Capitolo 42: Una serie sfortunata di eventi

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《Stasera vado al circoooo!》

Filippo urlava dalla sua stanza, mentre preparava tutto il necessario per passare il week end dal padre.

Lui e il suo 'entusiasmo contagioso.
Il mio bambino già si stava facendo grande ed io a malapena riuscivo a stargli dietro. Cambiava ogni giorno di più.

Entrò nella mia stanza sorridendo, mostrando con orgoglio la sua finestra tra i denti.
Solo pochi giorni prima aveva perso il suo primo dentino e per qualche ora l'aveva mostrato orgoglioso a tutti quelli che incontrava, a mia madre, a scuola, ai compagni.
Era il primo della sua età ad averlo perso, si sentiva privilegiato. Il più grande di tutti.

Era persino riuscito a conquistare i suoi primi cinque sudatissimi euro, poiché aveva sapientemente lasciato il dente sotto al cuscino e quella notte era passata la fatina.
Un altro motivo di orgoglio, di sorrisi sinceri.

Marco puntualissimo, come al solito, arrivò da noi.
Solo dopo avermi comunicato che avrebbe riaccompagnato Filippo l'indomani a tarda sera, mi rivelò che aveva intenzione di andare a convivere con la sua nuova ragazza.

Ero felice per lui dal momento che non provavo più nulla, ma mi sembrò di non vedere nei suoi occhi lo stesso mio entusiasmo.
In fin dei conti eravamo già separati da quasi un anno, mi sembrò logico che volesse andare avanti con la propria vita, così come avevo fatto io.

Forse era anche giunto il momento che Filippo conoscesse questa ragazza, che a parere di Marco, era una con la testa davvero sulle spalle, una lavoratrice e una donna seria.
Se la loro relazione stava diventando così importante per condurli a vivere insieme, non vedevo impedimenti al fatto che nostro figlio avesse dei rapporti con questa ragazza.
Anche io se avessi avuto un compagno stabile, lo avrei di certo presentato al bambino. Con le dovute accortezze, ma lo avrei fatto.

Così, alla fine, fui io a proporre a Marco di invitare anche la sua ragazza al circo e di presentarla a Filippo.
Inizialmente come fosse solo un'amica del papà, per aiutarlo con calma all'idea di questa nuova figura nella sua vita.
Marco mi sembrò felice di questa concessione, così accettò la mia clausola.
Dovevamo andare per gradi per non ferire il bambino.

Marco mi disse anche che dopo mesi e mesi di silenzi l'aveva ricontattato la O'Brian.
Si era scusata per tutto il casino che aveva combinato e per il fatto che anche per causa sua Marco avesse  perso il lavoro.

Un po' tardi, non le sembrava?

L'avevo dimenticata da un po', quella vipera milionaria.
Il suo ricordo faceva un male cane, così  ero riuscita ad impormi di fare finta che non fosse mai esistita.
Le imputavo la fine del mio matrimonio, ma in realtà sapevo benissimo che la colpa non era la sua.
Lei semplicemente aveva attirato a sè un uomo già distratto, che non provava più nulla per la moglie e che, probabilmente, alla fine sarebbe comunque finito tra le braccia di un altra donna.
Era una cosa pressoché inevitabile.

Filippo saltellava nell'atrio con Marco alle spalle.
Non vedeva l'ora di andare a vedere gli animali, i giocolieri e i trapezisti.
Per giorni praticamente non parlò di altro.

Nel pomeriggio iniziai a pensare davvero che avessi un appuntamento.
Certo, una pizza con un nuovo amico, ma pur sempre un appuntamento.
Scelsi un paio di jeans comodi e una blusa morbida, mi infilai le mie adorate tennis e fui pronta.
Mi truccai a malapena e raccolsi i capelli.

Non era affatto un appuntamento romantico, mi promisi di non dare strane impressioni al mio accompagnatore.

Christian arrivò puntuale a casa mia alle sette, così come eravamo in accordi.
Mi scrisse un messaggio per invitarmi a scendere, con calma.

Tipico di un fisioterapista.

Scesi le scale con un po' di inspiegabile ansia. Christian mi piaceva, ma non era quel tipo di attrazione che aveva legata per mesi ad Edoardo.
Era simpatico, a modo suo, si era aperto molto nelle ultime settimane, era un uomo affascinante.
Eppure io non avevo voglia di innamorarmi ancora della persona sbagliata.
Anche se non lo volevo ammettere a me stessa, Edoardo era ancora un chiodo fisso nella mia testa, un tarlo nel mio cuore che non se ne voleva andare.

Salii in macchina un po' trafelata.

《Non sei caduta dalle scale vero? No, perché sennò starei facendo molto lavoro per niente.》

Chris rise della sua stessa battuta e mi rilassai.
La serata sembrava essere cominciata bene.

Arrivati al ristorante, però qualcosa andò storto.
Mi accorsi di aver scordato la borsa a casa, io che praticamente non la dimenticavo mai.
La borsa era come un appendice del mio braccio.

Subito mi sentii a disagio.
Chris se ne accorse.

《Cos'hai? Perché quella faccia? Non dirmi che non ti piace il posto.》

Stavo diventando paonazza.

Il posto non centra. Ho scordato la borsa a casa. E dentro, ovviamente, c'è il portafoglio.》

Gli dissi, abbassando lo sguardo per la vergogna.

《Eh beh, qual è il problema? Avrei pagato comunque io, ricordi? Sono io che ti ho invitata!》

Gli sorrisi, sperando la serata potesse procedere meglio di come era iniziata.

Ci accomodammo al nostro tavolo, aspettando con pazienza la cameriera che venisse a portarci i menù.
Chris mi disse che potevo ordinare ciò che volevo, ma la pizza mi andò benissimo.

《Allora, come va? I dolori sono ancora forti?》

Mi chiese, sorseggiando piano la sua birra rossa.
Era affascinante quella sera, aveva indossato una camicia blu scuro e un paio di jeans un po' attillati che mettevano in risalto il suo fondoschiena tonico.
Era molto più in forma di Edoardo, probabilmente doveva fare della palestra nel tempo libero.

《I dolori si sopportano. Inizio a sentirmi molto meglio.》

Chris mi passò un menù, distrattamente. Ribaltò un po' di birra sulla mia blusa.
Di scatto si alzò in piedi per aiutarmi a pulire.

《Sono un disastro, scusami!》

M passò il tovagliolo per permettermi di asciugarmi.

《Tranquillo, non importa.
Al limite penseranno che sono un alcolista che puzza di birra!》

Ci ritrovammo a ridere insieme dell'accaduto, tornando alle nostre ordinazioni.
La cameriera arrivò di corsa e dopo aver preso la comanda, ci lasciò qualche stuzzichino.

Parlammo molto prima che le pizze giungessero al tavolo.
Christian era uno che amava viaggiare e praticava gli sport estremi. Faceva parapendio da qualche anno e adorava lo snowboard.

Tutto il mio opposto, insomma.
Il mio sport preferito era lo zapping sul divano.
Scelsi di non dirglielo, per non fare brutta figura.

Mi raccontò di una volta in cui rischiò di perdere la vita, durante una discesa.
Lo ascoltavo come rapita, aveva un modo di parlare che sembrava sempre come se stesse raccontando una favola.
Metteva enfasi in quello che diceva, sapeva fare battute ed era autoironico, una cosa che mi era sempre piaciuta molto nelle persone.

Io invece, non avevo storie forti da raccontare, se non del mio incidente di cui comunque non ricordavo molto.
Le uniche cose che ancora tormentavano il mio sonno, erano il ricordo del dolore in tutto il corpo e il sangue. E il boato, l'ultimo suono che avevo udito con lo schianto.

Non avevo mai visto così tanto sangue, non potevo nemmeno credere che si potesse perderne tanto.
Tutte quelle ferite mi avevo lasciato un gran numero di cicatrici di cui non andavo affatto fiera.

Mangiammo le nostre pizze interrompendoci di tanto in tanto per chiacchierare, così la serata ci sembrò passare davvero velocemente.

《Vuoi il dolce? Io prendo una meringa.》

Non avevo molta voglia di mangiare ancora, mi sentivo un po' strana.
Come se tutto d'un colpo, il mio stomaco si fosse chiuso.
Per fortuna avevo il cellulare in tasca, così mentre Christian ordinò il suo dessert alla cameriera, io controllai il calendario.

Ops.
Non è che...
Merda!

《Mi puoi scusare un attimo? Vado al bagno.》

Christian mi chiese un po' preoccupato se stessi male. In realtà no, ma avevo necessità di correre con urgenza.

Entrai nella piccola toilette della pizzeria incrociando le dita.
Non potevo davvero essere così sfortunata, porca miseria.
Mi chiusi la porta dietro e sbottonai i jeans, in preda all'ansia.

Ed eccole. Le rosse.
Il ciclo era bello che arrivato, puntuale come un orologio svizzero.

Gli assorbenti.
Nella borsa.
A casa.

Fui presa dal panico più totale.
Dopo la mezza birra ribaltata sulla blusa, mi mancavano solo i jeans sporchi di sangue e avrei potuto avere un nuovo outfit variopinto.

Una signora poco più vecchia di mia madre entrò nel bagno poco dopo di me, nel bel mezzo della mia crisi isterica.
Probabilmente Christian già si stava preoccupando di là, del fatto che ci stessi mettendo così tanto a tornare al tavolo.

Alla fine presi coraggio e mi preparai alla figura barbina che stavo per fare.
Con i pantaloni ancora sbottonati, bussai alla porta a fianco, dove la signora stava giustamente facendo i propri comodi.

《Mi scusi... Ho un problema. So che può sembrare un po' impertinente, ma non è che per caso ha un assorbente?》

Solidarietà femminile, ti prego.

La donna a fianco, rovistò probabilmente nella borsetta prima di rispondere.

《Cara, io ho quasi sessant'anni. Il meglio che posso fare è darti un salva slip, ma è piccolo. 》

Doppia merda.

Non avevo altra scelta.
Accettai il salva slip, ringraziando di cuore quella sconosciuta gentile.
Mi sentii fiera che non mi avesse mandato a quel paese.

Mi ricomposi e tornai al tavolo, ma ben consapevole che un salva slip non mi avrebbe permesso di rimanere ancora a lungo al ristorante.

《Che hai? Sei bianca come un lenzuolo!》

Avevo già forti dolori al basso ventre.

《Un piccolo problema... femminile!》

Chris si mise a ridere e mi guardò un po' storto.

《Beh e allora? Qual'è il problema! Mica volevo portarti a letto!》

Per poco non mi affogai con l'ultimo sorso di birra.

《No, ma non è per quello. È che gli assorbenti sono nella borsa a casa. E...》

Gli raccontai della vicenda della toilette, della signora di mezza età che mi aveva dato da intendere che era in menopausa, del fatto che indossavo un salva slip che le avevo scroccato e che molto probabilmente mi sarei alzata da tavola con i jeans macchiati.

Vedevo che Christian si stava impegnando per non ridere, ma alla fine non ci riuscì e scoppiò in una tale risata, talmente forte che la famiglia a fianco a noi si girò per guardarlo.

《Non c'è da ridere. Forse è meglio se mi accompagni a casa!》

Lo canzonai io, in preda alla vergogna.

Christian pagò come promesso la nostra cena ( anche se non vi era alternativa) e ci dirigemmo alla sua auto.

《Spero di non sporcarti il sedile, ci mancherebbe solo questa.》

Ero in preda al panico, come primo appuntamento era stato un casino.

《Non ti preoccupare, i sedili sono lavabili. Mi dispiace solo che sia stata una serata un po'... Strana. Ma piacevole, comunque.》

Probabilmente stava già pensando al fatto che non ci saremmo visti più e mi dispiacque, tutto sommato.

Arrivammo sotto casa mia in breve tempo.
Il viaggio di ritorno lo avevamo fatto scambiandoci poche parole, più che altro commentando il fatto che la cameriera, colei che ci aveva servito per tutta la durata della cena, avesse sbavato su Christian senza nascondersi.
Ci aveva salutati alla cassa ammiccando come un'adolescente. Il mio accompagnatore si era sentito parecchio imbarazzato.

Scese dall'auto e mi apri lo sportello, aiutandomi a scendere.
Ancora qualche volta faticavo a caricare il peso sulle gambe.

《A parte tutto, sono stato bene con te Mary, stasera. 》

Anche io ero stata bene, togliendo qualche piccolo inconveniente.

《Ci vediamo nel tuo ambulatorio la prossima settimana, allora. Mercoledì giusto?》

Christian mi fece un cenno con il capo.

Stavo già per aprire il portone, quando mi afferrò delicatamente il polso, per fermarmi.
Mi voltai sorpresa per via di quel contatto, lo osservai mentre mi guardava dritto negli occhi.

Si avvicinò al mio viso, con una mano mi scostò i capelli dietro l'orecchio.
Mi baciò.

In un primo momento rimasi un po' sconvolta, poi ricambiai il suo bacio.
Possedeva tali labbra morbide, calde. Sapevano di buono, di fresco.
Fu un bacio dolce, il saluto della buonanotte per eccellenza.
Quando si spostò da me, mantenne comunque la sua mano tra i miei capelli.

《Te l'ho detto Marie Anne. Non è stata poi così una brutta serata.》

Capitolo un po' ironico.
E un po' autobiografico ;) spero vi sia piaciuto.
Con affetto.
Ary

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