Capitolo 7

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Presi finalmente il libro tra le mie mani e lo soppesai con delicatezza. Era ancora più pesante di quanto sembrasse, e l'odore di carta vecchia impregnava ogni singola pagina, compresa la copertina.

Quella mattina mi ero svegliata con un po' di difficoltà, ma l'ansia derivata dalla sera precedente mi aveva subito ridestata. Dante si era comportato normalmente – per quanto normale fosse il suo atteggiamento nei miei confronti – e non aveva proferito parola riguardo la nostra conversazione. Da una parte ne ero stata grata perché non volevo continuare quella discussione. Dall'altra, invece, mi sentivo tremendamente idiota per la reazione che avevo avuto, e avrei voluto chiedere scusa. Ma le parole non erano uscite, come se avessi avuto la bocca cucita da tanti piccoli fili fatti di orgoglio.

«Aprilo» ordinò l'Elementalista, sporgendosi leggermente sul tavolino verso il volume. La sua vicinanza portò con sé il suo profumo che mi fece girare la testa. Mi volsi verso l'aria fresca della finestra al nostro fianco per obbligarmi a schiarirmi le idee. Attraverso le tende chiare potevo scorgere un paesaggio brullo scottato da un sole fin troppo ardente. Faceva caldo, un caldo nettamente estivo rispetto al fresco primaverile a cui ero abituata prima della partenza.

Eravamo arrivati in biblioteca dopo una colazione silenziosa, e quella era la prima parola che Dante mi aveva rivolto da un bel po' di tempo. Feci come aveva detto e cercai di concentrarmi sulle parole trascritte da un inchiostro stinto, ma le trovai così intaccate dal tempo da risultare illeggibili. Si poteva scorgere qualche mezza frase di poco senso qua e là, ma non vi erano abbastanza elementi per ricostruire un'argomentazione.

Dante sospirò, forse per la mia lentezza nell'esaminare le righe, poi scorse le pagine una alla volta per trovare qualsiasi punto leggibile per più di una riga. Saltammo interamente il primo capitolo prima di trovare, a metà del secondo, qualche frase leggibile.

Come ho già premesso nella mia breve introduzione, si scatena quando il sangue di un Erede viene a contatto con quello di un changer o di un altro come lui. Personalmente non ho mai avuto l'onore di assistere al blando legame tra due successori dell'Originale, tuttavia ho vissuto e raccolto diverse testimonianze che mi permettono quest'oggi di affermare con sicurezza ciò che sto per riportare.

Il paragrafo iniziava in modo confuso, come se si riferisse a qualcosa detto poco prima, ma più andavo avanti e più la situazione si faceva chiara: il libro non era altro che una specie di diario o raccolta di pensieri dell'autore. Un autore che doveva aver vissuto la situazione, o come minimo essersi informato su di essa.

Il libro non menzionava gli origin, ma i "successori dell'Originale" dovevano per forza essere quelli come me. Mi feci più concentrata, decisa a carpire ogni informazione possibile riguardo me e il nostro legame. Il paragrafo successivo era rovinato, ma subito dopo ve n'era uno integro, che lessi ad alta voce.

Il legame tra due Eredi è più lieve e meno potente rispetto a quello con un pieno portatore di magia, e sono quasi certo che non possa avanzare di stadio per via della sua precarietà che, tuttavia, è di gran lunga più stabile di quella proveniente da un legame momentaneo con un umano.

Staccai momentaneamente gli occhi dalla lettura per dare un'occhiata a Dante. Sembrava concentrato, tanto che neanche si accorse della mia breve interruzione, quindi continuai, in preda alla curiosità.

Non importa se accade per caso o come un'azione precedentemente ponderata: se tra i due che mettono a contatto il proprio sangue con quello dell'altro vi è un legame a livello emozionale, o è destinato ad essercene uno, il legame si espande fino a raggiungere un livello magico, che unisce le due parti in un'unione.

Mi bloccai immediatamente, e con me anche Dante: vidi il suo sguardo farsi vacuo, perso nei meandri dei ricordi, così come stava accadendo a me.

Un'arma, che mi squarciava la spalla e inibiva la capacità di respirare; la paura che annebbiava i miei pensieri; il buio che mi impediva di capire da dove sarebbe arrivato il prossimo attacco. Poi, alla fine, la mia ferita che veniva guarita dal sangue di Dante, caldo e rassicurante, com'era stato quel processo di guarigione che mi aveva imposto di chiudere gli occhi e bearmi della sensazione.

«Quella volta in cui ti ho guarito la spalla...» mormorò Dante, guardandomi intensamente. Sembrava essersi scordato del modo in cui mi aveva ignorata e trattata con sufficienza fino a quel momento.

Le sue parole scatenarono un'eccitazione nel mio petto che per un momento mi impedì di respirare. «È da lì che è iniziato tutto» conclusi al suo posto, le immagini di quella sera di mesi fa che ancora mi balenavano vivide davanti agli occhi, inconsistenti ma reali.

Fu Dante il primo a riprendere pieno controllo di sé, e si ricompose sulla sua sedia allontanandosi un po' da me.

«Ciò non ha senso, però. Questo fatto è accaduto quasi un mese prima che il legame iniziasse a manifestarsi. Se la teoria qui riportata fosse vera, avrebbe dovuto mostrarsi sin da subito» osservò, pensieroso.

«È vero, non possiamo negarlo» convenni. «Però qui non dice che è istantaneo.»

«Non avrebbe senso se non lo fosse.»

Da un bel po' di mesi a quella parte nulla aveva senso nella mia vita, ma quando feci per dirlo, venni interrotta.

«Qui dice qualcosa al riguardo» indicò lui, con rinnovato entusiasmo. Nemmeno si accorse di avvicinarsi nuovamente, e iniziò a leggere un piccolo paragrafo, l'unico visibile del capitolo successivo.

[...] da quel momento in poi, l'Erede rifiuterà involontariamente qualsiasi offerta di sangue a lui fatta, che non lo guarirà né intaccherà in alcun modo. Potrà comunque essere curato con la magia guaritrice, in quanto il suo corpo non rifiuterà la magia, ma solo il sangue stesso.

Dopo lo scambio sanguigno è necessario un tempo di attesa che può variare da una settimana a un mese. I fattori che accorciano o estendono questo periodo sono a me ancora ignoti, e purtroppo non ho ipotesi né sospetti da appuntare poiché le mie ricerche non hanno dato i loro frutti su questa argomentazione.

Fattore di cui sono certo è, invece, la sicurezza di instaurare l'Unione. Infatti, in qualsiasi caso io abbia osservato, essa è sopraggiunta, sostituita dalla morte quando non vi erano i requisiti base necessari per creare un legame, ma di questo parlerò più avanti.

L'ultima frase mi lasciò interdetta. Sembrava intendere che si rischiava la morte nel provare a instaurare un legame, ma lo diceva in una maniera tanto tranquilla e celata tra le righe che non ne ero convinta.

«Siamo sicuri che questo Erede di cui parla sei tu. O meglio, quelli come te.» Dante tentò di fare il punto della situazione e riordinare le idee in base alle informazioni che eravamo riusciti a raccogliere. «Il legame si è venuto a creare nel momento in cui ti ho guarita, ma perché?» continuò pensieroso. «Dopo circa un mese ha iniziato a manifestarsi, ma era certo già da prima, altrimenti saremmo... morti?»

Ci scambiammo una lunga occhiata piena di dubbi. «Già, perché, in primis, è nato questo legame se non è mai successo a nessun altro changer?»

«Forse accade con ogni origin? E solo con loro.» Dante piegò leggermente il capo di lato e la luce che filtrava dalle tende della finestra si rispecchiò nei suoi occhi di ghiaccio.

«Forse...» mi limitai a rispondere, tenendo invece per me ciò che stavo per dire, sconsideratamente.

Zero era un origin come me, ma non sembrava avere un particolare legame con qualcuno... se non con Dante. Ma ero pressoché sicura che tra loro non vi fosse stato uno scambio di sangue prima che quel legame iniziasse ad avere vita. E poi, Dante era già legato a me... non sapevo se ne avessi l'esclusiva, ma logicamente non avrebbe dovuto legarsi a qualcun altro tanto facilmente, no?

Mi feci coraggio ed esternai uno dei tanti dubbi che mi attanagliavano. Era una cosa di cui avremmo dovuto parlare prima o poi, che gli piacesse o meno. «Hai avuto uno scambio di sangue con Zero?»

La mia domanda lo irrigidì, vidi un'ombra passare sul suo sguardo e il suo viso adombrarsi. L'argomento era ancora delicato, forse non avrei dovuto nominare quell'Orion, ma nella situazione in cui eravamo non potevamo permetterci di indugiare tanto.

Il silenzio si stese su noi come una coperta, ovattando qualsiasi nostro suono per amplificare quelli dell'ambiente circostante. Quasi mi ero dimenticata di trovarmi nella biblioteca, tanto ero stata risucchiata dalle mie riflessioni.

Restammo così per un bel po', ognuno perso nei suoi pensieri. Solo quando una voce squillante ci interruppe mi resi conto di quanto tempo era passato.

Mi stiracchiai la schiena senza farmi vedere e osservai composta Molly avvicinarsi al nostro tavolo dopo averci chiamato. Si muoveva pimpante e allegra, al contrario della serietà del nostro umore.

«Chi è che ha fame? Non vi ho visti tornare e così sono venuta a recuperarvi!» ci avvertì, mielosa e morbida come solo una caramella gommosa poteva essere. Persino il suo profumo alla vaniglia emanava dolcezza da ogni angolazione, tanta da essere quasi estenuante.

«Hai ragione. Dovremmo andare» disse Dante, come se niente fosse. Era come se non gli avessi mai rivolto quella scomoda e pungente domanda a cui non avevo avuto risposta.

«Sì... ricordo una cosa del genere, anche se è tutto un po' confuso. Devo confessarvi che non ho letto il libro per intero, ma in maniera molto sbrigativa. Sapete, c'era questa mia amica che voleva assolutamente sfidarmi a una partita da ping pong e non ho potuto dirle di no. Il bello è che alla fine ho pure perso, ed è stato tutto tempo sprecato che avrei potuto... è solo che...» Molly si interruppe per mandare giù il boccone di garlic bread che aveva mantenuto tra i denti per tutta la durata del suo discorso. Bevve rapidamente un sorso di cola dal suo bicchiere e poi ricominciò a parlare. «Non conoscendo la situazione, non era facile per me capirci qualcosa, quindi non ho indagato a fondo.»

Dante le aveva appena raccontato delle nostre scoperte nella speranza di trovare in lei un valido consigliere, invece eravamo di nuovo in alto mare. Persa in quell'enigma, non riuscivo a concentrarmi sul cibo, senza contare che l'ananas sulla pizza mi disgustava parecchio, con il risultato che il mio piatto era quasi del tutto integro.

«Però ho da dirvi una cosa» esordì la ragazza dopo aver poggiato il bicchiere sul tavolo con tanta energia che da questo era fuoriuscita qualche goccia marroncina. Ci guardò entrambi con una strana emozione che le faceva luccicare gli occhi. «Se il legame non funziona proprio con chiunque ma solo con chi è destinato a unirsi all'altro, vuol dire che voi lo eravate, intendo destinati. Tipo nelle favole.» Si zittì un attimo per esternare una breve risatina. «E questo è incredibilmente emozionante, non trovate?»

Il silenzio calò su di noi, ma per fortuna venne coperto dal chiacchiericcio del locale che ancora non si era svuotato. Abbassai lo sguardo, troppo timorosa di incontrare quello di Dante, ma una nuova voce ci interruppe.

«Molly, papà ti aspetta nel suo ufficio.»

Mi girai verso destra per incontrare gli occhi scuri di Altessa, che ci aveva appena raggiunti, lasciando la porta del ristorante aperta in un segno di fretta, probabilmente.

Le parole della bambina mi catapultarono in una sorpresa improvvisa. Rimasi a fare oscillare lo sguardo tra le due australiane che avevo davanti per diversi secondi. Effettivamente erano così simili che mi chiesi come avessi fatto a non accorgermi prima che erano sorelle.

«Oh, no! Sono in ritardo per gli allenamenti. Continuate pure senza di me, ho promesso a mio padre che...»

«Su, muoviti!» insistette la bambina, interrompendola.

«D'accordo, non c'è bisogno di essere maleducate!» la rimbeccò lei.

Altessa alzò gli occhi al cielo e in quel momento parve lei la più grande tra le due. Si voltarono entrambe e fecero qualche passo, ma poi Molly si distrasse di nuovo. «Ah, e mi raccomando: riflettete su quello che vi ho detto!» disse facendo l'occhiolino, poi si voltò e sparì al di là della porta insieme alla sorella che continuava a tirarla per una manica.

Consumammo il resto del pranzo e ce ne andammo in silenzio, anche se le parole della ragazza continuavano a rimbombarmi nella mente. Aveva ragione, non potevo negarlo. Però Dante aveva affermato più volte che non desiderava questo legame, e di certo non avrei potuto obbligarlo a sottostarne. Lui era uno spirito libero, che obbediva solamente a se stesso e al suo senso del dovere, non aveva mai avuto impedimenti prima di me, non era mai stato legato a qualcuno. Lo si poteva vedere anche senza conoscerlo, persino dal suo portamento austero e indipendente, che in quei mesi non era cambiato. Lo vedevo camminare davanti a me, sicuro, e non potevo fare a meno di ammirare quello che per me era stato un mentore, un compagno e, a tratti, anche qualcosa di più. Sentivo che meritava più di quella situazione, sentivo di dovergli delle spiegazioni, ma le mie labbra continuavano a rimanere cucite.

Fortunatamente camminava abbastanza lontano da darmi il tempo di rendermi conto che si era fermato. Rimasi in piedi alle sue spalle senza chiedere spiegazioni finché non si voltò verso di me. Forse si era perso? Effettivamente non sapevo nemmeno dove stessimo andando, anche se sembrava che la strada riconducesse alla nostra stanza. Avremmo dovuto continuare a leggere, ma forse aveva bisogno di contattare di nuovo Roma.

«Perché ci siamo fermati?» chiesi, vedendo che non accennava a muoversi.

Dante fece qualche piccolo passo verso di me e si fermò così vicino che dovetti piegare il capo all'indietro per poterlo guardare in faccia. Sembrava turbato, ma non lasciava trasparire nulla attraverso il legame.

«Qualcosa non va?»

Non sopportavo il fatto di vederlo così e non poter fare nulla per farlo stare meglio, specialmente perché mi ritenevo colpevole di molti dei suoi problemi.

Lui non rispose, chiuse gli occhi e ammorbidì l'espressione mentre emetteva un lungo ma basso sospiro, come per incoraggiarmi ad avvicinarmi.

Lo feci; spinta dal desiderio del suo benessere, alzai la mano lentamente, fino a poggiarla sulla sua guancia fredda. Il mio cuore perse un battito nel momento del contatto, quasi mi ero dimenticata dell'elettricità che si scatenava tra noi.

Lui non si mosse, rimase con quell'espressione tranquilla, poggiando il viso contro la mia mano come se si beasse del mio tocco almeno quanto io lo facevo con il suo.

Mi feci coraggio e interruppi quel momento di calma, senza però allontanare le mie dita dalla sua guancia. «Puoi parlarmene, se vuoi.» Il mio sussurro si sentì appena tra i muri stretti di quel corridoio, ma lui aprì gli occhi per fissarli nei miei.

«È tutto a posto» si limitò a dire con una punta di malinconia nello sguardo.

Quella frase non era vera, sentivo che con essa mi stava mentendo, stava innalzando l'ennesima barriera tra di noi per tenermi lontana. Non volevo, non desideravo altro che stargli vicina e continuare quel contatto tra noi, sempre.

«Dante.» L'insicurezza era evidente nella mia voce, ma dovevo metterla da parte se non volevo permettere all'orgoglio di rovinare tutto per la seconda volta. «Voglio chiederti scusa. Sono stata davvero un'idiota e me ne sono resa conto subito, solo che...» Il ragazzo portò una mano sulla mia e la strinse, distraendomi dal mio discorso. La voce mi morì in bocca mentre mi perdevo nell'unico freddo che avessi mai apprezzato.

«Continua» ordinò velocemente, quasi fosse avido delle mie parole. Il mio cuore perse un battito nel rendermi conto che per una volta mi avrebbe ascoltata, che avrei avuto finalmente la mia opportunità per tirare giù i muri che ci dividevano.

Tentai di indirizzare la conversazione a ciò che era avvenuto la sera prima, ma mi resi conto che non era quello il problema di fondo. C'era qualcosa di più sostanziale, qualcosa che aveva segnato l'inizio del nostro allontanamento. Alzai il mento verso l'altro e strinsi i pugni, pronta a parlare, finalmente. «Ti ho creduto morto, Dante. Non ti ho più percepito, e perdendo la cognizione di te non avevo più il controllo di me. Ho passato le mie giornate in una confusione tale che oggi non ricordo precisamente cosa sia successo in quei giorni... settimane... non ho nemmeno idea di quanto tempo fosse.

«In tutto questo, a sorreggermi quando cadevo e a tentare di mandare avanti le mie giornate, c'era Darrell.» Lo vidi fremere appena quando pronunciai il nome del Mentalista, e capii di aver centrato il punto. «In mezzo alla confusione, lui era l'unico punto fisso che non se ne è mai andato, ha lottato per riavermi indietro e non si è lamentato quando mi ha vista tornare completamente diversa da prima. È rimasto in silenzio a osservarmi e vegliarmi da lontano, anche quando ho iniziato a fingere che andasse tutto bene. Poi, improvvisamente, è crollato, e come lui aveva fatto con me, io mi sono rimboccata le maniche e l'ho aiutato.»

Vidi Dante sorpreso dalle mie parole e realizzai che lui non sapeva che io ero a conoscenza del passato di Darrell. La preoccupazione, però, era gelosamente nascosta sotto a tutto il resto: si chiedeva dove stessi per andare a parare.

«Quello che sto cercando di dirti è che in un periodo dove davvero ho pensato di morire, io e lui ci siamo fatti forza a vicenda, e inevitabilmente ci siamo avvicinati...»

«Perché mi stai dicendo tutto ciò?» mi interruppe, le spalle che si erano leggermente irrigidite. Strinse appena di più la mia mano per portarla via dal suo viso e poi abbandonarla a mezz'aria, lasciandola cadere lontana dal suo corpo freddo.

Mantenni calma la mia voce, anche se in me si agitava una tempesta. «Perché sento di doverti delle scuse.»

Lo vidi aprire bocca per parlare, ma non lopermisi. Non volevo ascoltare l'ennesima risposta disinteressata. «Non miimporta se tu non le accetterai, non mi importa se dirai che non ti devoproprio nulla. Sento di doverlo fare, di volerlofare, perché tu per me sei più importante di qualsiasi altra cosa, ora.»    

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