Capitolo 24 . Giugno 2018 1/2

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Rufus e Lorenzo non si erano mai detti "adesso stiamo insieme". Avevano solo continuato a vedersi, a volersi bene e a finire l'uno nel letto nell'altro. Lorenzo era frustrato? Abbastanza, ma Rufus teneva a lui quanto lui sentiva di tenere a Rufus. Potevano suonare insieme o camminare per ore o andare in tutti quei ristoranti un po' di classe che a Lorenzo piacevano e Lorenzo riusciva a non odiarlo mai. Ed era bello, era terribilmente strano, ma era bello, tutto quello strano qualcosa che stava accadendo.

Comunque, fu proprio a causa del fatto che nulla fosse stato reso del tutto ufficiale che Lorenzo si era sorpreso parecchio, quando,erano  appena usciti dal teatro, Rufus si era schiarito la voce e aveva detto, in un unico, rapidissimo respiro da rapper "Vorreichevenissiaconoscereimieigenitori."

Lorenzo, che un attimo prima era occupato a chiedersi se avrebbe preso un risotto ai funghi o della pasta al ragù per pranzo, aveva alzato la testa e, più confuso che mai, aveva chiesto "... Cosa?"

"Dico, ecco, no, ti andrebbe di conoscere i miei genitori?" Rufus si grattò nervosamente la barba.

"Conoscerli in quanto tuo...?"

"Amico?"

"Un amico molto stretto, direi. I tuoi sono omofobi?" Lorenzo incrociò le braccia, fermandosi in mezzo alla strada. Sapeva che certe questioni potevano essere molto delicate e nel caso era giusto trattarle con la giusta serietà.

"Ecco, no, non direi. Sono abbastanza progressisti. Però non so se sono pronto a dirgli che... sì, ecco. Diciamogli che sei un mio amico."

Chissà perché allora Rufus neanche riusciva a pronunciarla, quella parola. Lorenzo aveva tentato, e lo aveva fatto con un grande, grandissimo sforzo, di essere cortese, e si era accordato con lui su una cosa. Non  avrebbero dato una definizione precisa alla loro relazione finché Rufus non si fosse sentito pronto. Una cosa del genere era assurda, per due uomini adulti che ormai si frequentavano da un bel po'. Lorenzo si era chiesto quanto dovesse essere affezionato a quello stupido pianista vegetariano per accettare una cosa del genere e la risposta era molto più di quanto sarebbe accettabile.

In ogni caso, aveva detto di sì e i due avevano deciso di partire per il Trentino, Iris sarebbe stata a dormire da una ragazza conosciuta ai Narcotici Anonimi e Giulio sarebbe rimasto a dormire a casa di Rufus per occuparsi di Tchaikowsky. "Del resto - aveva detto il biondo a riguardo - adoro quel cane, e poi potrò lasciare la casa libera a Tom e Greta per qualche giorno. Saremo tutti contenti."

E quindi eccoli lì, dopo varie ore di treno e corriere, uno con gli occhi scintillanti dall'emozione di essere di nuovo a casa e l'altro che si chiedeva perché cazzo ci fossero così tante salite in montagna. C'era da dire, però, che il paesaggio di quel paesino sperduto, lontano da tutto e da tutti, dava una  certa sensazione di pace. L'aria era più fresca e il cielo era più blu, ma soprattutto la casa di Rufus era lontana mezzo chilometro del resto del paese e Lorenzo era convinto che chiunque l'avesse costruita l'avesse fatto solo per rompergli i coglioni.

"Potremmo andare nei prati qui vicino e fare un picnic, domani. Vedrai, ti piacerebbe."

Lorenzo alzò un sopracciglio con aria dubbiosa "Non ci saranno insetti ovunque?"

"Fidati, ti piacerà. Portiamo una bottiglia di vino, ascoltiamo della bella musica con la cassa, ce ne stiamo tranquilli all'aria aperta. Non ha un ottimo sapore, l'aria?"

Lorenzo fu costretto ad ammettere che sì, l'aria era decisamente ottima "E se ci saranno insetti mi proteggerai?"

"Ovviamente."

"Che galantuomo."

In qualche modo Lorenzo riuscì a non avere una crisi respiratoria e i due giunsero sul portico di casa di Rufus. Era una bella villetta a due piani, ben tenuta, in pietra, dall'aria di essere piuttosto moderna. 

Rufus bussò e Lorenzo, con i piedi che facevano male per l'aver camminato con delle scarpe eleganti su per una salita di montagna, cercò di sistemarsi la camicia. Quando un uomo aprì la porta, Lorenzo si chiese se Rufus non avesse un fratello maggiore. Quello non sembrava esattamente un... padre. Selvaggi ricci scuri e un poco brizzolati, il sorriso ampio, un paio di occhiali da sole inforcati sulla fronte e la maglia del festival del Pesto di Genova. 

Certo, Lorenzo era cresciuto con un padre già piuttosto anziano, quindi la sua idea di genitore era piuttosto vicina a quella di un vecchio elegante che pretendeva rispetto e certo non di un simpatico signore muscoloso con giusto qualche ruga attorno alla bocca. Simpatico signore muscoloso che gli strinse la mano in una morsa mortale e abbracciò affettuosamente quello che, a quanto pare, era suo figlio. 

"Tu devi essere Lorenzo! Piacere, Vincenzo, allora... aspetta che chiamo la madre di Rufus, anche lei non vedrà l'ora di conoscervi! Su Rufus, fa accomodare il tuo amico!"

Vincenzo sparì da qualche parte, mentre i due entravano in casa. Da dentro si aveva la strana visione di un misto di antico e moderno. Muri di pietra e una grande vetrata che dava sul giardino sul retro. Divani di pelle davanti a un grande camino, una tv a schermo piatto appesa al muro e, qualche muro più in là, una bella testa di capriolo.

Ed ecco tornare Vincenzo, accompagnato da una donna dall'aria atletica, con una bionda coda di cavallo e la pelle scurita dal sole. Quest'ultima salutò allegramente Rufus e si presentò a Lorenzo non senza un marcatissimo accento tedesco "Piacere, Edeltraud, ma ti scongiuro chiamami Edel. Lo so già il tuo nome, Rufus ci parla sempre tanto bene di te!"

Lorenzo si trovò improvvisamente a essere interessatissimo "Ma no, non mi dica."

"Oh certo. E ci ha anche detto che sei un ottimo musicista. Ma avrete fame ora, è quasi ora di pranzo. Sappiamo bene che avrete mille cose da fare, ma domani pensavamo di proporvi qualche attività da fare tutti e quattro. Attività tipiche del luogo, scommetto che un ragazzo giovane come te non vedrebbe l'ora."

Edel aveva proprio l'aria di una donna gentile. E poi, Lorenzo non aveva voglia di sembrare scortese (una volta tanto in vita sua), quindi si trovò subito a dire che sì, ne sarebbero entrambi stati felicissimi. Notò solo più tardi che Rufus gli stava facendo, molto chiaramente, segno con la testa di dire di no. 

Lorenzo poté solo alzare le spalle. Al massimo, avrebbero avuto un giorno in meno per i loro picnic. Non era proprio una tragedia. Solo più tardi Rufus gli disse che i suoi genitori erano dei tipi leggermente... estremi, per così dire.

...

Quando Greta aveva bussato alla porta, Tom l'aveva accolta con un bacio e, probabilmente, se fosse stato un cane si sarebbe messo a scodinzolare. Era terribilmente felice di poter passare quella serata con lei, indisturbati, a mangiare porcate, guardare film in streaming, suonare cose turbando i vicini e tutto il resto. Il cibo da asporto era già arrivato,

"Ma buonasera - aveva detto Greta, annusando l'aria che profumava un po' di bacon e un po' di patatine fritte - Vedo che la cena dei re è arrivata."

Una delle cose che Tommaso aveva imparato di Greta era che con il cibo le piaceva strafare. Non che fosse propriamente grassa, la sua costituzione era piuttosto esile e faceva tanto sport, ma restava una che si lasciava volentieri andare davanti a degli anelli di cipolla.

"Oggi per vossignoria abbiamo dei club sandwich con formaggio, burro, pollo, maionese e stupida insalata, formaggio fritto e nuggets di pollo. Siete le benvenute."

Greta rise e si gettò sul cibo per poi buttarsi sul divano mentre Tommaso andava a sedersi di fianco a lei.

"Ah, prima di iniziare a mangiare - Greta mollò all'improvviso il panino che teneva in mano e, del tutto serenamente, lanciò la bomba - tra due giorni torno a Londra." 

Tommaso rimase fermo, improvvisamente rigido come un pezzo di legno "Aspetta, cosa?"

"Beh, sì, lo sai. Io vivo là, non posso starmene quaggiù per sempre."

Tommaso abbassò lo sguardo, punto sul vivo. Non era soltanto il fatto che lei se ne stesse andando, il problema stava anche nel fatto che lo dicesse con tanta tranquillità, come se non fosse chissà che problema. Perché per lui lo era.

"Senti... io credo che dovresti restare." disse Tommaso, con uno scatto tanto di onestà quanto di improvviso nervosismo.

Greta aggrottò le sopracciglia, quasi ridendo "Cosa? Senti, anche a me dispiace dovermi allontanare da te, ma la mia vita è a Londra. Non posso metterci davanti un ragazzo con cui sto insieme da qualche mese. Ti voglio bene e insieme siamo fantastici, ma ho delle priorità."

"Sono felice di contare così poco per te, - rispose Tommaso - così poco da farti prendere tutta questa cosa come uno scherzo."

Non poteva andarsene, non così all'improvviso, non spogliandolo senza preavviso di tutte quelle belle sensazioni che aveva sentito così a lungo e a cui finalmente si stava abituando. Aveva quasi iniziato a pensare di aver trovato qualcuno capace di non deluderlo e di non fargli del male, oltre a Giulio. 

"Ehi, non so che cosa tu abbia sentito, Tom, ma non ti sto abbandonando. Andrò a Londra e vedremo che cosa succede, no? Non c'è bisogno di arrabbiarsi così."

"Certo, e vederci una volta ogni quanto? E che cosa fare, dopo? - Tommaso si alzò in piedi, iniziando a sentirsi ribollire - Non voglio stare con te se non posso vederti o se tu te ne devi stare per sempre su quell'isola del cazzo."

"Tom, non ci frequentiamo da tanto, non siamo sposati, non è una tragedia. Vedremo come andrà."

"Non andrà, o vai o la finiamo qui."

Greta spalancò gli occhi, alzandosi a sua volta "Stai scherzando spero."

"No che non scherzo. Tanto si vede che non ti importa abbastanza di me perché altrimenti penseresti di restare."

"Oh certo! Venderò il mio appartamento che ho da ormai da quasi cinque anni, lascerò il mio lavoro, la vita che mi sono creata e il luogo dove ho sempre voluto vivere perché un ragazzo con cui esco da neanche un anno ha troppa paura di rimanersene da solo a casina o senza scopare per qualche mese! - Greta aveva addosso il più amaro dei sorrisi, dicendo queste parole - Ma ti senti quando parli?" 

"Mi sento, cazzo. Evidentemente sei tu che a quanto pare non capisci dov'è il problema."

"E quale sarebbe?"

"Che tu non tieni a me la metà di quanto faccio io."

"Infatti ti ho scritto per quasi un anno quando stavo in un'altra nazione solo perché non avevo niente di meglio da fare, certo. Sai che ti dico? Me ne vado, mangiati quei fottuti anelli di cipolla, Tom, e chiamami quando sarai cresciuto almeno un po'."

Fu un attimo. Greta andò a prendere la sua giacca, aprì la porta, e se ne andò, e la stanza che un attimo prima era stata riempita dalla rabbia delle loro voci fu invasa da un improvviso silenzio. Tommaso rimase fermo, tremante di un misto di emozioni che era sul punto di scoppiare. Poi, si voltò verso il frigo.

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