"While He Still Knows Who I Am"

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng


[ Tony x Peter - Post!EndGame - Whatif? - wc: 4720 ]


Un raggio di luce gli baluginò negli occhi, poi sparì e cedette il passo ad un muro di persone che lo circondarono, di corsa, mentre l'astronave si dissolveva e lasciava che il cielo si aprisse; il sole sembrò esplodere, e il suo calore gli carezzò le guance. Riuscì a stirare un sorriso, mischiato ad una smorfia di dolore. Sentiva il sangue in bocca, sotto al palato. Sapeva di ruggine e di polvere. Ogni volta che annaspava l'aria, terra e sabbia gli raschiavano la gola. Gli mancava la sensibilità di tutta la parte destra del corpo; a tratti la sentiva bruciare, quando folate lievi di vento lo attraversavano. Rhodey gli posò delicato una mano – ricoperta dall'armatura – sulla guancia; lo fece con dolcezza, e il freddo del metallo gli diede quasi sollievo, contro la pelle bollente.

«Ehi, come ti senti?»

Avrebbe voluto rispondergli, ma non ci riuscì. Scosse la testa e tentò di mantenere quel sorriso sulle labbra, ma il dolore gli annebbiava la vista e i pensieri. Avrebbe voluto formularne di coerenti, di intelligenti, ma non ne era proprio in grado. Non sapeva nemmeno se ce l'avevano fatta; non sapeva nemmeno se, alla fine, era valsa la pena schioccare le dita. Pareva di sì. Erano tutti intorno a lui, col fiato raccolto nei polmoni e nelle guance, e l'unico che aveva avuto il coraggio di avvicinarsi era stato solo il suo migliore amico. Lo ringraziò con gli occhi, quando vide che, sulla guancia, gli era scesa una lacrima. Sto bene! Che hai da piangere? avrebbe voluto dirgli, ma non ne aveva le forze. L'erba cattiva non muore mai, lo sai meglio di me.

In verità piangevano tutti. Dio, che patetico siparietto! Girò lentamente la testa per guardarli, e fu attraversato da un gorgoglio, quando vide Thor singhiozzare come un bambino; le mani ben congiunte vicino al cuore, a guardarlo come se non ci credesse nemmeno. Chissà a cosa, poi.

«Tony.»

Era Cap, e per la prima volta, dopo anni, sentì la sua voce di nuovo rilassata e addolcita. Ho dovuto quasi morire, per buttare giù quel muro?

Poi in mezzo a quella calma, come un tornado, arrivò l'uragano della sua vita a travolgerlo di nuovo, dopo cinque anni in cui aveva cercato di seppellire il suo ricordo, senza mai riuscirci davvero. Come un ragno che corre verso la sua preda, Peter atterrò poco distante da lui, dopo averlo raggiunto barcamenandosi con le sue ragnatele tra i pochi appigli che quella zona aperta offriva, arrivando chissà da quale parte della battaglia. Rimase solo qualche istante a guardarlo da lontano, poi gli corse incontro e si piegò sulle ginocchia, di fronte a lui. Inclinò la testa per guardarlo meglio, e i suoi occhi si inumidirono da un secondo all'altro. Gli posò una mano sulla sua; cercò di stringergliela, solo per rassicurarlo che era tutto dannatamente okay.

«E-ehi! Li ho visti sparire all'improvviso, pensavo che...», sorrise, dapprima, ma poi strizzò le labbra e abbassò lo sguardo. Iniziò a piangere come se avesse gettato via dalle spalle il peso di una paura che finalmente era sfumata via. «pensavo che fossi morto», ammise, gli tremò la voce e non alzò la testa, nemmeno quando lui sollevò la mano sana – tremante, per arruffargli i capelli. Cinque anni che non lo vedeva, e dio solo sapeva quanto gli era mancato.

«Sei pazzo», soffiò, «Potevi morire sul serio.»

Non aveva la forza di aprire bocca e rispondergli, ma sperò che lo avesse capito quel mi dispiace di averti fatto preoccupare. Peter alzò la testa e, mentre si passava il dorso della mano sugli occhi per asciugarli, sorrise raggiante.

«Ma abbiamo vinto, Tony. Ce l'hai fatta.»

Tony annuì impercettibilmente, stremato. Ma niente, nemmeno quel dolore lancinante al braccio, riuscì a cancellargli quell'espressione soddisfatta dal viso. Ce l'aveva fatta, e nient'altro aveva più importanza.


...


«Ragazzino, santo cielo! Sei il mio incubo!»

«Non volevo disturbarla, mi scusi!»

Tony si ritrovò a sorridere, mentre poggiava il gomito allo stipite della porta del suo ufficio e poi sospirò divertito, in attesa. Non ci riusciva mai a contenerlo, quel guizzo divertito, quando Peter Parker gli si parava davanti. Un po' perché quel fare genuino, inesorabilmente, era in grado di buttare giù qualunque malumore gli si parasse davanti come un muro, un po' perché la compagnia frizzante di quel ragazzo era sempre, dannatamente piacevole. Lo stava guardando come se volesse estirpargli dagli occhi le risposte che cercava, solo che Tony non conosceva ancora la miriade di domande che sicuramente gli avrebbe posto, per quello sospirò e inclinò la testa di lato, in attesa.

«Dunque? Che c'è, Parker? Vogliamo restare tutto il giorno a fissarci davanti al mio ufficio o hai intenzione di dire qualcosa?»

«Oh, sì, c-c-certo, signore», esordì, poi intascò le mani nei jeans, a disagio. «La tuta è perfetta ma c-ci... ci sono u-un sacco cose che v-v-», si bloccò, strizzò gli occhi e indurì i muscoli del collo, poi riprese, «volevo chiederle, se per lei n-non è un problema», sorrise poi, impacciato, tirando un sospiro di sollievo mentale, che Tony gli vide uscire comunque dagli occhi. Ogni parola buttata fuori era una sfida contro la mente, eppure quel ragazzo si sforzava ogni istante di fingere che non fosse così. Gli faceva tenerezza e allo stesso tempo provava un moto di rabbia incalcolabile. Avrebbe voluto fare più di fingere che non notasse quelle difficoltà.

«Dipende. Nessuna aggiunta stupida, nessun ripetitore bluetooth per sentire la musica mentre sei in missione, nessuna tasca sulle chiappe. Ho altri tabù, ma questi sono di certo i principali», grugnì, storcendo il naso e contando sulla punta delle dita ognuna di quelle raccomandazioni; Parker sembrò andare nel panico. Una di quelle cose che divertivano Tony, più del dovuto e che un po', quelle preoccupazioni, le sgravavano.

«N-n-no! Niente di tu-tutto questo! È solo... qualche domanda tecnica e altre c-cose così. Se ha un minuto... o f-f-forse anche d-due o tre», ironizzò il ragazzo, arricciando le labbra senza però perdere quel sorriso impacciato che aveva messo su da quando gli aveva aperto la porta e se lo era trovato davanti, con le mani dietro la schiena, che lo aspettava raggiante, come ogni volta.

Peter, la sua balbuzie, non l'aveva accettata davvero – chi lo aveva mai fatto, dopotutto? – ma erano lontani, quei giorni in cui a malapena riusciva a mettere, una dietro l'altra, parole comprensibili. Aveva imparato a respirare meglio, a darsi un ritmo musicale meno incerto, e aveva imparato qualche trucchetto del mestiere, per nasconderla un po', ma era ancora lunga la strada verso dei miglioramenti più concreti e Tony, di certo, poteva solo supportarlo moralmente, sebbene non fosse sempre semplice perché, dopotutto, quel fatto non lo aveva mai accettato davvero nemmeno lui.

Si sforzò di sorridere. «Va bene! Sto andando in pausa pranzo, vieni con me? Parliamo davanti ad un hamburger con cheddar

«S-sì! Certo! Oltretutto sono in p-pausa pranzo anche io!»

...

«Come va con gli esercizi?»

«Oh, meglio! S-spero si senta, ma la l-l-logop-» Si bloccò, e irrigidì ancora i muscoli del collo, e un lungo suono silente accompagnò quel momento, «La dottoressa ha detto c-che sto facendo p-p-passi da gigante!», esclamò infine, e Tony iniziava davvero a crederci, che quell'ottimismo non fosse solo una faccia. Forse non più. Poteva leggerglielo negli occhi, dopotutto e, sebbene non fosse ancora padrone del disturbo che lo aveva colpito, per una volta Peter gli sembrò orgoglioso dei propri risultati.

Tony sentì le spalle rilassarsi, e con loro anche la spina dorsale, e qualche pezzo della sua anima, sempre tesa, rigida, pronta a sfidare qualunque demone – a parte i propri, e sorrise. «Ottimo. Stai cercando di usare quel trucco che ti ho insegnato l'altro giorno?»

Peter si impettì, e le stelle nelle sue iridi castane brillarono di più; costellazioni intere di purezza e dolore, mescolate in qualcosa di nuovo, che Tony non vedeva da tempo sul viso di nessuno. «Ingannare la mente? C-certo che sì! O-ogni volta che una p-pa-», prese fiato, poi deglutì, «parola mi si inceppa, cerco un s-sinonimo. La mente è p-pro-» Un altro respiro intenso, «proprio strana, certe volte.» Peter addentò il suo panino, non prima di avergli rivolto uno sguardo che ricercava, ancora una volta, approvazione.

«Vedrai che entro la fine dell'anno riusciremo a dimenticarcene», cercò di rassicurarlo, e diede un lungo sorso alla sua Coca Zero, cercando di affogare qualche preoccupazione nella sua bevanda dietetica; nel solo e unico tentativo di non lasciare che Peter se ne accorgesse, di quanto quel fatto lo tormentasse. Non si guarisce mai davvero, da un disturbo del genere, ma si riesce a nasconderlo, migliorarlo; i più bravi lo celano dietro ad una voce limpida e piacevole, anche se poi certe volte, crollano anche loro. Per Peter poteva essere lo stesso, un giorno e Tony ci sperava perché, dopotutto, lo aveva conosciuto in un periodo dove non avrebbe mai detto che, una personalità così, potesse inciampare in una chiusura simile.

«Sono mo-molto ottimista, s-signor Stark!»

«Lo vedo, ragazzo, lo vedo! Quant'è che ci conosciamo, ormai? Cinque o sei anni?»

Peter sbuffò divertito. «P-per lei il tempo p-passa davvero in fretta, sa? N-no, è solo un anno e p-poco più.»

Tony si irrigidì e, con lui, la mente. Certe volte dimenticava. Anzi, certe volte si imponeva di farlo, perché non era semplice accettare quel fatto. Non era semplice perché, malgrado avesse ricevuto indietro ciò che aveva desiderato ardentemente, le cose erano ben lontane dall'essere esattamente come le voleva e, per uno come lui, era inconcepibile che niente stesse andando come aveva calcolato. Dopotutto era passato solo un anno – che aveva speso a tentare, in ogni modo possibile, di aiutare quel giovane a dimenticare, almeno in parte, le proprie insicurezze e superare quel problema che lo attanagliava. Qualcosa che Peter, quel ragazzo incantevole, nemmeno meritava.

«Ho giusto sbagliato di millequattrocento giorni, più o meno», tentò di ironizzare, e si ritrovò ad addentare il suo panino, mentre Peter rideva di fronte a quella battuta, e lo inondava con quella genuina spensieratezza che un po' di salvezza, riusciva a donargliela. «Quando hai il prossimo incontro con la dottoressa?»

«Dopodomani. C-ci vediamo il m-» Si bloccò ancora, poi tirò un lunghissimo respiro, «mercoledì.» Tony ci vide un pizzico di frustrazione, in quell'ennesimo momento di blocco. Non era semplice fingere che quel problema non ci fosse e, più le conversazioni erano lunghe, più Peter iniziava a stancarsi. Non voleva darlo a vedere, questo era certo, ma quel ragazzo era stanco. Stanco di balbettare e stanco di dover combattere per arrivare al punto di non farlo più. Una continua sfida con la propria mente, un perenne controllo del respiro. Un incubo, che doveva fingere non fosse tale. E per Tony era lo stesso.

«Verrò con te. Voglio... sondare il terreno e vedere cosa fate.»

«Non si fida?», ridacchiò Peter, e Tony notò solo in quel momento che si era già spazzolato via tutto il suo panino, e che aveva addentato una manciata di patatine dal cestino al centro del tavolo. La fame di Peter lo aveva sempre divertito, anche in quel momento che, dopotutto, non c'era molto da ridere.

«Sì che mi fido, santo cielo! Ma ti ci ho mandato io, e odio non avere il controllo della situazione. Lo sai.» Lo ammise strizzando le labbra e schioccando la lingua, disturbato dal fatto che, come sempre, il controllo della situazione non era in suo potere, in quel caso. Se avesse potuto, avrebbe costruito un qualsiasi gingillo in grado di aiutare Peter, ma non ne era in grado e, forse, non era nemmeno giusto. Aveva già fatto abbastanza. Aveva già causato fin troppi problemi; era arrivato il momento di fermarsi e lasciare ad altri l'arduo compito di risolvere i suoi danni. Non era semplice, ma doveva. Glielo doveva.

«N-nessun problema, signor Stark. Per me può venire q-quando... quando vuole. Anzi», esordì Peter e arricciò le labbra, impacciato, mentre gli zigomi si tingevano di rosso e la folta corolla di ciglia scure si alzava, rivelando ancora una volta quegli occhi incandescenti, ardenti, puri. Incantevoli. Spiazzanti. «grazie per quello c-che sta facendo per m-me. È moltissimo e io... da solo sono u-un vero d-disastro.»

«Ho i mezzi e conoscenze. E tu impari in fretta. Siamo un'ottima squadra; un po' strana, ma lo siamo», rise e alzò il bicchiere di Coca Cola in quella che era la pantomima ironica di un brindisi importante, poi alzò un sopracciglio quando Peter infilò in bocca un'altra manciata di patatine, senza alcun ritegno. «Mangi come un maiale, Peter. La logopedista ha detto che guarirai anche da questo disturbo? Mi manderai sul lastrico, se continui così!»

«Co-colpa del ragno, signore! Mi ha a-accelerato il metabolismo!», si giustificò lui, alzando le spalle, e Tony si ritrovò a reclinare la testa all'indietro, scoppiando a ridere.

«A proposito di ragno. Cos'è che volevi dirmi, della tuta?»

...

«Non dormiva più, di notte. A volte lo trovavo fermo, immobile a fissare la finestra. A volte seduto al tavolo della cucina a guardare la televisione, senza audio. Non penso l'abbia mai guardata davvero. Era solo...»

«Una distrazione», concluse lui, per lei, e May annuì lentamente, dopo avergli restituito uno sguardo terrorizzato.

«Tony, da quando è tornato è strano. Parla a malapena e non esce di casa. Si rifiuta di andare a scuola. Dice che per ora non se la sente. Non riusciamo a dissuardo, né io né Ned. Non parla nemmeno con lui, gli dice solo che sta bene e basta. È...»

«Vuoto. Come un guscio.» Si ritrovò di nuovo a dover concludere la frase per lei, che abbassò il capo e gli prese una mano. Glielo lasciò fare, solo perché era di Peter, che stavano parlando. Il lungo corridoio della sala d'attesa dei laboratori era infinito, ora che lo guardava, cercando di non catalizzare troppo l'attenzione su quei fatti. Un riverbero improvviso gli bloccò il respiro nei polmoni. Si lasciò andare ad un sospiro sommesso, poi proseguì. «È la cosa migliore, May. È per il suo bene e anche il tuo. Non riesce a superarla; tuo nipote è troppo giovane per portare sulle spalle un peso così grande. Grava su di me, su Rogers, su Banner... su chiunque l'ha vissuta sulla sua pelle. Lui è solo un ragazzo, che fuori da quel costume va a scuola e dovrebbe pensare solo al suo futuro, come farebbe ogni suo coetaneo, oltre a salvare il mondo.»

«Lo so. So che è la cosa migliore, Tony ma... non è per lui che mi preoccupo; so che starà bene. Ma tu?», gli chiese e lui ebbe un sussulto nel petto. Il sangue smise di pompargli il cuore per tre, interminabili secondi, poi riprese e gli colpì il centro delle scapole con stilettate dolorose tanto quanto delle coltellate. Tentò di nascondere il fatto che non si aspettasse una domanda del genere, dietro agli occhi da vista con le lenti scure.

«Io cosa?», chiese, e cercò di sorridere come se la cosa non gli importasse un granché, e invece faceva un male cane.

May sembrò capirlo e, lasciandogli la mano, alzò le spalle. «Ti dimenticherà, Tony. Dimenticherà tutti voi, ma tu specialmente. Quando ti rivedrà non saprà nemmeno chi sei.»

«Meglio così, potessi avere la stessa fortuna, mi farei cancellare anche io la memoria. Dovresti farlo anche tu, così dimenticheresti tutte le volte che l'ho messo nei guai, quella peste di tuo nipote!», tentò di ironizzare, e May gli diede una gomitata ridacchiando, mentre le si riempivano gli occhi di lacrime inconsapevoli, che si affrettò ad asciugare con un lembo della giacca. «Andrà bene. La cosa positiva è che dimenticherà quello che è successo, quella negativa è che non si libererà comunque di me. Non così facilmente.»

«Lo metti nei guai, è vero. Lo sproni a mettersi in pericolo, ad essere Spider-Man, forse più di quanto lo volesse un tempo, ma sei tutto per lui, Tony. Ha bisogno di te.»

Ed io di lui. Lo disse con un sorriso, mentre la porta della stanza di fronte a loro si apriva e ne usciva Bruce, con accanto Natasha. Aveva tinto di nuovo i capelli di rosso, ma aveva mantenuto quella lunghezza che le arrivava sulle spalle, raccolta in una treccia che le cadeva su una spalla e accentuava quel suo sorriso, un tentativo di rassicurarli che un po' funzionò. Tony si alzò in piedi e May lo imitò meccanicamente, stringendosi una mano intorno al petto, come se stesse cercando di tenere il cuore nella gabbia toracica.

«Sta bene, si è appena svegliato. È un po' spaesato. Gli abbiamo detto che è svenuto e che lo hanno portato qui per degli accertamenti, ma che sta bene. Gli diremo che è solo stress, poi domani potrà già uscire», comunicò Banner, passando lo sguardo prima sulla zia apprensiva e poi su Tony, arricciando le labbra, dispiaciuto.

«Vi ha riconosciuti?»

«No. La soppressione parziale della memoria ha funzionato e pare non aver causato danni. Ha qualche difficoltà a parlare, ma credo sia normale. Deve riempire dei vuoti, ma siamo certi di poter contare su di voi, in questo caso. Soprattutto su di te, Tony. I tuoi metodi diretti e poco convenzionali di solito funzionano», scherzò Natasha e Tony incassò il colpo con un sospiro, fingendosi indignato, ma dentro di sé sentì qualcosa appassire. Ricordi che, invece di sbiadire come avevano fatto con Peter, ardevano più forti. Ricordi che avrebbe conservato solo lui, e lui soltanto, con qualcuno che ora non sapeva nemmeno più chi aveva davanti, dopo tutto quello che avevano condiviso insieme. Dopo tutte quelle battaglie combattute a cercare di capire se, quel loro bisogno di stare assieme, fosse sbagliato oppure no. E tutti quei discorsi sui sentimenti, impacciati e ammassati di cose non dette, dopo tutte quelle insicurezze e poi chiarimenti, Tony avrebbe dovuto dimenticare persino il primo bacio che si erano scambiati nel suo laboratorio, dopo una litigata furibonda di cui nemmeno ricorda più i motivi. Poi tutto il resto, che giorno per giorno ammassava ricordi che costruivano un percorso destinato poi a bloccarsi lì, davanti a una scelta difficile, ma necessaria.

Rimanere insieme e soffrire o dividersi e salvare Peter?

Faceva male, ma non ci aveva messo molto, a capire quale fosse la scelta più giusta per entrambi. E si sentiva uno schifo all'idea che Peter non fosse nemmeno stato interpellato, e che non gli fosse stato chiesto cosa ne pensasse ma... dopotutto aveva senso chiedere ad un guscio vuoto cosa preferisse tra il vivere e il morire dentro?

«Possiamo entrare?», chiese May, e Banner annuì, spostandosi dal ciglio della porta per far loro strada e la donna si precipitò dentro, immediatamente. Tony si bloccò sulla soglia e Nat gli posò una mano sulla spalla, che un po' gli bloccò il tremolio alla mano sinistra, quella sana. Quella che somatizzava ogni bruttura della vita, vibrando.

«Non parla bene, Tony. Ha un disfluenza verbale grave che, a parer mio, può migliorare col tempo e un po' di allenamento», spiegò Banner e Tony si voltò a guardarlo, interrogativo.

«Balbetta? Mi stai dicendo questo, Bruce?»

«Sì», rispose l'altro, poi sospirò e guardò altrove, «Tony, ha dimenticato tutto: Thanos, Titano, la guerra, lo schiocco, gli eventi a Washington DC e te... ma il trauma è lì, da qualche parte, che preme. La psicologia è più complessa di quanto si possa credere e sapevamo che ci sarebbe stato un effetto collaterale. Lo sapevi anche tu.»

«Sì, lo sapevo, ma non pensavo che avremmo dovuto combattere con un disturbo del linguaggio dato da qualcosa che nemmeno ricorda! Gli abbiamo cancellato la memoria per aiutarlo ad andare avanti!», si ritrovò a sbraitare e quando Bruce gli fece cenno di abbassare la voce, Nat si avvicinò posandogli una mano sul petto per allontanarlo dall'altro, nel tentativo di bloccare una qualsiasi discussione. Tony gli fu quasi grato, che stesse mantenendo la calma per lui.

«È l'effetto collaterale minore, Tony. È tornato tra noi e vedrai da te che il peso di quei ricordi lo ha già abbandonato, ma ci sono cose che si risolvono col tempo. Ha bisogno di te, anche se non lo sa ancora», sorrise lei e la stessa mano che lo aveva bloccato, si posò di nuovo sulla sua spalla, con un'amichevole delicatezza che ebbe il potere di rinfrancare un po' la sua anima oscura. «Nessuno si salva da solo¹», sorrise, infine. «Ora, per favore, vai. Non sa che vi conoscevate già ma sei il suo mito, ora come ora. Immagina quanto può renderlo felice, sapere che Iron-Man è andato a trovarlo in ospedale!»

Era una triste verità, ma forse non così tanto. Tony aveva il cuore che gli batteva così forte che quasi aveva paura potesse esplodergli da un momento all'altro. Si voltò a guardare l'interno della stanza, dove in fondo, vicino alla finestra, May era già seduta al capezzale di un nuovo Peter Parker, ma che da quella visuale non riuscì a vedere. Avrebbe voluto ringraziare Banner, ma non ci riuscì. Non era mai stato bravo, con le parole, ma sapeva che tutti erano a conoscenza di quel suo lato maldestro, incapace di esternare nient'altro che arroganza e sfacciataggine, e che nessuno gliene aveva mai fatto una colpa. Si decise ad entrare; un passo davanti all'altro, finché non raggiunse la meta che, il tamburella incessante del suo battito cardiaco, gli fece sembrare quel tragitto molto più lungo di quanto non fosse.

Poi Peter lo vide. Interruppe qualunque cosa stesse cercando di dire a sua zia e alzò la sua folta corolla di ciglia su di lui, reprimendo negli zigomi qualcosa di troppo simile a un'emozione genuina, che non gli aveva più rivolto da tempo. Tony deglutì un magone doloroso che sapeva di veleno e che celò dietro ad un sorriso arrogante, nel solo ed unico tentativo di non uscire dal suo personaggio. Un po' per sé stesso, un po' per Peter, che aprì la bocca, esibendosi in una serie infinita di suoni atoni e di parole calcificate nella gola, prima di riuscire ad esternare anche solo una, semplice frase. Sbatté le palpebre così tante volte, che Tony automaticamente fece lo stesso, un paio di volte con le sue.

«L-lei è T-», si bloccò, e di nuovo riuscì a sciorinare solo suoni gutturali e atoni, «To-Tony S-» Chiuse la bocca, ma non parve rinunciarci. Prese un grosso respiro – frustrato, poi concluse, «Stark!»

«Per tua sfortuna ero da queste parti, Parker. Tua zia mi ha raccontato quello che ti è successo e che sei un mio fan sfegatato», esordì, e tentò di nascondere quel senso di malinconia che gli salì agli occhi, alzando un sopracciglio. «Sei un mio fan?»

Peter annuì lentamente, poi si alzò meglio a sedere, tartassandosi le pellicine della mani tremanti con le unghie, ma senza mai smettere di sorridere perché, a parte ciò che erano realmente stati, prima di quei tempi ormai andati Tony era stato, per lui, l'eroe della sua infanzia. Un modello da seguire, che aveva continuato ad ammirare, pure quando le cose tra di loro erano cambiate. Pure quando, inesorabilmente, aveva scoperto quanti lati oscuri possedeva Iron-Man, e invece di odiarlo, lo aveva semplicemente amato di più.

«Sei umano anche tu, Tony. So che non vuoi, ma è così.»

«Hai mai sentito parlare dello Stark Internship?», gli chiese e Peter scosse la testa in un diniego, senza mai chiudere davvero la bocca, ancora sotto shock. Gli occhi marroni che brillavano come era successo durante il loro primo vero incontro, prima che lo portasse in Germania a combattere e che mettesse in moto, inesorabilmente, un meccanismo troppo difficile da bloccare, ad un certo punto, che infine li aveva portati a questo. Deglutì di nuovo. «Oh, lo adorerai! Mi hanno detto che non te la cavi male, con le sciocchezze scientifiche che tanto piacciono a me. Appena esci di qui e ti rimetti, mi vieni a fare un saluto e vediamo se si può fare qualcosa.»

«Non la deluderemo, signor Stark. Vero, Peter?», domandò May e quando si voltò a guardare suo nipote, questi annuì con una genuina energia, e un sorriso troppo spiazzante, per non rimanerci intrappolato dentro.

Chissà se col tempo succederà di nuovo... si ritrovò a pensare, mentre i ricordi e la realtà si sovrapponevano e gli annebbiavano i pensieri.

«G-grazie», mormorò Peter, e poi abbassò la testa sulle mani strette intorno alle lenzuola, e Tony era certo che avrebbe voluto dirgli altro, fargli tutte le domande del mondo, come avrebbe fatto il Peter di un tempo, quello dalla parlantina all'argento vivo, che avrebbe ascoltato per ore. Ma andava bene così. Meglio questo che un burattino vuoto, che attendeva solo di spegnersi.

Tony gli arruffò i capelli e Peter gli scoccò un'occhiata frizzante, poi si allontanò e, prima di aprire la porta e sparire e lasciarsi andare allo sconcerto di quella novità dolorosa, si voltò e sbuffò divertito. «Ah, e quando vieni, porta la tuta. Sai di cosa parlo, no?»

Peter iniziò a boccheggiare, rizzandosi sulla schiena e tentando di fermarlo, senza riuscire a palesare un solo suono dalla bocca che fosse in grado di rendergli possibile quell'intento. Tony alzò una mano per salutarli, mentre sentiva May mentire con un preoccupato «Quale tuta?»

...

«Avevo quasi pensato volessi propormi una di quelle cose assurde che vedi in quei film trash che tanto adori, e invece, per una volta, mi hai quasi stupito, Peter!», esclamò, mentre apriva il portafogli e lasciava una banconota da cinque dollari sul tavolo, facendo cenno alla cameriera di tenere il resto. Questa masticò un paio di volte, poi fece scoppiare una bolla di chewing gum e sorrise leggermente. Tony avrebbe voluto attaccarle quella gomma da masticare sulla fronte, se avesse potuto. Alzò gli occhi al cielo e si infilò la giacca. Peter lo imitò.

«S-sto imparando, ha v-visto?», ironizzò il giovane e poco dopo lo affiancò fuori dal bar. Tony annaspò l'aria fresca di quella giornata, infilando le mani nelle tasche del cappotto aperto e allargando le braccia. Il sole gli baciò il viso e, quando sentì due occhi bloccati sul suo profilo, si voltò.

«A proposito, Parker. Domani sera c'è la maratona Ritorno al Futuro al Cinema Village. Ho due biglietti gratis, se non hai di meglio da fare – il che mi sembra assurdo, visto che si tratta di un cult – potremmo andare a vederlo, che ne dici?»

Peter sussultò sulle spalle, preso in contropiede. Fu adorabile vederlo alzare le spalle e incrociare le braccia al petto, come se volesse reprimere, in qualche modo, qualcosa di così grande da non riuscire a contenerlo.

«S-sì, perché no. N-non ho altro da fare, d-domani. Va b-bene», rispose, palesando un'indifferenza fasulla; come se davvero, dire sì o no, potesse essere lo stesso.

«Bene, allora ti passo a prendere alle cinque?»

«Sì, va bene! E... s-signor Stark?», esordì poi, mentre Tony aveva cominciato a camminare, gli si affiancò immediatamente.

«Dimmi.»

«Q-questo qui è... una... una specie di appuntamento?»

Tony rabbrividì e, tutto ciò che riuscì a fare, fu lasciare che i ricordi gli riempissero la testa. Non c'era mai stato un vero e proprio periodo tranquillo, prima di Thanos. Non c'era mai stata una vera e propria occasione di crearselo, un primo appuntamento, sebbene Tony non facesse nemmeno caso a certe cose, ma Peter era pur sempre Peter. Giovane, puro e che stava cercando inconsapevolemente di riscattere tutto ciò che non aveva avuto, per colpa della vita che lo aveva da sempre obbligato a bruciare le tappe, ma ora le cose erano cambiate. Ora avrebbe fatto di tutto, pur di fargli vivere ogni cosa come avrebbe dovuto essere, sebbene si sentiva come se stesse barando ma... se non avesse mai fatto quello che aveva fatto, avrebbe più rivisto quelle costellazioni brillare così intensamente, nei suoi occhi?

No, probabilmente no. Sorrise, e sotterrò i sensi di colpa, guardando Peter, godendosi, per un interminabile secondo, qualcosa che credeva non avrebbe più vissuto e che invece, a quanto pare, era parte del suo destino. Per una volta – una sola nella vita, gli fu grato.

Gli fece l'occhiolino e alzò le spalle. «Lo scopriremo domani.»

Fine

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro