Capitolo 19: Fiori di marzo

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3 mesi...

Erano passati 3 mesi da quel Natale terribile.

La mia vita da allora era cambiata, stavolta del tutto.

Nessuna più certezza

Nessuna stabilità, tanto emotiva quanto economica.

Restammo dai miei circa un paio di settimane, lasciando passare tristemente il capodanno.
Quella sera non si andò da nessuna parte a festeggiare l'arrivo del nuovo anno, restammo in casa a guardare un po' di TV fino a che ci addormentammo tutti sul grande divano dei miei genitori.

Marco mi telefonava almeno due volte al giorno per sapere come stava il bambino,come stava vivendo la separazione.
Lo informavo tutto sommato volentieri perché mi dispiaceva che fosse lontano da Filippo, ma non avevo avuto altra scelta.

La aveva voluta lui questa situazione e questa vita, si sarebbe dovuto adattare a me, e non più il contrario.

La nostra casa, dopo poche settimane, era già in vendita. Ci passavo davanti ogni giorno e ogni giorno mi procurava un gran tuffo al cuore leggere il cartello appeso in entrata.
Mi seguiva l'agenzia immobiliare di un amico di mio padre che, senza mezzi termini, mi promise che in poco tempo avremmo venduto la casa.
Solo così avrei saldato il mutuo e avremmo potuto ricominciare una vita nuova liberi dagli oneri bancari.

Nel frattempo, Marco aveva perso il lavoro a Londra.
Non che me ne importasse a dire il vero, ma dopo che era tornato a casa in fretta per Santo Stefano, evidentemente la O'Brian si era sentita molto offesa e aveva fatto in modo di tagliarlo fuori dall'affare.
Nel frattempo, Marco era stato sostituito da un collega di lavoro, molto meno sveglio e promettente, di cui certamente la O'Brian non si sarebbe invaghita.

Era un vero cesso

Filippo usciva spesso con il padre la sera, dopo il lavoro.
Lo portava al cinema o a mangiare al fast food e lo riportava a casa presto per non farlo stancare troppo.
L'idea di non farlo andare all'asilo era ormai morta e sepolta, tant'è che Filippo adorava andare a scuola e per permettere a me di non correre dopo il lavoro, ci restava fino oltre alle diciotto.

Non so effettivamente dove vivesse Marco, dopo che abbandonammo la nostra casa.
Quando io e l'agente immobiliare andammo a casa mia per scattare qualche foto per l'annuncio di vendita, Marco aveva già portato via gran parte delle sue cose, compreso il mio regalo di Natale. Il ritratto di Filippo per lui.
Anche io piano piano raccolsi le cose più importanti e le appoggiai momentaneamente a casa dei miei genitori.

Dopo qualche settimana di ricerche, trovai un appartamento. Era più vicino all'Hotel, anche se dovevo percorrere più chilometri per andare in città e per portare a scuola Filippo.
Il giorno che lo andai a vedere per la prima volta, mi sentii male.

Era un po' squallido e arredato molto male. Le pareti erano tutte gialle, ma un giallo quasi stomachevole, stantio.
C'era tutto intorno una gran puzza di muffa e di chiuso, talmente tanto che mi pizzicò il naso.
Le stanze da letto erano piccole e la cucina un tutt'uno con il salotto, dove vi era solo un vecchio sofà rosso e una poltrona abbinata.
Non c'erano elettrodomestici, né frigo né lavatrice, non c'era nemmeno un attacco per la rete internet, indispensabile per il mio lavoro.

Filippo invece lo trovò accogliente e, se scelsi quell'appartamento, fu solo perché lui era felice di essere lì.
Gli piaceva il parco giochi giù in giardino in comunione con il vicinato.  Dopo averlo ascoltato argomentare perché gli piacesse tanto quell'altalena, accettai e firmai il contratto d'affitto.

Era anche l'appartamento più a buon mercato che avessimo visto sin ora, quindi l'unico vero affare che ci era stato proposto.

La sera stessa lo comunicai ai miei genitori che,tutto sommato, furono anche dispiaciuti che già andassimo via.
Si stavano abituando bene all'allegria contagiosa di un bambino in casa e iniziavano a rispettare di più anche la mia scelta di volermi separare il prima possibile.
Non sarei mai potuta restare con Marco.
Un po' ancora mi mancava e mi sentivo persa senza di lui per casa, ma mi volevo troppo bene per provare anche solo a perdonarlo.

Non mi sarei più fidata di lui e saremmo finiti per discutere di continuo fino a che, stremati, avremmo comunque deciso per la separazione.
L'avvocato già a gennaio aveva avviato le pratiche e in qualche mese avremmo ufficializzato legalmente la separazione consensuale.

Era doloroso, sopratutto per Filippo, ma un giorno lo avrebbe capito.

Ci trasferimmo nel piccolo appartamento che ormai gennaio giungeva al termine. Toby non era molto felice di rinunciare al suo bel giardino ma dopo qualche giorno, si abituò alla novità.
Cambiammo molte cose nell'appartamento: mia madre e mio padre ci regalarono gli elettrodomestici che ci mancavano, io e Fil scegliemmo una nuova TV e qualche quadro da mettere alle pareti.
La cucina che comunque era spaziosa, fu riempita di stoviglie nuove e un nuovo tavolo, più piccolo, ma meno usurato di quello che era del vecchio affittuario.
La stanza di Fil venne ritinteggiata di blu e sostituimmo il letto logoro che vi era prima, con un bel letto a castello, semmai avesse voluto invitare degli amici.

Non si poteva dire che non avessimo speso una piccola fortuna per sistemare a misura la nuova casa.
Marco, volente o nolente, era venuto a vedere la casa, in virtù del fatto che volesse sapere dove suo figlio sarebbe stato negli anni in avvenire.

Si congratulò con me per aver rimesso tutto a nuovo e aver dato nuova luce alla casa, poi in un momento di debolezza, scoppiò in lacrime, ripetendomi che era stato un cretino e che mi amava e che avrebbe fatto di tutto per tornare con me, che finché avesse avuto fiato, non avrebbe perso la speranza.

Quanto fiato sprecato mio "dolce amore pentito".

Anche se di dolce e di amore c'era davvero ben poco, ormai.

Sperai invece, che non passasse giorno senza che lui non si sentisse pentito della propria imprudenza e del dolore che ci aveva causato.

Mi salvò da quella scena pietosa l'entrata nella stanza di Fil, con la  pretesa che il padre lo portasse al parco sotto casa insieme a Toby.

La mia salvezza, il mio ometto.

Marco accettò senza mai distogliere lo sguardo da me e appena richiuse la porta dietro di sé, io scoppiai in un pianto nervoso.
Se avessi potuto cancellarlo per sempre lo avrei fatto, ma con un figlio in comune, non me lo sarei mai potuto permettere.
Dovevo imparare a mettere le esigenze di qualcun altro in capo alle mie.

________________________

Per qualche tempo la vita non fu per nulla semplice. Fil iniziò a diventare irrequieto e manesco, soprattutto a scuola.
Un'amica di mia madre mi consigliò una psicologa infantile molto valida con la quale Filippo avrebbe parlato e sfogato le sue ansie post separazione.

" farebbe bene anche a te parlare con qualcuno.... Sai non tutte viviamo allo stesso modo un distacco"

Mi disse la donna, quando la ringraziai congedandomi il prima possibile da quel momento imbarazzante

Parlava quella pluri divorziata e spocchiosa dell'amica di mia madre, quella che aveva rovinato tre uomini solo per il gusto di avere qualche soldo per vacanze costose e comprare beni di lusso.
Non era certo nella posizione di dare buoni consigli.

Il mio lavoro mi regalava un po' di sollievo da tutto quello schifo che stavo provando in quel periodo.

Andare all'Hotel era un toccasana.
Non mi conosceva nessuno, nessuno si faceva i miei interessi e mi chiedeva qualcosa su Marco e sulla separazione.
Fausti era stato molto comprensivo.
Mi vide così a terra da permettermi anche di stare a casa qualche giorno, per riprendermi.
Io non accettai, stavo bene solo distraendomi da tutto e tutti, e il lavoro si era qualificato come migliore valvola di sfogo per me.

Ormai marzo era alle porte.
I lavori erano a buon punto e si iniziava già a respirare l'aria dell'inaugurazione.
Fausti aveva inserito anche Marika nello staff. Neanche a dirlo, era felicissima di lavorare lì.
Avrebbe assunto il ruolo di capo sala ed era per lei una delle più grandi soddisfazioni.
Dopo che aveva rotto con Luca e stava passando un periodo parecchio difficile, il lavoro era per lei, come per me, unica fonte di gratificazione.

Eh si, perché anche lei si era lasciata.

Dopo il natale trascorso a casa mia, anche per capodanno, Luca la lasciò sola.
Così, questa volta stanca di essere sempre tagliata fuori dalla vita del compagno, aveva deciso di lasciarlo definitivamente.

Luca non l'aveva presa poi tanto male e, come volevasi dimostrare, dopo poco tempo Marika lo incontrò per le vie del centro con una certa Barbara, una bionda finta con il culo grosso e flaccido e l'occhio strabico.
La sera stessa in cui Marika e Luca si lasciarono, lei passò nel mio nuovo appartamento e ci scolammo una bottiglia di gin. Ubriache, ma leggere, ci addormentammo a tarda notte una sul divano e l'altra in poltrona, solo dopo aver riso delle nostre relazioni assurde come due pazze da ricovero.

L'odore di primavera alle porte portava con sé nuova voglia di vivere e rinascere. Si buttavano in fondo all'armadio i cappotti pesanti e i maglioni di lana per sostituirli con capi leggeri e colorati.
La fragranza dell'erba fresca e delle piante fiorite spingeva a passare all'aperto più tempo possibile.

All'Hotel erano già arrivati i cavalli e non c'era nulla di più rilassante che restare qualche minuto in compagnia dell'allevatore.
Osservarli nel recinto, scorrazzare, era davvero piacevole.

La primavera portava con sé anche la voglia di chiarire vecchi rancori.

In una giornata di sole un po' troppo calda per essere solo in marzo, Edoardo venne in cantiere.
Era un po' che non si faceva vedere ed io nel periodo della separazione, avevo del tutto smesso di pensare a lui.
Lo intravidi, mentre stava ad osservare i cavalli al bordo delle stalle con l'aria di qualcuno che volutamente si stava isolando dal resto del mondo.

Appena gli fui abbastanza vicina, si voltò nella mia direzione e mi fissò sorpreso.

《Ciao. Anche tu qui.》

Lo salutai a mia volta con un cenno.

《Sono belli, vero?》

Intervenni io, per ovviare a quel silenzio imbarazzante. Edoardo era leggermente diverso dall'ultima volta in cui lo avevo visto. Aveva cambiato taglio di capelli ed era più abbronzato.

《Sì, sono davvero bellissimi. Lavori ancora qui allora. Mio padre mi aveva detto che te ne eri voluta andare...》

Sapevo che Fausti prima di convincermi a restare ingolosendomi con la proposta di lavoro, aveva parlato con Berghi del fatto che me ne volessi andare, ma non credevo lo sapesse anche il figlio.

《Sì, a dire il vero, me ne volevo andare, ma poi sono rimasta. Questo lavoro mi serve, ora.》

Specificai molto bene la parola "ora".

《Perché? Prima invece non ti serviva così tanto?》

Alla fine anche se non avevo alcuna confidenza con Edoardo, gli raccontai la verità.

Mentre gli spiegavo a grandi linee che mi ero da poco separata e che mi ero trasferita per vendere la mia casa, Edoardo girò il busto verso di me e mi diede più attenzione.
Aveva un aria dispiaciuta e si vedeva chiaramente, anche se non era in grado di esplicare una sola parola.
Mi chiese solo come stava Filippo e dove eravamo andati a stare.

Gli parlai della nuova casa e del fatto che mi costasse davvero molto vivere lì, ma era un sacrificio obbligato poiché non avevo accettato di vivere con i miei genitori.
Avevo alle spalle troppi anni di indipendenza per accettare di nuovo le regole di mia madre.

《Mi spiace molto per te. Non deve essere una cosa facile.》

No
Non lo era affatto, ma ormai avevo imparato a conviverci. 

《Senti io stasera sono solo, ho un idea per svagarci un po' e mettere una pietra sopra a qualche inconveniente successo tra noi.
Ti va se chiediamo allo stalliere di farci portare fuori un paio di cavalli e facciamo un piccolo giro qui attorno insieme a Filippo verso sera?
Cosi potrebbe distrarsi un po'.》

Era un'ottima idea e Filippo avrebbe accettato di sicuro. Adorava ogni tipo di animale, specie i cavalli, che fin da quando era piccolo avrebbe voluto cavalcare.
Un po' come me.

Non era mio figlio per niente. Per fortuna aveva ereditato da me qualcosa di buono, come ad esempio l'amore per la natura in ogni sua forma.

《D'accordo. Sono certa che gli piacerà molto la cosa.
Ti chiamo più tardi allora.》

Lo salutai e tornai in cantiere con le mani sudate, il cuore sorridente e, finalmente, una buona notizia da portare a casa insieme a me.

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