37 - Stay

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«Buon pomeriggio, splendore» la salutò Jem entrando nella sua camera con un sorriso e un sacchetto in mano. Sara era, come al solito, seduta sul pavimento con le gambe incrociate; si teneva le caviglie tra le mani da una delle quali partiva una fasciatura all'altezza del polso.

«Ehi. Ciao» lo accolse Sara con una smorfia di tristezza dipinta sul volto. «Mi chiuderanno in manicomio?» buttò lì in tono piatto. Jem sbuffò e scosse la testa. «Li sottovaluti, sai?» disse sedendosi di fronte a lei.

«Perché non dovrebbero? Non avrei mai pensato di fare una cosa del genere, eppure... Devo aver perso la testa, devo essere pazza.»

«Non sei pazza, ok?» mise in chiaro Jem con voce ferma. «Avevi bisogno di sfogarti e, in preda al delirio dei ricordi, hai reagito così. Ora hai solo bisogno di fare pace con te stessa» le disse porgendole il sacchetto che aveva portato. All'interno c'erano due pacchi: uno più grande e uno più piccolo. Sara lo guardò interrogativo.

«Per te» confermò Jem, rivolgendole uno sguardo dolce. Negli occhi di Sara comparve d'improvviso un bagliore, un bagliore che non vedeva da tanto. Estrasse un voluminoso pacco rettangolare e ne strappò la confezione con foga, come una bambina impaziente. Era un album di fotografie. Vuoto. Sara gli rivolse di nuovo uno sguardo curioso e Jem le indicò col mento il secondo incarto. Era una spessa e consistente busta bianca di cui Sara non faticò a indovinare il contenuto. La aprì, lasciando che centinaia di foto si spargessero sul tappeto. Si portò con un sospiro una mano alla bocca, cercando di assimilare le emozioni che l'avevano travolta. Foto di loro tre. Insieme.

«Will non avrebbe mai voluto vederti così» confessò Jem serio guardandola negli occhi. «Non avrebbe mai voluto che ci annientassimo per lui. Al contrario, vorrebbe che fossimo ottimisti e fiduciosi in noi stessi, che lottassimo ogni giorno per dare un senso alla nostra vita e a quella degli altri. Questo era Will, e noi lo ricorderemo così» asserì indicando il suo volto allegro in una delle tante foto che si erano scattati nel corso degli anni. «Anche se fisicamente non è più con noi, lo sarà sempre qui» dichiarò poggiandosi la mano all'altezza del cuore, «e qui» proseguì toccandosi la fronte con l'indice.

«Hai ragione. La rabbia e il dolore non gli appartenevano. È così che dovremmo ricordarlo. È così che dovremmo essere, per lui... per noi» gemette Sara cercando conforto nell'abbraccio di Jem mentre grosse lacrime le rigavano il viso consumato dal dispiacere. «Grazie.»

«Non ti lascerò mai» le confessò Jem dal profondo del cuore, stringendola ancora di più a sé. «Lo sai, vero?» Sara annuì, e Jem poté giurare che in quel momento un impercettibile sorriso stesse attraversando le sue labbra.

«Su, mettiamoci al lavoro! Abbiamo un bel da fare» la spronò Jem indicando le foto ai loro piedi. Dopo aver recuperato colla, forbici e pennarelli, i due cominciarono a dividere in tanti mucchietti le foto e a incollarle nell'album in ordine cronologico, scrivendo sotto a ciascuna data, luogo e descrizione. Avevano deciso di lasciare la prima pagina vuota: l'avrebbero riempita con il loro Manifesto, una volta finito. Commentando le immagini delle loro innumerevoli avventure ritrovarono il sorriso. Grazie a quei gesti così banali eppure così densi di significato, Sara e Jem stavano rivivendo i momenti più belli della loro vita e mentre li fissavano nella carta li fissavano anche nel loro cuore.

«Il giorno in cui abbiamo fatto questo,» disse d'un tratto Jem, interrompendosi e indicando il tatuaggio sul suo polso «ti abbiamo fatto una promessa. Ti abbiamo promesso che non ci saremmo mai separati, per nessun motivo.»

«Will non ha mantenuto la promessa, però» obiettò Sara contrariata. «Ci ha abbandonati.»

«Ti sbagli. Può sembrare così ma non lo è. Lui non ci abbandonerà mai» replicò Jem fiducioso. «È sempre con noi, solo dall'altra parte del cielo. È più vicino a noi ora di quanto non fosse prima. Dobbiamo solo imparare a vederlo da un'altra prospettiva, non con gli occhi ma con il cuore. Ricorda: "l'essenziale è invisibile agli occhi".»

Sara inspirò a fondo, cercando di interiorizzare quelle parole. Poi si morse il labbro e annuì a capo chino.

«Adesso tocca a te» proseguì Jem serio. «Prometti che non lo farai più. Prometti che accetterai il passato e che affronterai il presente e il futuro a testa alta. Per noi

«Lo prometto... Ve lo prometto» disse Sara con voce tremante portandosi una mano alla bocca nel tentativo di trattenere i singhiozzi che minacciavano di spezzarla di nuovo.

«Vieni qui» fece Jem attirandola a sé e mostrandosi forte per entrambi.

«Andrà tutto bene, vedrai.»

Trascorsero l'intero pomeriggio a riempire il loro album. Solo quando le luci rossastre del tramonto filtrarono dalla finestra, Jem smise di appiccicare foto e disse: «Beh, si è fatto tardi. Direi che per oggi può bastare. Devo ammettere che ti sei data da fare in questi anni, non siamo che a metà. Continueremo domani». Detto questo, fece per alzarsi dal tappeto ma venne trattenuto dalla mano di Sara che gli aveva afferrato il polso. Il suo polso bianco e liscio, senza tagli, né cicatrici.

«Ti prego. Resta» gli disse fissandolo con occhi supplichevoli. Jem fu preso alla sprovvista da quella richiesta. «Sara, che dici? È già ora di cena, devo tornare a casa» cercò di farla ragionare. Ma lei non sembrava intenzionata a lasciarlo andare.

«Grazie a te mi sento meglio ora. Stanotte affronterò i miei demoni» annunciò Sara guardandolo intensamente. «Ma... non so se ce la farò da sola. Ho bisogno di aiuto. Ho bisogno di te. Ti prego, resta con me stanotte» lo implorò di nuovo con crescente urgenza nella voce. Jem restò lì in piedi a fissarla, muto davanti a quell'inattesa preghiera. Dopo quella che gli parse una vita, ritrovò l'uso della parola: «M-ma come faccio a restare? Dovrei dirlo ai miei e poi... i tuoi non ci lasceranno mai dormire insieme!».

«Ti prego, Jem! Possiamo almeno provarci? Sono certa che i tuoi non faranno questioni. Quanto ai miei, vado subito a parlare con mio padre» disse Sara mettendosi in piedi e dirigendosi con determinazione alla porta. Allora faceva sul serio...

«Tranquillo,» lo rassicurò mentre lui continuava a fissarla incredulo «fa il musone ma in fondo è un pezzo di pane. Non mi dirà di no.»



E così Jem rimase a cena a casa Villa. I quattro si ritrovarono attorno a una tavola imbandita con diverse portate. Non appena Sara aveva chiesto ai suoi se Jem poteva restare, sua madre aveva confermato con calore ed era corsa ai fornelli; il padre, dopo un breve tentennamento, si era arreso alla richiesta della figlia e aveva acconsentito a far dormire Jem con lei. «Ma solo per stanotte!» aveva precisato perentorio, guadagnandosi subito un tenero abbraccio dalla sua piccola. Non ne riceveva così da prima della morte di Will. Quelli che c'erano stati da allora più che manifestazioni d'affetto erano stati puro sfogo di dolore.

La cena proseguì in tutta calma e compostezza. La mamma di Sara non aveva smesso di profondersi in elogi per Jem e di assicurarsi che le pietanze fossero di suo gradimento, come suo solito. Il padre forse era più taciturno del solito, notò Jem. Non che fosse un uomo particolarmente loquace.

Dopo il dolce, i due avevano mostrato ai genitori di Sara l'album al quale avevano lavorato nel pomeriggio e che intendevano ultimare l'indomani. «È bellissimo» commentò la signora Villa con voce commossa, la mano sul petto. «Sara non ha mai fatto un vero album di foto. Ma immagino che questo tu lo sappia già, caro.» Jem rivolse a Sara un'occhiata intensa che fu prontamente ricambiata. «Oh sì, signora. Lo so.»

Era giunta l'ora di andare a dormire e i due si erano ritirati in camera di Sara. Quest'ultima stava rovistando nel capiente armadio alla ricerca di un pigiama per Jem.

«Risparmiami orsacchiotti e cuoricini, per favore» la pregò Jem cercando di sbirciare cosa stesse tirando fuori da quei contenitori senza fondo.

«Sssh, non distrarmi! E poi, se mi conosci, sai che non indosso roba del genere... almeno, non dopo essere entrata nella pubertà» rifletté Sara continuando ad aprire ante e cassetti. «Ecco, questi dovrebbero starti» fece infine, lanciandogli un pantaloncino di una vecchia tuta e una t-shirt XXL con il logo di una rock band e data di un concerto non proprio recente.

«Wow, Guns N' Roses?» le chiese Jem sgranando gli occhi sorpreso.

«Eh, sì! Mio padre è un fan accanito. Ogni tanto viene fuori qualche reperto del suo passato da rockettaro. Non si direbbe, eh?» ridacchiò divertita Sara.

Quel suono... La sua risata cristallina attraversò la stanza come una ventata d'aria fresca che li avvolse e che Jem respirò a pieni polmoni. Quando era stata l'ultima volta che l'aveva sentita? I due si fissarono a lungo, travolti da un silenzio carico di emozioni.

«Io, ehm... vado a cambiarmi» fece Sara ricomponendosi e dirigendosi al bagno. Jem si cambiò e si mise a gambe incrociate ad attenderla sul grande letto. Sollevò lo sguardo sulle opere di Will che tappezzavano le pareti lilla quasi fino al soffitto.

Poteva capire perché avesse continui incubi la notte... ma allo stesso tempo sapeva che era lì che quei disegni dovevano stare. La soluzione non era rimuoverli dalla sua vista, ma darle modo di metabolizzare, di accettare il contenuto che avrebbero schiuso a ogni sguardo senza sentire l'impulso di porre fine a tutto. Jem sapeva che Sara era una donna forte e determinata, sapeva che prima o poi sarebbe riuscita ad andare avanti. Ma serviva tempo per curare delle ferite così profonde. In quel momento era fragile, molto fragile. Ogni parola, ogni gesto avrebbe potuto rinvigorire il sottile filo di speranza a cui si aggrappava o, al contrario, reciderlo irreparabilmente.

Quando Sara rientrò in camera con addosso il suo pigiama rosa, Jem le rivolse il più adulante dei suoi sguardi.

«Allora è questo che mi perdo quando non siamo insieme?»

«Smettila!» lo rimproverò lei, sbuffando e sedendosi al suo fianco. «Comunque, neanche tu sei male» aggiunse sollevando un sopracciglio. «Merito della maglia» osservò Jem riuscendo a strapparle un piccolo sorriso. Poi si spostò alle sue spalle, le raccolse i capelli dietro la schiena e cominciò a intrecciarli. Ne era passato di tempo da quando aveva sperimentato le prime acconciature su di lei.

«L'ultima volta che abbiamo dormito insieme in un... letto avevamo tipo quanto? Otto anni?» gli domandò sovrappensiero Sara.

«Dieci» precisò Jem alle prese con i suoi lunghi capelli «eravamo andati a fare un'escursione ai Piani Resinelli con i nostri genitori e a fine giornata eravamo crollati sul letto grande del rifugio.»

«Però, lo ricordi bene!» notò Sara meravigliata.

«Come dimenticarlo?» disse Jem sollevando un angolo della bocca. «Will aveva avvistato una lepre nel bosco e, mentre le correvamo dietro, tu eri inciampata su una grossa radice di albero e ti eri sbucciata le ginocchia. Io ti avevo pulito le ferite con l'acqua e un fazzoletto che avevo in tasca, poi ti avevo messa in braccio e riportata indietro» raccontò Jem legando la treccia con l'elastico di Sara. «Tu avevi detto a tua madre che ti avevo soccorso e che da grande sarei stato un ottimo medico.»

«Beh, avevo ragione, no?» fece Sara voltandosi verso di lui. «Mi stai curando.» Dopo un imbarazzante momento di silenzio, Jem si schiarì la voce e le disse in tono autoritario: «Molto bene, il medico ritiene che tu ora debba riposare».

La paziente sbuffò, alzò gli occhi al cielo e ubbidì; si infilò sotto le lenzuola e si mise su un fianco, seguita da Jem. I due rimasero a fissarsi per alcuni minuti, occhi negli occhi. Era così bella, nonostante gli occhi gonfi e arrossati e il viso sciupato dai continui pianti. Sarebbe rimasto lì a guardarla in eterno.

«Sono fortunato ad averti accanto» ammise Jem in un sussurro senza staccare gli occhi dai suoi. Ogni parola, ogni gesto sembrava pesare dieci volte tanto.

«Io sono fortunata ad averti accanto,» ribatté lei decisa «non dev'essere facile sopportarmi.» Jem le prese la mano e la strinse nella sua, come per assicurarsi che tutto quello fosse reale. «Non mi stancherò mai di sopportarti.» Sara emise un sospiro e chiuse gli occhi, godendosi il conforto di quel contatto.

«Pensi che riusciremo a superarlo? Ad andare avanti?» gli chiese cercando di nascondere una nota di timore nella voce.

«Penso dipenderà da noi. Se ci impegniamo, possiamo farcela. Il segreto è non avere paura» le disse lui, sfiorandole la fasciatura all'altezza del polso. «"Ama il tuo sogno se pur ti tormenta".»

«Chi l'ha detto?»

«D'Annunzio» rivelò Jem lasciando trasparire un sorriso che contagiò anche Sara. Passato il sorriso, tuttavia, restava nei loro occhi la consapevolezza di dover portare sulle spalle un peso immane.

«Tutto quello che stai facendo è... è molto importante per me. Non ti dirò mai grazie abbastanza.»

«Non devi. Non servono parole tra di noi» rispose Jem con semplicità, fissandola tanto intensamente da indovinare i suoi pensieri. In breve, gli occhi di Sara si velarono di lacrime che non tentò di nascondere. Jem allungò un braccio e la avvicinò a sé.

«Non lasciarmi» lo supplicò lei, rifugiandosi dentro alla sua stretta come fosse il posto più sicuro al mondo.

«Mai» rispose lui chiudendo gli occhi e perdendosi nel profumo e nel calore del suo corpo, il cuore traboccante di un'emozione che nessuna poesia avrebbe mai potuto descrivere. 

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