Tweedledum e Tweedledee

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— Combattiamo fino alle sei, e poi desineremo, — disse Tuidledum. — Benissimo, — disse l'altro con malinconia, — ed essa può guardare... Soltanto farà bene a non avvicinarsi troppo. Io ordinariamente, colpisco tutto ciò che veggo... quando sono veramente eccitato. — E io colpisco tutto ciò che posso raggiungere, — gridò Tuidledum, — lo vegga o no. Alice rise: — Voi dovete colpir gli alberi molto spesso, o credo.

"Tesoro, oggi hai l'appuntamento con il dottore, nel suo studio." 

Alice, dalla sedia vicino alla finestra, si esibì nella sua migliore smorfia di disappunto. "Ѐ proprio necessario?"

"Sì, lo è. Come ogni mese."

"L'ultima volta è venuto lui da me."

"Sì" ammise l'infermiera. "Ma solo perché eri rimasta incosciente per due giorni di fila."

"Mmh...Non potevi avvisarmi due giorni fa?"

"Alice!" la rimproverò l'infermiera, cercando di non ridere. "Ѐ una cosa seria!"

"Sì, sì, lo so, scusami" disse la ragazza, e tornò a guardare fuori.

Rimasero un attimo in silenzio, poi Lucia spiegò: "Questa volta non ti accompagno io. Devi andarci da sola."

Alice si voltò verso di lei, rivolgendole uno sguardo perplesso.

"Ha deciso così lui. Dice...Beh, testualmente ha detto che sei abbastanza grande per fare venti metri a piedi da sola in un edificio chiuso."

A che gioco stanno giocando?

"Ma sono peggiorata ultimamente, non ti sembra?" disse acida, in un chiaro riferimento alla visione in giardino.

Lucia la guardò imbarazzata. "Io non lo so, piccola, ma il tuo psichiatra sa quello che fa. Okay? Ti devi fidare di lui."

Non poteva scegliere parole più sbagliate. "E perché dovrei fidarmi di lui?" urlò Alice, con uno sguardo di pura rabbia.

"Perché quello che lui ha capito della tua testa, per quanto poco, è più di quello che ha capito qualsiasi altro tuo medico curante, di quello che ho capito io e anche di quello che hanno capito i tuoi amici" disse Lucia con decisione.

Alice avrebbe voluto contraddirla, ma gli ultimi incontri con Luca le dicevano che invece l'infermiera aveva ragione. Nemmeno lui riusciva più a rendersi conto di quello che pensava. O così credeva Alice.

"Va bene" concesse, sconfitta. "Andrò dal dottore."

***

Non aveva bisogno di indicazioni. Ricordava perfettamente il percorso che dalla sua camera conduceva allo studio. Le si era impresso nella mente dal loro primo incontro.

Bastava attraversare il corridoio, sperando di sopportare le occhiate diffidenti di infermieri e pazienti, e svoltare a destra. La prima porta, bianca come tutte le altre.

Per un attimo la solleticò l'idea di uscire di nuovo fuori, in libertà, ma la scacciò immediatamente. L'avrebbero riportata dentro nel giro di pochi secondi e non avrebbe più potuto rivedere la luce del sole.

Bussò con le nocche sulla porta, come se sperasse di non trovare nessuno. Invece la voce odiosa le rispose "Avanti!"

Con un sospiro, la paziente entrò.

"Alice. Che brava che sei stata" commentò affabilmente il medico.

"Sono grande e vaccinata, so fare venti metri a piedi da sola in un edificio chiuso" disse Alice, in un tono che voleva essere superiore e ironico, ma che fece risultare l'uscita decisamente infantile.

"Non avevo dubbi" rispose lui seriamente. In effetti era sincero. Alice non aveva visto un briciolo di sorpresa alla sua entrata. Il dottore era rimasto lì tranquillo, dietro la sua scrivania di legno chiaro, con le mani giunte sul piano di lavoro ingombro di fogli. 

"Siediti."

Alice obbedì.

"Allora, ho scoperto che tu e il tuo fidanzato avevate un vostro colore, o sbaglio? Vi regalavate rose bianche, gioielli bianchi, quaderni bianchi, libri con la copertina bianca...Cose così, giusto?"

La paziente, come al solito colta alla sprovvista dai suoi modi diretti, che evitavano qualunque introduzione, annuì.

"Adesso però il bianco non ti piace, vero?"

Lei scosse la testa. Si sentiva ridicola, così decise di parlare. "Tutto qui è bianco, e io odio stare qui" disse, quasi aggressiva.

"Lo capisco, Alice. Ma secondo me non è solo per questo che odi il bianco."

Il bianco è vuoto. Come quasi tutte le mie giornate. Come la mia vita, ormai, pensò, ma si impedì di dirlo. Non voleva più rispondere a quell'uomo.

"Il bianco è debole, Alice. E tu non vuoi essere debole. Non più. Sei stanca di essere rinchiusa. Vorresti essere abbastanza forte da sfondare i muri di questa stupida clinica e andartene, talmente forte che nessuno cercherebbe di impedirtelo."

Alice tacque. Ogni parola di quel breve discorso le era entrata dentro, tirando fuori tutto quello che lei aveva sempre pensato, ma senza volerlo ammettere a sé stessa. Rimase sconvolta, come se il medico l'avesse eviscerata, mettendo a nudo tutto quello che aveva nelle parti più nascoste di sé. E gli erano bastate poche frasi per farlo.

 "Vuoi sentirti potente, di nuovo padrona di te stessa. Vuoi sentirti una regina."  

E quest'idea della regina...Come gli era venuta in mente? Era solo una coincidenza?

Alice iniziò a intrecciarsi i capelli per sfogare il nervoso, ma rimase terrorizzata da quello che sentiva. Non poteva credere a quello che quell'uomo le stava facendo.

"Il bianco invece è troppo debole. Basta un niente e si macchia, si sporca, sparisce. Il bianco si sporca col rosso"

L'immagine delle rose macchiate di sangue ritornò con prepotenza davanti agli occhi della ragazza, provocandole un lungo brivido.

Il medico la guardò con un sorriso triste. "Alice, non c'è nulla di male ad essere deboli, a volte. Ma capisco che tu voglia essere forte. E devi esserlo, hai assolutamente ragione. Ma non è contro di me che devi combattere, non contro questo posto. Devi combattere con quello che è entrato qui" disse, puntandole un dito verso il centro della fronte. 

"La Regina di Cuori, se vuoi chiamarla così, è dentro di te, Alice. E finché è lì ti rode dall'interno, ti fa ammalare lentamente. Ma se fosse fuori, non sarebbe che una figura minuscola, e tu l'avresti in pugno. Devi buttarla fuori, Alice, solo tu lo puoi fare. E a quel punto potrai uscire di qui."

Il medico tacque. Aveva parlato con grande impeto, come se si trovasse lui dall'altro lato della scrivania, con una Regina di Cuori nella testa e una gran voglia di urlare.

Ma non è così. Lui è libero, io no.

Nessuno parlò più in quella seduta.

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