l'aculeo da dove si era conficcato. Era lungo quanto il suo avambraccio.

"Com'è possibile?" mormorò, girandoselo tra le dita. Fece attenzione a non toccare la punta, non del tutto sicuro che non potesse essere anche velenoso, nonostante non gli importasse più di tanto; se fosse stato colpito, i problemi sarebbero stati altri.

Hans riprese l'ascia e, tenendola in mano, chiamò il cerbero con un paio di fischi. "Andiamo."

Le tre teste abbaiarono all'unisono come risposta e lui gli diede una pacca, prima di riprendere la scalata.

L'avvertimento della manticora – perché di avvertimento si trattava – aveva confermato le parole della driade, facendo risalire sulle ossa una paura densa, che non provava da anni. Neanche durante il primo incarico, quando era ancora un ragazzino sprovveduto e desideroso di vendetta, si era sentito avvolgere da un tale terrore; ricordava bene, però, il panico che l'aveva afferrato quando aveva visto davanti a sé il drago che aveva bruciato il suo villaggio. Senza accorgersene, passò una mano sul petto, seguendo i confini della lunga cicatrice nascosta dagli strati di vestiti.

Non era stato lo scontro peggiore della sua vita, ma di certo il più sentito. Durante l'attacco Hans era rimasto paralizzato dal terrore nella casa divorata dalle fiamme, fino a quando sua madre l'aveva trascinato di peso all'esterno, dove era riuscito a convincerlo a scappare verso la foresta a suon di schiaffi e preghiere. La fuga, però, era durata poco: correndo col cuore in gola tra la fitta boscaglia che circondava il villaggio, non si erano accorti che il drago l'aveva sfruttata per nascondersi e finire le prede. Le mascelle della bestia erano spuntate fuori da un cespuglio di oleandro ancora in fiore e avevano tranciato il braccio della donna, che era caduta in ginocchio su un tappetto di petali rosati sparsi sull'erba e si era messa a gridare come mai aveva fatto prima; lui aveva provato a nascondersi e, trattenendo il fiato, era rimasto immobile mentre il drago divorava sua madre, scavandole col muso nell'addome e sbuffando. Quando il mostro aveva alzato i grossi occhi dorati su di lui, con ancora tra le zanne qualche resto ricoperto di sangue e irriconoscibile, Hans era fuggito. Di ciò che era successo dopo – la ricerca di un nascondiglio sicuro, le preghiere sussurrate a mezza voce, le urla strazianti che facevano vibrare l'aria del bosco – ricordava solo un dolore sordo, acuito dalla certezza di non avere più nessuno al mondo: anche suo padre era morto per mano di un qualche mostro lontano, e l'unico ricordo che aveva di lui era la vecchia ascia che teneva nascosta sotto il letto.

Ci era voluto del tempo, ma aveva ingoiato le lacrime e sepolto la sofferenza. Guidato solo dal calore della vendetta, aveva recuperato l'arma tra le macerie della casa ed era diventato un cacciatore. Solo dopo aver concluso la terribile vicenda a modo suo si era abbandonato alla perdita.

"Ma è stato tanto tempo fa..."

Accompagnato da altri ricordi, raggiunse nel tardo pomeriggio le pendici del corno del drago, dove Doveriye, all'apparenza sordo ai richiami, scattò sul sentiero abbaiando all'impazzata.

"Ma cosa ti prende?" urlò Hans, inseguendolo lungo il sentiero scavato nel ghiaccio, che accompagnava le curve e le sporgenze del picco. "Torna qui!"

Ansimando, giunse a una spianata che si trovava un centinaio di piedi più in alto rispetto a dove il cerbero si era allontanato da lui, che nel frattempo si era messo a guaire vicino a una massa informe abbandonata qualche passo più avanti. Hans si avvicinò cauto, ma ogni riguardo crollò quando si accorse che ciò a cui l'animale si era avvicinato era un corpo, marchiato sulle gambe da alcuni arabeschi che non lasciavano alcun dubbio su chi fosse.

"Ultimo avvertimento" pensò, esaminando il cadavere. La testa della driade era stata staccata di netto dal collo, sul quale rimaneva solo una lunga ferita slabbrata da cui ancora uscivano sottili rivoli di sangue che coloravano la neve di un rosso acceso; dallo stomaco, invece, spuntavano due aculei, e la veste, che fino a poche ore prima era stata in un bianco candido, era diventata scarlatta. Girò il corpo della driade in posizione supina e, dopo aver tentato di spostare le braccia già rigide, strappò dalla carne le spine, così da esaminare i fori lasciati; non essendoci alcuna bruciatura o segno, stabilì che non dovevano essere avvelenati.

C'era qualcosa che lo incuriosiva nel modo in cui aveva agito la manticora. Non aveva mai visto fare nulla di simile alle bestie che aveva cacciato, mai aveva osservato un tale miscuglio di brutalità e intelligenza.

Accarezzò il cerbero, che nel frattempo uggiolava disperato, nel tentativo di placarne la tristezza. "Amico mio..." gli mormorò, grattandogli pian piano tutte le orecchie. "Penso sia giunta l'ora di combattere."

Detto questo si avviò lungo il sentiero che saliva sempre più su, trattenendo a stento la rabbia, la paura, la tristezza e tutte le emozioni che gli vorticavano nella testa e si riflettevano nei continui guaiti del cerbero. Non gli importava che il sole stesse per calare, né che il suo avversario fosse più forte di quanto lui sarebbe mai stato: voleva soltanto uccidere un altro di quegli esseri incapaci di provare pietà.

Quando giunse alla tana della manticora il sole stava compiendo la lenta discesa al di là del ghiacciaio, nubi sfilacciate a coprirne il percorso e suggerire l'arrivo di nuova neve. La bestia, accovacciata sulla soglia di una grotta – forse la sua tana – lo accolse con uno squillo di trombette, il volto quasi umano, con qualche lontana fattezza femminile, che lo osservava con una sorta di ghigno; tra le zampe leonine, dalla pelliccia di un grigio sporco, giaceva la testa della driade, gli occhi ancora spalancati dall'orrore e i capelli impastati di sangue rappreso, mentre la coda saettava da destra a sinistra con scatti quasi rabbiosi. Le ampie ali, invece, piumate come quelle di un'aquila, erano appiattite sul corpo.

La manticora gli gettò uno sguardo sprezzate e si chinò sul capo della driade, azzannandolo. Hans udì lo scricchiolare delle ossa del cranio sotto la fila di zanne, e vide sangue e cervella colare sul muso del mostro, creando una maschera ancora più orrorifica di quanto fosse in precedenza.

"Mi sfida" pensò, sentendo il sangue ribollirgli nelle vene e tramutarsi in rabbia, mentre la creatura continuava imperterrita il macabro pasto.

"Mi stai sfidando" ripeté ad alta voce, accompagnato dal brontolare sordo di Dov.

La manticora lo guardò coi suoi occhi rossastri e strombettò quello che Hans interpretò come un segno di assenso. Girò l'ascia tra le mani, tenendo lo sguardo puntato sulla coda della bestia che saettava minacciosa a destra e a sinistra in un movimento quasi ipnotico.

Destra, sinistra.

Destra, sinistra.

Allo scatto improvviso della coda, il cacciatore si abbassò e lasciò che gli aculei lanciati schizzassero sopra la sua testa senza sfiorarlo; strinse con ancora più forza l'ascia, sostenuto dal ringhio che Doveriye riservava alla manticora. La bestia, però, non pareva ancora interessata a loro, tanto che finì di divorare la testa della driade prima di alzarsi con un grosso hoo-hug, per poi avvicinarsi, lasciando dietro una scia di sangue e bava e ringhiando in direzione del cerbero.

Hans piegò le gambe.

Non avrebbe mai creduto che qualcosa di così grande potesse essere così veloce. Bastò un balzo e la manticora gli fu addosso, buttandolo a terra in un impatto che gli tolse il fiato; provò ad affondare le fauci nel suo cranio, ma Hans riuscì a bloccare l'attacco all'ultimo infilando l'impugnatura dell'ascia tra le zanne del mostro, il cui alito cadaverico gli riempì le narici e gli fece salire un conato di vomito.

"Non romperti" pensò, sentendo l'arma scricchiolare sotto il morso della bestia.

Fu solo grazie a Doveriye che non gli si spaccò tra le mani. Il cerbero, infatti, era saltato addosso alla manticora, azzannandole il fianco lasciato scoperto dall'ala con tutte e tre le teste, cosa che spinse il mostro ad abbandonare la presa per attaccare il nuovo nemico e strapparlo con forza, per poi lanciarlo contro la parete del ghiacciaio. L'animale impattò con un tonfo e scivolò a terra, dove rimase immobile.

Hans approfittò della distrazione per alzarsi e colpire la manticora con tutte le forze, conficcando l'ascia nel collo dove, però, rimase solo una profonda ferita da cui zampillò del sangue accompagnato da un lieve sfrigolio. Con un colpo simile, di solito, tranciava il capo a gran parte dei mostri che affrontava.

"Speriamo la maledizione funzioni" pensò allontanandosi, mentre la bestia ruggiva per il dolore e alzava ancora una volta la coda. Non riuscì a schivare il nuovo aculeo, che gli lasciò un taglio sullo zigomo sinistro del viso da cui iniziò a colare del sangue; distratto dal male, non vide partire un secondo aculeo, che si conficcò nel braccio sinistro, poco sopra il gomito.

Hans lanciò un urlo e la manticora gli fu addosso, atterrandolo; gli affondò le fauci nel torace, da cui uscì un flusso caldo e pastoso di sangue. Per una frazione di secondo, il cacciatore pensò che, se solo fosse sopravvissuto, avrebbe avuto una nuova cicatrice. Fu un attimo, prima che l'adrenalina gli contraesse i muscoli e lo portasse a colpire la manticora più e più volte, affondando l'ascia nel cranio della bestia fino a quando non si allontanò tirandogli una zampata che lo fece rotolare di fianco al suo compagno, ancora immobile. Un dolore acuto gli risalì lungo la gamba destra, piegata in un'angolazione innaturale dall'impatto col ghiaccio.

Hans strinse i denti e si rialzò facendo leva sull'ascia, il corpo ridotto a un'esplosione di dolore che gli fece affondare i denti nel labbro inferiore pur di non urlare. La manticora, invece, era collassata a terra, il cranio da cui fluivano sangue e frammenti ossei.

Tenendo la mano premuta sul torace, zoppicò verso la bestia. Solo quando fu abbastanza vicino prese un profondo respiro e le tranciò di netto la coda, sulla quale brillavano ancora gli aculei, lasciando un moncherino sanguinante che si dimenava quasi avesse vita propria. Raccogliendo le ultime forze rimasta, si girò verso il muso della manticora, che si contorceva per il dolore sul ghiaccio.

Hans la guardò negli occhi.

Nanon attendeva.

Aveva trascorso l'intera vita ad aspettare: prima suo padre, ogni volta che usciva la mattina per avventurarsi sulle montagne a spaccar legna o a cacciare; poi suo marito, che, oltre a svolgere le sue mansioni, amava avventurarsi sulle vette per il puro gusto di esplorarle; infine i suoi figli, innamorati della capitale e della pianura e disposti a macinare strade su strade pur di raggiungerla. Quando era rimasta da sola aveva iniziato ad attendere i viaggiatori che si avventuravano sul ghiaccio, uomini che avevano perso la vita sulle montagne perché non le avevano dato ascolto. Un giorno Bjorn, in un impeto improvviso, le aveva detto: "Se c'è rimedio perché te la prendi? E non c'è rimedio perché te la prendi? Quei matti hanno scelto la loro sorte, quindi compiangerli non cambierà di certo la loro stupidità!"

Eppure, Nanon aveva continuato.

Mentre aspettava il cacciatore dagli occhi scuri, pensò che forse avrebbe fatto meglio ad abbracciare il consiglio dell'amico e smettere di attendere colore che non tornavano. Si promise sarebbe stata l'ultima volta.

Bjorn entrò nella locanda proprio mentre stava rimescolando la zuppa che avrebbe servito a pranzo.

"Come stai?" le chiese dopo averla salutata, sedendosi al bancone.

"Come ieri e i giorni precedenti." La vecchia tornò allo sgabello, non prima di aver buttato qualche pezzo di verdura nel pentolone. "Come stai tu, invece?"

"Come ieri e i giorni precedenti" gli fece eco lui con un sorriso. "Soprattutto i giorni in cui il sole splende sul ghiacciaio."

Nanon guardò fuori dalla finestra. In effetti, quando il sole era alto nel cielo era difficile pensare che potesse mai accadere qualcosa di male, anche se il peso dell'aspettare affossava ogni tentativo di alleggerire il cuore.

"Sono già passati quattro giorni. Non credo dovresti più pensare al cacciatore" disse Bjorn, intuendo il corso dei suoi pensieri. "Oltretutto, neanche un uomo della roccaforte sarebbe sopravvissuto alla tempesta di neve di ieri."

"Mi è difficile non pregare per la sua sorte" replicò lei con un sospiro. "Ha qualcosa che mi ha ricordato mio marito."

"Baldr? Per cosa?"

Nanon chiuse gli occhi e rimase in silenzio per qualche minuto a riflettere. Se la somiglianza fisica era discutibile, visto che suo marito somigliava più a un orso dagli occhi chiari che a un essere umano, mentre Hans aveva nel portamento e nell'aspetto qualcosa che l'avvicinava più a un dio della foresta che a un comune mortale, qualcosa nel sorriso sfrontato del cacciatore l'aveva trascinata indietro nel tempo, quando ancora aveva il mondo davanti a sé e credeva di poter vivere per sempre.

"Per la sua spavalderia" rispose, abbracciando i ricordi. Non le rimaneva altro che quelli.

Bjorn alzò gli occhi al cielo e trattenne ogni possibile commento, per quanto la smorfia sul volto mostrasse quanto considerava sciocco il paragone fatto. Lui non poteva sapere, però, non aveva mai vissuto con Baldr, né l'aveva amato. Nanon non ebbe la forza di rimproverarlo, nonostante il vecchio amico si meritasse una strigliata.

Cercò qualcosa da dire per cambiare l'argomento della conversazione – forse poteva parlare delle voci riferitegli da un cliente, che sussurravano la comparsa dell'erede dei Bálit –, ma le parole le morirono in gola quando sentì un urlo sorpreso provenire dall'esterno. Forse qualcuno era solo scivolato sul ghiaccio e aveva lanciato un grido di sorpresa, ma Nanon si alzò comunque e corse in strada, con addosso solo uno scialle di lana vecchio quanto lei e Bjorn alle calcagna.

Il vero motivo stava incespicando tra la neve lungo la strada.

Hans alzò un braccio in segno di saluto e si avvicinò alla vecchia che, nel frattempo, sentì salirle agli occhi lacrime di sollievo. Portò le piccole mani callose davanti alla bocca, cercando di trattenersi dal singhiozzare con forza, e il cacciatore le regalò un sorriso dolcissimo, per quanto metà del viso fosse coperta da una fasciatura insanguinata.

"Tenete" le disse appena le fu vicino, coprendola con la sua pelliccia. Lasciò così scoperte delle bende scure, coperte di sangue, che gli fasciavano il torace, il braccio sinistro e la gamba destra, che oltretutto mostrava una strana angolazione. Vicino a lui saltellava il cerbero, abbaiando deliziato a ogni parola pronunciata dal suo padrone.

"Come mi avete detto, fa un freddo tale da farmi rimpiangere la mia pianura."

Nanon sorrise.

Angolo autrice:

Un saluto ai temerari arrivati in fondo!

Continuano le produzioni per i contest del forum di Efp e questa volta il soggetto ispirante è stato Fantastic Beasts - Non siamo solo mostri nel lontano 2016 - contest sfortunato, tra l'altro, visto che la ragazza che l'aveva indetto era sparita a metà strada e abbiamo dovuto cercare un sostituto. In questo caso, avevo diversi pacchetti da usare:

- tre creatura, nei quali avevo pescato il cerbero, la driade e la manticora. Non vi dico quanti problemi mi ha dato quest'ultima perché altrimenti non la finisco più, ma sappiate che è stata una faticaccia

- uno arma, ovvero la fidata ascia di Hans

- uno relativo a un elemento esterno, che nel mio caso doveva essere il dolore. Non è mai risultato essere un elemento fondante nella storia, visto che l'ho relegato al ruolo di dolore fisico e qualcosina dal passato di Hans, ma non avevo ancora sviluppato il gusto per i drammi esistenziali che ho ora

- uno ambientazione, ovvero il ghiacciaio

Poi, visto che a me le cose facili fanno schifo, avevo anche deciso di inserire una citazione, che ho messo in bocca al caro Bjorn - "Se c'è rimedio perché te la prendi? E se non c'è rimedio perché te la prendi?

Tutti i personaggi mi sono entrati nel cuore, tanto che a correggere la storia mi sono di nuovo innamorata di tutti loro: Hans, Doveriye - che, piccola curiosità, tradotto dal russo significa Fido - e Nanon mi hanno (ri)aperta in due. In senso positivo, però.

E niente, se non grazie a chi ha letto la storia! Come al solito, qualsiasi commento e appunto è ben visto e voluto.

Rebecca

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