Capitolo 9

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Mi svegliai riposata, ma Darrell non c'era più. Il sole entrava dalla finestra più debole di prima, segno che non avevo dormito tanto ma mi ero persa il pranzo. Fantastico, non mi sarei dovuta obbligare a mangiare, per questa volta.

Improvvisamente mi ricordai dell'appuntamento che Ace aveva con i Mentalisti e mi alzai di scatto, pronta a cercare Darrell.

Uscita dalla camera, però, mi assalì una sensazione di solitudine con la quale non avevo fatto i conti. Ero tornata immersa nei ricordi e nel dolore, ero di nuovo nella casa che avevo condiviso con la mia metà che ora non c'era più. Quel legame mi stava pian piano uccidendo, ma non gliel'avrei permesso, almeno non finché c'era la possibilità che lui fosse vivo.

Strinsi i denti e proseguii, iniziando dal bagno dato che ne avevo bisogno. Cercai Darrell ovunque, incrociando volti di changers che mi guardavano sorpresi. Perlustrai i dormitori evitando però il corridoio della mia camera e giunsi poi vicino alla scuola. Da lontano vidi i bambini che svolgevano i loro compiti pomeridiani, che consistevano nel mettere in ordine e pulire la zona scolastica. Quasi inconsciamente, con lo sguardo cercai Gabriel. Dovetti attendere un po', ma alla fine lo trovai. Osservando i sorrisi degli altri bambini, stava cercando di farsi coinvolgere nei giochi. Un sentimento di tristezza gli velava lo sguardo, ma cercava di tenerlo per sé e rinchiuderlo in un angolo più lontano della sua mente. Proprio come mi sarei aspettata da lui.

Vederlo in quello stato mi spezzò il cuore, ma non me la sentii di avvicinarmi. Era meglio così. Mi allontanai in fretta sapendo già che non avrei trovato Darrell lì, e mi diressi verso il piano di sotto.

Mezz'ora più tardi, dopo aver perlustrato l'intero primo piano, mi diressi verso quello superiore, dove decisi di iniziare dalla zona che conoscevo meglio, ovvero l'area svago. Non appena si aprirono le porte dell'ascensore, però, trovai davanti a me il viso familiare che stavo inseguendo.

«Luki, ti ho cercata ovunque! Vieni con me.» Mi prese per mano e mi trascinò per i corridoi, fino a tornare nuovamente nei pressi dell'ufficio di Ace. Invece di entrare nella stanza, aprì la porta di quella accanto, qualche metro più a sinistra.

«L'ho trovata, finalmente» proclamò entrando e chiudendo la porta alle nostre spalle.

Mi ritrovai osservata da una decina di paia di occhi, appartenenti a uomini e donne seduti a un tavolo circolare. Dritto per dritto davanti a me troneggiava Ace, circondato da tutti gli altri che dedussi fossero Mentalisti. La stanza seguiva lo stile di tutte le altre, molto semplice ed essenziale, anche se l'unica cosa che si distanziava dall'arredamento standard era il tavolo di legno massiccio e le sedie abbinate, con un tappeto dai colori caldi che ricopriva quasi l'intera pavimentazione.

«Perfetto, sedetevi pure» ordinò Ace e facemmo come ci era stato detto.

Presi posto tra Darrell e una donna sulla trentina dai capelli corvini e la pelle pallida.

«In rispetto alle nostre conoscenze accumulate ultimamente sul vostro legame, i Mentalisti hanno ritenuto valide le tue visioni, Lucrezia» mi informò Ace, con una punta di timore nello sguardo. Le sue emozioni, tuttavia, non trasparivano dalla sua voce che era lenta e controllata come sempre.

«Avete conoscenze riguardo il nostro legame?» chiesi improvvisamente, rendendomi conto che Ace era partito per studiarlo, prima che succedesse tutto ciò.

«Sì. Non ho avuto l'occasione di parlartene, ma ho scoperto alcune cose. Ti informerò successivamente di ciò» tagliò corto, e mi andò bene così. Parlare di quel legame in questo momento avrebbe solo rallentato le cose, senza contare che non mi sentivo pronta ad affrontare un argomento che riguardava così da vicino Dante.

«Come dicevo, alla luce di ciò che sappiamo, le tue visioni sono state ritenute valide come collegamenti con l'altra parte. Tuttavia non abbiamo abbastanza informazioni necessarie per individuare dove lui sia e in che modo potremmo riportarlo a casa» continuò serio.

Annuii. Era vero, ma forse avrei potuto riceverne altre proprio quella notte. «Cosa avete intenzione di fare, quindi?»

«Alcuni di noi non sono stati molto d'accordo ma...» I changers presenti si guardarono a vicenda scambiandosi occhiate sfuggenti e agitate. Molti osservarono Ace con un'espressione preoccupata che mi fece intendere che il piano era pericoloso. «Dovremo innanzitutto attendere che tu raccolga altre informazioni. Non devi limitarti ad ascoltare, ma cerca di comunicare con lui attraverso il legame. Devi farcela, Lucrezia, devi individuare la sua esatta posizione.»

Annuii decisa pensando che era proprio ciò che avrei fatto in ogni caso. «Probabilmente avvicinarmi a lui in linea d'area mi permetterà di individuarlo più facilmente» lo informai.

«Quindi hai intenzione di uscire di nuovo dall'Istituto? Sai che probabilmente gli Orion vi stanno dando la caccia, vero?»

Le sue parole erano quanto di più vero avessi ascoltato ultimamente, ma non potevo permettermi di farmi spaventare. Non avevo scelta se non quella di uscire.

«Ho vissuto per diciassette anni fuori di qui. Posso farlo per qualche altro giorno» affermai sicura. Anche se mi avessero trovato gli Orion, era un rischio che dovevo correre.

Ace sembrò pensieroso, combattuto e preoccupato. Poi alla fine parlò. «Se non abbiamo scelta, va bene così. Partirete tra pochi giorni e tornerete il prima possibile. Quando scoprirete l'ubicazione, elaboreremo un piano.» Un mormorio più forte si espanse tra i Mentalisti, confondendo le parole nell'agitazione generale.

«È una decisione avventata!»

«Moriremo tutti!»

I changers erano ormai fuori controllo e sembrava impossibile riportare la tranquillità, ma Ace ci riuscì.

«Silenzio. So che è rischioso, ma se c'è anche una sola possibilità di poter far tornare a casa uno di noi, dobbiamo provare. Darrell, tu andrai con lei.»

Il mormorio ora si fece un vero e proprio caos. I Mentalisti sembravano contrariati dal veder partire il proprio superiore, dandolo già per spacciato.

«Ace, non possiamo perdere il nostro capo. Non c'è Mentalista migliore di lui!»

Ace cercò di replicare, ma il fracasso glielo impedì.

«Posso andare da sola» proclamai alzandomi dalla mia sedia e sovrastando le voci. Gli occhi dei changers puntarono immediatamente verso di me, alcuni diffidenti, altri increduli o scettici.

«Non se ne parla nemmeno. Ci tradiresti al primo Orion che incontreresti» se ne uscì uno di loro, facendo calare il silenzio.

Volsi il mio sguardo furioso verso di lui e lo vidi tapparsi immediatamente la bocca con un'espressione pentita. Si era accorto della gravità delle sue parole, ma era troppo tardi, ormai. La mia ira era già esplosa.

«Come ti permetti tu, codardo, di dire a me una cosa del genere? Io, che sto rischiando la vita per salvare uno di voi, mentre tu te ne stai qui rintanato nella tua casetta al sicuro, a guardare gli altri che sistemano le cose al posto tuo!» gli urlai contro, sporgendomi verso di lui. Le mie emozioni mi rendevano instabile, con i nervi a fior di pelle, e uno scoppio del genere era inevitabile, vista la situazione. Mi sorpresi solo che non fosse successo prima.

Darrell intervenne senza lasciargli la possibilità di rispondere, trascinandomi fuori ed evitando deliberatamente di toccare le mie mani. Solo una volta uscita mi accorsi che stavano emanando scintille.

«Devi calmarti, Lucrezia» mi ordinò dandomi uno strattone per le spalle. Il suo sguardo era serio e freddo, ma non presentava traccia di ira.

Mi obbligò a fissarlo negli occhi e, come al solito, mi persi nella loro profondità. Seguendo il suo respiro mi calmai ripristinando le mie emozioni.

«Non devi dare retta a cosa dicono. Sono solo spaventati. Situazioni del genere non si verificano tutti i giorni.»

«Se ha così paura, andasse a nascondersi sotto al letto. Io partirò domani che lui voglia o no e non potrà impedirmelo!» La mia voce trapelava decisione a ogni singola parola.

«Certo che partirai, piccola Luki. E io verrò con te.»

Prima che potessi elaborare del tutto le sue parole, era già sparito al di là della porta per terminare la conversazione con Ace.

Uscì pochi minuti dopo, con la promessa che sarebbe venuto. Cercai di obiettare, ma alla fine non riuscii a convincerlo. Sotto sotto dovetti ammettere di essere felice di averlo con me. Ero ancora mentalmente debole e avere la sua presenza al mio fianco non avrebbe fatto altro che aiutarmi. Inoltre, inizialmente non ci avevo pensato, ma io non avevo la patente, e tornare in città a piedi era un'impresa piuttosto ardua.

Altrettanto difficile si prospettava il poter resistere nei prossimi giorni all'interno di quelle mura senza impazzire. Mi facevano sentire soffocata, inutile e perditempo. Perché partire entro qualche giorno se potevo farlo quella sera stessa?

Fermai Ace al termine del colloquio con l'intenzione di chiederglielo, ma prima avevo una cosa importante da dirgli.

«Ace, posso parlarti?» lo intercettai non appena lo vidi, allontanandomi dal Mentalista.

L'omone davanti a me si fermò in ascolto, facendo cenno agli altri di proseguire senza di lui. Darrell mi avvertì che mi avrebbe aspettato in caffetteria, così finalmente restammo soli.

«Mi dispiace molto per le cose che ti ho detto. Ti prego di scusarmi. Non me la sono passata bene e so che per te è stato lo stesso. Non avrei dovuto dire ciò che non pensavo.» Il mio sguardo tremò e fui costretta a spostarlo lontano dal suo viso per ricacciare indietro le lacrime. Ace era come un padre per lui e non avevo il diritto di rivolgergli quelle parole crudeli.

L'uomo mi poggiò le mani sulle spalle e fui costretta a guardarlo in faccia, gli occhi lucidi.

«La mia ira non è rivolta a te, ragazza. Solo a chi lo ha portato via» rispose duramente con un tono amaro. Forse si stava un po' lasciando andare in confronto al solito.

«Lo so ma...»

«Lucrezia» la sua voce tremò per un solo istante che significò tutto. Se la schiarì con un grugnito e proseguì. «Non hai più nulla di cui doverti scusare. Stai facendo tanto per me. Non sai quanto sia complicata la decisione che ho preso, e tutt'ora mi chiedo se con le parole che ho detto lì dentro sono stato un buon capo. Credo che il mio giudizio sia offuscato dall'affetto che provo per Dante e non posso fare a meno di chiedermi cose come: "Se ci fosse un altro changer al suo posto, rischierei davvero la vita di due dei miei per recuperarlo?" Davvero, non so che cosa rispondere a me stesso.»

«Ace!» Alzai appena la voce per farlo riscuotere dallo stato di commiserazione in cui era entrato. «Certo che l'avresti fatto! L'identità della persona che è tra le mani degli Orion non cambia le cose: può essere salvata, quindi faremo qualsiasi cosa per riuscirci! Che sia tuo figlio, un altro changer o uno sconosciuto. È sempre uno di noi!» Mi sorpresi per la prima volta a incoraggiarlo da quando lo conoscevo. Fino a quel momento era sempre stato il contrario, ma per una volta il mondo sembrava essersi ribaltato, con tutte le certezze svanite e nuovi dubbi a tormentarci la mente.

Ace mi sorrise, facendo sparire dallo sguardo quella traccia di titubanza. Era pur sempre il capo e non mancava di forza d'animo.

«Coraggio, raggiungiamo Darrell.» Mi passò una mano dietro alla schiena come per invitarmi a muovermi, ma rimasi sul posto.

«Aspetta. Ho ancora una cosa da dirti.» Il capo si fermò e mi guardò curioso, incitandomi a continuare. «Non posso aspettare questi giorni. Ho la possibilità di partire direttamente questa sera, perché non farlo? La vita di Dante è sul filo di un rasoio e aspettare così tanto tempo potrebbe costargli caro.» Strinsi i denti nel pronunciare il suo nome, ma mi obbligai a farlo. Mi provocò quasi mal di stomaco, ma era troppo importante per tacerlo.

«Ragazza mia, posso capire che tu abbia fretta, ma certe cose devono essere organizzate per bene, oppure non verranno svolte altrettanto ordinatamente» rispose lui dopo qualche istante. Mi aspettavo quelle parole, ero pronta per insistere.

«Non abbiamo bisogno di qualche giorno. Possiamo organizzare tutto per bene entro stasera.»

«Avete bisogno di tempo per riposare. Non potete portare voi stessi oltre il vostro limite di sopportazione.»

Evitai di rispondere che il limite di sopportazione l'avevo oltrepassato da tempo. Dante l'aveva oltrepassato e ora rischiava di morire.

«Ci sono cose ben più importanti della mia sopportazione!» Alzai di poco la voce senza nemmeno accorgermene.

Ace mi osservò pensieroso prima di rispondere, prendendosi qualche doloroso istante per riflettere.

«Domani sera. Non prima» proclamò, ma non mi bastava.

«Ma...» iniziai, pronta a partire alla carica di nuovo. Purtroppo venni interrotta.

«Non potete, Lucrezia. Darrell è allo stremo, non ce la farà» disse freddamente, indurendo anche lo sguardo. Alzai le sopracciglia a quelle parole che non mi sarei mai aspettata. Darrell allo stremo? Non riusciva a combaciare con l'immagine del ragazzo che avevo nella mia mente. Il Mentalista era sempre stato forte ai miei occhi, mai indebolito troppo o addirittura allo stremo.

Ace mi diede una pacca sulla spalla e si allontanò da me, lasciandomi a riflettere basita sulla sua affermazione. L'aveva detto in modo tanto ovvio che sembrava fossi cieca per non accorgermene, ma facendo mente locale non riuscivo a trovare segno di alcuna debolezza in Darrell che fosse superiore a quella di tutti noi. Lui stesso aveva detto di poter venire senza alcun problema, quindi qualcosa non quadrava. Avrei dovuto parlagli, forse, e assicurarmi che farlo venire con me fosse una buona idea.

Alzai lo sguardo e trovai il corridoio vuoto, quindi mi recai in caffetteria per incontrare il Mentalista.

«Ace non è qui?» chiesi a Darrell una volta che l'ebbi raggiunto.

Lui scosse la testa e sorseggiò un goccio del suo succo al melograno, mettendosi comodo sul divanetto laterale sul quale si trovava. Non mi ero mai seduta lì, preferendo sempre i tavolini centrali, ma tutto sommato sembrava un posto carino e appartato, ideale per parlargli riguardo la sua situazione morale.

Ancora non riuscivo a far coincidere l'idea che Ace mi aveva messo in testa di Darrell con il ragazzo che mi trovavo davanti, spaparanzato e noncurante come se niente fosse.

«Devo parlarti» gli dissi quindi, cercando di far trasparire l'urgenza che il mio discorso avrebbe avuto.

«D'accordo» rispose lui con un'alzata di spalle, traendo un altro sorso dal bicchiere. Picchiettò piano lo spazio libero accanto a sé per farmi sedere e mi fece l'occhiolino.

A disagio, occupai il piccolo spazio con le spalle rigide e il corpo teso. Non sapevo da dove iniziare e il comportamento tranquillo e casuale che aveva il Mentalista non aiutava. Sembrava improvvisamente che avessi avuto una visione quando Ace mi aveva rivolto quelle parole irreali, e ora mi sentivo stupida a riferirle a Darrell.

«È successo qualcosa?» chiese lui vedendomi in difficoltà. Una punta di preoccupazione ornò il suo sguardo, ma per il resto rimase rilassato come prima.

«Non esattamente...» riuscii a dire. Le parole sembravano morirmi in bocca e mi sentivo troppo stupida.

«Parla, Luki. Se hai qualche problema posso aiutarti.» Questa volta abbandonò la posizione scomposta per avvicinarsi a me e prendere una mia mano tra le sue. Alzai lo sguardo e lo fissai negli occhi, decisa.

«Vuoi aiutare me, dici. Ma chi aiuta te? Chi ti chiede come ti senti? Chi si preoccupa di come stai?»

La sorpresa passò attraverso il volto di Darrell, congelandolo in un'espressione allarmata. Non gli piaceva parlare di sé, ormai l'avevo capito. Non voleva che sapessi più di quanto non mostrava tramite la sua facciata. La sua reazione non fece altro che confermare le parole di Ace e darmi più sicurezza.

«Che intendi? Non vedi che sto bene?» dichiarò, cercando di mettere naturalezza nei suoi gesti. Era davvero un bravo attore, ma in quel momento le sue emozioni lo stavano tradendo.

«Sei allo stremo, Darrell. Perché non me lo hai detto o fatto capire? Perché ti nascondi?» Arrivai finalmente al dunque, utilizzando le stesse parole di Ace per controllare la sua reazione.

Il ragazzo indurì lo sguardo irrigidendo tutto il corpo in un solo secondo. Le mie parole avevano fatto centro, smuovendolo dalla finzione che si era creato attorno. Si guardò alle spalle in modo quasi spaventato, poi si alzò dal divanetto quasi con uno scatto.

«Non è questo il posto e il momento adatto per parlarne.» La sua voce fu gelida come era stata la prima volta che mi aveva rivelato la sua vera identità. I suoi gesti risultarono meccanici e sbrigativi mentre poggiava il bicchiere ancora mezzo pieno sul bancone e si dirigeva rapidamente di fuori.

Mi sbrigai a seguirlo attraverso i corridoi perché ero decisa a non far cadere il discorso. Ogni volta che si parlava di lui fuggiva via, evasivo, ma questa volta non glie ne avrei data la possibilità. Ero stufa, credevo di meritarmi almeno un pizzico di verità su di lui.

Camminò rapido per vie meno frequentate, utilizzando le scale per salire al primo piano e, successivamente, al secondo. Non gli feci pressione, mi limitai a stargli dietro quel tanto che bastava per fargli capire che non me ne sarei andata. Dopo una mezz'ora passata a rincorrerlo, finalmente capì e si fermò.

«Che cosa vuoi?» La sua voce era ancora fredda come il ghiaccio, la sua espressione più dura di quanto non gli avessi mai visto in volto. Sembrava pronto a iniziare una lotta in quel momento pur di scampare alla chiacchierata che volevo affrontare.

«Smettila di scappare. Cosa c'è che ti turba tanto?» La mia voce fu dura e decisa, ma mantenne comunque una piccola punta di dolcezza per fargli capire che non avevo intenzione di litigare.

Darrell si passò le mani sul volto in un gesto isterico e digrignò i denti.

«Lasciami in pace» si limitò a rispondere a voce talmente bassa che lo sentii appena.

«No.»

Il ragazzo urlò improvvisamente, facendomi sobbalzare. Si voltò verso il muro e il suo pugno incontrò il duro cemento, ferendosi immediatamente e macchiando di sangue la parete.

«Darrell!» urlai, avvicinandomi a lui. Ebbi paura di una reazione da parte sua, che però non arrivò. Il suo sguardo si fece per un attimo vuoto, come se non ragionasse più.

«Li ho incontrati. Erano venuti a rendere omaggio a Dante dopo la sua sparizione» mi disse con la voce tremante e gli occhi spalancati. Non sembrava quasi più in sé, era spaventoso.

«Chi hai incontrato?» chiesi con timore, ma lui non mi ascoltò.

«Hanno ragione, Luki» iniziò tristemente. Il suo tono sembrava essersi ristabilizzato e il suo sguardo appariva meno tetro, ma era comunque in difficoltà. «Dovevano prendere me al suo posto. Io me lo sarei meritato.» Nei suoi occhi si accese una scintilla di follia, mischiata al vuoto che anche poco prima li aveva riempiti.

Lo scossi per le spalle per cercare di farlo ragionare di nuovo. «Darrell... ma che stai dicendo? Non provare nemmeno a pensare una cosa del genere! Chi te l'ha detto?»

Il ragazzo che avevo davanti sembrò finalmente tornare in sé e mi sorrise. «Tu non sai. Tu non puoi sapere. Lo penseresti anche tu se sapessi.»

Il Mentalista si voltò e ricominciò a camminare con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni color sabbia. Questa volta riprese più lentamente, quasi troppo, tuttavia dovetti sbrigarmi a riscuotermi per raggiungerlo.

«Raccontami, allora. Vedrai che, qualsiasi cosa sia, non cambierò idea!» affermai una volta accanto a lui.

Il ragazzo scosse la testa e sospirò, continuando a camminare. Non ci fu verso di farlo parlare, nonostante insistetti per tutto il viaggio di ritorno in camera.

«Puoi lasciarmi solo, ora» disse amabilmente sulla porta della sua stanza. Feci per replicare ma lui si tuffò dentro senza darmi nemmeno la possibilità di sfiorarlo.

Ace mi raccontò che non c'era stata traccia di lui a cena e la cosa mi fece sentire tremendamente in colpa. Non volevo turbarlo in quel modo, solo parlare con lui. Non mi sarei mai aspettata una reazione del genere e iniziai a riflettere sulla possibilità di chiedere ad Ace un altro compagno di missione. Non volevo essere egoista, e Darrell non sembrava in grado di poter compiere un'impresa simile.

Io per sicurezza mangiai tardi perché non volevo incontrare nessuno, tantomeno Gabriel. Sapevo che non mi stavo comportando bene con il ragazzino, ma non ce la facevo a guardarlo negli occhi e mentirgli come facevo a tutti gli altri. Perché era questo che facevo: mentivo. Mentivo quando provavo a respirare naturalmente e anche solo quando ero in giro. Non ce la facevo a fare né l'una né l'altra cosa, non ce la facevo a vivere. Pertanto mentivo anche solo quando vivevo.

Mi rifugiai in camera presto e vi rimasi finché dormire non si rivelò un'impresa. Sentivo la stanza di Dante chiamarmi, a pochissimi metri da me. Sentivo quasi la sua aura permeare quelle mura più di ogni altro posto, mentre lo squarcio nel petto non faceva altro che continuare a sanguinare.

Volevo dormire per avere altri sogni rivelatori, ma alla fine non ce la feci. Quando l'aria sembrava rischiare di soffocarmi definitivamente, uscii dalla mia camera senza guardare la porta accanto alla mia. Se l'avessi varcata sarebbe stata la fine, quindi cercai di ridurre le possibilità.

Lontana dal mio corridoio, potei ragionare più facilmente. Era molto tardi, probabilmente le due di notte, ma non avevo ancora sonno. Girovagai per l'area dei dormitori per provare a schiarirmi la mente finché non sentii il rumore di una porta che si chiudeva alla prossima svolta. I passi che si allontanavano da essa si stavano dirigendo verso di me, quindi feci dietrofront e quasi fuggii. Non volevo incontrare nessuno, non volevo che qualcuno mi vedesse. Mi rifugiai dietro il primo angolo sperando che il changer nottambulo non si accorgesse di me e proseguisse dritto, senza svoltare nella via in cui mi trovavo. Mi appiattii alla parete per passare ancora più inosservata e attesi con il fiato sospeso.

I passi raggiunsero il mio corridoio più lentamente di quanto mi aspettassi, quindi dovetti trarre per forza un respiro che rivelò la mia posizione. Subito dopo una figura passò per l'incrocio, guardando verso di me con apparente ignoranza in volto.

Spalancai la bocca nel vedere Darrell. Cosa ci faceva in giro a quell'ora? Il giorno dopo avrebbe dovuto uscire, perché non si stava riposando?

Presi fiato per dirglielo, ma improvvisamente lui fece scivolare il suo sguardo sulla mia figura come se non mi vedesse e proseguì diritto verso il corridoio dove era prima. Non mi aveva vista? Ma ero stata proprio di fronte ai suoi occhi! Impossibile che non si fosse accorto di me. Mi stava solo ignorando? Mi sembrava un comportamento eccessivo da parte sua.

Senza dire nulla, iniziai a seguirlo come quel pomeriggio, convinta che lui sapesse della mia presenza. Camminammo fino all'ascensore, prendendo scorciatoie e strade brevi: il ragazzo aveva una meta ben precisa e non stava girovagando a caso. Entrò nella cabina e mi infilai anche io. Lo osservai per il breve tempo che fummo chiusi dentro quella scatola e in quel momento supposi che non poteva davvero vedermi. Ero pur sempre una changer, no? Anche se la magia era qualcosa che non riuscivo a comprendere, la cosa non mi sorprese. Ogni tanto mi succedevano cose strane collegate ai miei desideri, e in quel momento avevo desiderato di essere invisibile. Beh, lo ero diventata veramente.

Volevo, tuttavia, una conferma. Prima che le porte dell'ascensore si aprissero, bussai piano verso una parete per due volte. I suoi occhi vennero subito attratti dal suono, ma scivolarono su di me come se non esistessi. Era impossibile che stesse fingendo, avrebbe comunque fatto cadere l'occhio sul mio corpo, e invece era come se mi passasse attraverso. Mi sentii improvvisamente inconsistente e dovetti toccare il mio corpo per avere la conferma che ci fosse ancora. Cosa avrei fatto se fossi rimasta in quello stato? Se avessi parlato se ne sarebbero accorti, quindi forse qualcuno avrebbe potuto aiutarmi a tornare normale. Per il momento rimasi in silenzio, curiosa della destinazione che quel ragazzo si era prefissato.

Varcammo le porte dell'ascensore e camminammo per i corridoi. Ogni tanto Darrell si girava a controllare che non ci fosse nessuno. Forse riusciva a udire l'impercettibile suono dei miei passi e si sentiva seguito. Provai a fare meno rumore possibile e continuai a camminare per venti minuti buoni.

Raggiungemmo l'area più lontana del secondo piano, laddove ero stata solo una volta, quando Dante mi aveva portata in terrazza. Il cuore mi fece male a quel ricordo, ma cercai di distrarmi vedendo che Darrell era fermo davanti una porta. La osservò con un timore quasi reverenziale per una manciata di minuti. I suoi occhi brillavano esposti alle luci soffuse dei corridoi e la sua mascella scattava ogni tanto in un movimento nervoso. Alla fine prese un gran respiro e si immise nella stanza come se lì dentro non avrebbe più trovato aria.

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