Capitolo 11: Disastri imminenti

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Natale.

Quale conosciuta festa finta, assurda e consumistica.

Tuttavia, con un bambino per casa, era inevitabile non preparare addobbi, regali, luci e festoni.

Filippo correva per la casa come un ossessionato e stringeva tra le mani un groviglio di luci colorate.

Che bella età, avere quattro anni.
La gioia del Natale è ancora qualcosa di puro ed immacolato.

Purtroppo si perde troppo in fretta. In un attimo sei grande e la magia che pensavi fosse per sempre, sbiadisce ogni anno di più.

Il mio ricordo di natale più bello era legato all'infanzia quando andavo dalla nonna. Ci preparava tante cose buone da mangiare e ci faceva sedere tutti attorno al camino a bere cioccolata in tazza. Erano momenti spensierati, dove persino quella bisbetica di mia madre si rilassava.
Alla fine si aprivano i regali e si stava assieme fino all'ora di cena, quando tutti impigozzati, si tornava alle proprie case. Solo mio zio continuava a mangiare come un fanatico. Mi sarebbe mancato provare certe emozioni, lo avrei capito solo diversi anni dopo.

Filippo era intento con il padre ad addobbare l'albero che avevamo comprato qualche giorno prima.
Marco era spensierato e rilassato come non lo avevo mai visto negli ultimi tempi. Dopo il ritorno da Londra, i nostri umori erano migliorati. La signora O'Brian continuava a contattarlo per farlo tornare presto in Inghilterra e per continuare a discutere di certi progetti, ma Marco si era rifiutato di passare il natale lontano da noi. La cosa mi rincuorò molto.

All'Hotel le cose stavano andando parecchio bene. Nonostante il freddo che imperversava sulla città, il progetto di Fausti prendeva forma. Vedevo poco Edoardo al cantiere, sempre preso dai suoi mille progetti e anche il padre era spesso assente.
Mi ero ritrovata a pensarlo sempre di meno.

Aveva il mio numero di cellulare, se avesse avuto bisogno, non sarebbe stato complesso trovarmi. Evidentemente non aveva interesse per farlo.

Tuttavia, la squadra stava facendo un ottimo lavoro.
Le enormi stanze da letto erano state pulite e ritinteggiate, il vecchio cancello arrugginito sostituito da uno elegante ed elettrico di ultima generazione, dotato persino di telecamere su ogni lato.

I tecnici lavoravano sull'impianto di riscaldamento a terra e i muratori rimettevano a nuovo le pareti logorate dal tempo e dalla muffa. Tutto faceva supporre che i tempi venissero rispettati.
Massimiliano, il capo cuoco del F&F aveva già ricevuto il suo invito a trasferirsi per lavorare all'Hotel e al suo posto, al ristorante, sarebbe rimasto il suo vice che ormai, a detta del Fausti, era pronto per  lavorare da solo.

Lo chef stellato mi telefonò la sera stessa dopo aver appreso la notizia, elettrizzato come un bambino di dieci anni. Lo ascoltai condividendo il suo entusiasmo, ero davvero felice che Fausti fosse pronto a dargli una così grande responsabilità.

Io però, non avevo ancora ricevuto nessuna proposta.
Seguivo i lavori, presentavo al capo i conti, amministravo gli interessi con la banca.
Di trasferirmi all'Hotel ancora nulla.
Nessuna notizia.
Si sapeva solo che il complesso si sarebbe chiamato  Holiday's Spa and Fitness, poiché le mire di Fausti andavo ben oltre la creazione del solo hotel cinque stelle superior.

Il campo da golf era senza fine, la piscina finalmente era stata resa agibile e comunicante con un piccolo centro benessere. Il Fausti aveva persino introdotto l'idea di una palestra che, se pur piccola, era molto ben equipaggiata.
Era la vacanza dei sogni stare all'Holiday, immerso nelle campagne alla periferia della città.

Ma non sarebbe stata di certo una vacanza a buon mercato e adatta a tutte le tasche.

Per completare la propria idea di gran lusso, all'ultimo piano dell'hotel, Fausti aveva ricreato quattro suite, eleganti e per i clienti più chic ed esigenti.

Insomma, quel vecchio catorcio di hotel dismesso si stava trasformando nella perla del territorio, mai tanti soldi furono spesi in un progetto a scopo turistico e vacanziero fino ad allora.

La felicità di Fausti poi esplose definitivamente quando un amico allevatore gli comunicò di essere disposto a lavorare per lui, inserendo anche i cavalli nel suo progetto a sei zeri. 
A quel posto non mancava davvero nulla, se non il personale definitivo che avrebbe scelto Fausti personalmente poco prima dell'inaugurazione.

Chissà se ne avrei fatto parte.. Consapevole che non mi sarebbe affatto dispiaciuto.

_______________________

Ormai natale era davvero alle porte, giusto dietro l'angolo.
Mia madre mi comunicò che, come ogni anno, si sarebbe mantenuta la tradizione di famiglia. Ormai la nonna era vecchia e stanca, ma saremmo andati tutti da lei per il pranzo e ognuno avrebbe portato qualcosa così da alleggerirla dalle fatiche del cucinare.
Ero felice.
Avrei portato la mia torta preferita con le noci e qualche salatino per l'aperitivo e sarebbe stata una giornata spensierata.

D'un tratto i miei pensieri positivi vennero interrotti.
Lo squillo del telefono di Marco riecheggiò per tutta la casa, finché non si decise a mollare gli addobbi e finalmente rispondere.
Era il suo titolare.
Mi piombò il mondo addosso quando percepii il tono di voce del suo capo al telefono, un certo stronzo abituato ad ottenere sempre ciò che voleva senza mai scendere a compromessi.

Marco diventò prima rosso per la rabbia, poi pallido come un lenzuolo.
Ascoltava la telefonata annuendo e interrompendo di tanto in tanto con un "ma io", finché non riagganciò e per qualche secondo ci fissammo senza parlare.

La O'Brian aveva contattato l'azienda, lamentando l'inadeguatezza di Marco nel rifiutare di andare a Londra per le feste.
Si scese allora ad un compromesso, non vi era scelta.
Marco sarebbe partito immediatamente e ritornato prima di natale, questi erano gli accordi, pena  perdere il lavoro.

Osservavo Marco urlare e dimenarsi per la casa, attonita. Non sapevo come fare, cosa dire e soprattutto come prendere questa notizia.

Ma Filippo che piangeva in un angolo vicino all'albero di natale ancora incompleto, fu la molla per accendere la discussione.

《Non potevi rifiutare e basta? Non mi pare ci sia un obbligo tassativo! 》ero furiosa.

Marco smise di camminare per il salotto e mi guardò, attonito.

《Secondo te, se avessi avuto scelta non avrei preferito restare a casa con voi? 》

Ad ogni urlo da noi prodotto, Filippo piangeva più forte e Toby correva per la casa come percepisse lo stato di collera generale.
Mi si distrusse il cuore nel vedere mio figlio che si tappava le orecchie seduto a terra.
Spinsi fuori dalla porta di casa Marco per parlare e il freddo ci tagliò le ossa come un coltellino svizzero.
Solo allora intervenni.

《La tua famiglia è più cara rispetto ad un progetto di lavoro! Lo so quanto per te è importante, ma bisogna fare delle rinunce quando si ama qualcuno!》

Non mi fece nemmeno finire la frase. In un battito di ciglia sfoderò la sua più grande cattiveria, gliela lessi negli occhi.

Quella che covava da oltre un mese e che respingeva con grandi sorrisi e notti di fuoco.

O almeno io lo credevo.
Ma più che di fuoco, penso siano state solo di fumo.

Rincarai, ero a pezzi. Non avevo più nulla da perdere.

《Vedo come stai facendo rinunce!
Ti ho detto mille volte che volevo che Filippo si godesse la sua infanzia più possibile e tu che hai fatto? Lo vuoi lasciare per le feste! 》

Ero ormai pronta al peggio.

Tu, che coraggio!
Tu hai accettato quel posto per quel lavoro all'Hotel, lo hai inserito a novembre all'asilo contro la mia volontà! Non sei nella posizione!》

Sconvolta.
Amareggiata.
Delusa.

Lo osservai sdegnata. Mai pensavo arrivasse a questo.

Ma in fondo però, io non stavo rinunciando al Natale con lui e con Filippo, non mi poteva dire certe cose. Non le meritavo.
Io non stavo privando niente a nessuno.

Restammo a fissarci come due cani rabbiosi finché i miei occhi si riempiono di lacrime e rientrai in casa.

Non tentò di fermarmi, anzi lo sentii mentre chiaramente mi mandava a quel paese.
Mi accoccolai vicino a Filippo che aveva smesso di piangere e tentai di spiegargli che papà sarebbe tornato in tempo.
Sentii il rumore di un auto partire e sparire nella nebbia.

Marco era andato via, forse come me aveva bisogno di riflettere sulla discussione appena accaduta. Avevamo sempre discusso, ma questa le aveva superate tutte.
La cattiveria nei nostri occhi era reale e ci aveva fatto paura.

Decisi di accettare la cosa, non c'era altra scelta. Marco sarebbe partito da lì ad un paio di giorni e sarebbe tornato la vigilia di natale.
Altri dieci giorni senza di lui e poi chissà quante altre volte la nostra apparente quiete famigliare sarebbe stata distrutta.

Prima di partire lo aiutai a caricare l'auto, ma questa volta a differenza della precedente, non rimasi nel vialetto per salutarlo.

Lo osservai ripartire come la volta precedente con la consapevolezza che il nostro rapporto si era sfaldato ancora, che le nostre vite erano destinate a dividersi nuovamente e che anche se apparentemente c'è ne sentivamo offesi, forse era la cosa migliore per entrambi.

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