~ ἄστρον ~

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ἄστρον (Astron): stella o costellazione.


Guardo fuori dalla finestra. Ormai è già buio.

Mi massaggio le tempie e chiudo il libro. Non ho finito i compiti, ma non ne ho voglia. E poi è inutile: sono così distratta che continuo a rileggere decine di volte le stesse frasi senza capirci nulla.

Ma c'è anche qualcos'altro. Non posso fare a meno di pormi domande, domande che non mi sarebbero mai neanche passate per l'anticamera del cervello fino a pochi giorni fa. Comincio a chiedermi: cos'è che sto cercando?

Non so, non faccio che sfogliare pagine su pagine, mangiare e dormire. Le mie giornate si sono ridotte a procedere per inerzia, senza neppure pensare a cosa sto facendo. A forza di morire, insomma, sto smettendo di vivere.

Inclino le labbra in un sorriso ironico al pensiero. In qualunque altra situazione sarebbe ovvio, ridicolo. Ma d'altronde, ne ho viste di cose ridicole.

Oggi ho visto persino me stessa dire a uno sconosciuto che ho una maledizione. In certi momenti penso di averlo sognato, eppure so che è vero. Anche questo mi fa sorridere, ma non perché sia veramente ridicolo. Forse avevo davvero bisogno di dirlo a qualcuno.

In ogni caso, quel che ho fatto non migliorerà le cose. Che devo fare domani? Chiudermi in classe? Cercarlo? Fingere che non sia successo niente?

Sì, forse è questa l'opzione migliore, mi dico alzandomi. Tanto, sono brava a nascondere la testa sotto la sabbia.

Ha iniziato a piovere, a gocce leggere ma fitte. Apro la finestra e mi sporgo un poco, nonostante il vento freddo. Nell'aria c'è un buon profumo, di pioggia ma anche di qualcos'altro...Più profondo, muschiato, vivido.

Alzo gli occhi verso le stelle. Riconosco subito Orione, e passo in rassegna le stelle, come se con la mente stessi unendo i puntini di un gioco enigmistico, come facevo da piccola a casa della nonna. Saiph, Bellatrix, Rigel, Betelgeuse.

Il mio sguardo prosegue sul Cane Maggiore. Aludra, Wezen, Adhara, Mirzen, Sirio.

E poi il toro. Alcyone, Elnath, Aldebaran.

Potrei andare avanti per ore così. Quando vedo una costellazione, so sempre come si chiama, che mito racconta, quali sono le stelle principali. Sono tutte informazioni che ho letto sì e no un paio di volte, da piccola, ma che mi sono in qualche modo rimaste impresse. All'inizio pensavo che il cielo stellato facesse parte di questa faccenda della profezia. Dopotutto, c'è pieno di astrologi, no? Ma non trovo il minimo riscontro tra quello che dice l'oroscopo e quel che succede davvero, a differenza delle mie sensazioni, che colgono sempre nel segno.

Per esempio, in quanto Sagittario dovrei essere un'avventuriera espansiva ed esagerata in ogni cosa, generosa e dedita alla giustizia. La verità è che sono una piccola codarda introspettiva a cui del resto del mondo non frega un granché. E mi sta bene così, sinceramente.

Forse è perché, in realtà, quando sono nata, il sole era in Ofiuco. Ma molti non sanno neanche che esista. Seguono ancora lo zodiaco con le dodici costellazioni che c'erano tremila anni fa, senza rendersi conto che il cielo è cambiato. Magari non sono le stelle a mentire, sono le persone a non saper ascoltare. Ofiuco c'è, ma nessuno lo considera. Rimane quell'unica costellazione senza un segno riconosciuto. Fa il suo lavoro, sta lì in bella vista, ma è silenzioso, non si fa notare. Un po' come me.

Scuoto la testa e chiudo la finestra. Stavo per congelare. A volte mi perdo nei miei pensieri e la vita concreta mi sfugge dalle mani, come se me ne dimenticassi. Per questo sono sempre in ritardo pur non avendo niente da fare.

Mi infilo a letto.

Se le stelle mi hanno detto qualcosa, stasera, è che devo considerarmi di più. Sono Ofiuco, sono una costellazione come tutte le altre, e non devo per forza rintanarmi in un angolo come se niente fosse. Quindi domani parlerò con quel tipo e gli racconterò tutta la verità. Sarà inutile, probabilmente, ma mi ricorderà che anche io, dopotutto, ho una storia. Non è bella, per niente, ma varrà la pena raccontarla.

***

Sono titubante. Per tutta la lezione tengo una faccia concentrata, solo che la mia concentrazione è rivolta a qualcosa di molto diverso dalle parabole e dalle iperboli.

La mia mente viaggia per chilometri e immagina cento scenari diversi per quello che succederà. In uno vengo trascinata senza tanti complimenti nel reparto di psichiatria dell'ospedale, mentre mi dibatto come una folle, urlando che non sono pazza e che quel ragazzo sta mentendo. In un altro lui mi guarda come se fossi un alieno, dice nervosamente che se ne deve andare e sparisce dalla mia vita. In un altro ancora, -il solo pensarlo sembra sufficiente a far svanire la possibilità reale, se mai c'è stata - lui ha il mio stesso dolore e insieme troviamo il modo di sciogliere la Maledizione.

Sento una stretta allo stomaco. E se non lo facessi? Se non dicessi niente? Il nodo nelle mie viscere si scioglie un po'. Ma poi? Se venisse a cercarmi? Il nodo diventa un peso di piombo.

Devo trovare il coraggio di dirglielo...La campanella suona. Il momento della verità è arrivato, alla fine.

Esco dalla classe e mi guardo attorno, incerta. Dove sarà? Probabilmente nel corridoio in cui ho avuto la mia crisi la prima volta. Sì, dev'essere lì, mi dico incamminandomi, ma sento comunque un forte disagio.

Nei giorni normali succedono sempre le stesse cose e, per quanto siano noiose o dolorose, il mio cinismo e la mia forza dell'abitudine sono un'efficace armatura contro di esse. Ma non questo, ecco, non le novità.

Mi fermo contro un calorifero e comincio a guardarmi attorno. Non lo vedo, ma se non altro sto al caldo. Trattengo l'impulso di mordermi le nocche e prendo il cellulare, sfogliando le foto della galleria per passare il tempo.

Comunque l'attesa si fa sentire. Sono passati solo due minuti, ma ne ho contato ogni secondo. Vorrei andarmene già ora, forse il destino o il caso o quel che diavolo è ha deciso di darmi la possibilità di darmela a gambe. Proprio quando comincio a considerare seriamente l'idea, però, lui arriva.

Cammina tranquillamente con le mani infilate nelle tasche di una felpa nera con un logo di una band che non conosco. Se è sorpreso di trovarmi, non lo dà a vedere.

-Ma ciao- fa, appoggiandosi con disinvoltura sul termosifone accanto a me. -Stavolta non scappi? Sono piacevolmente colpito.-

Cosa dovrei dire? Deglutisco. I rapporti sociali non sono mai stati il mio forte.

-E anche curioso, se hai deciso di stare ad ascoltare una pazza del genere.-

-Già- risponde tranquillamente. -Ma anche tu lo sei.-

-Ah sì?- gli chiedo, scettica.

-Devi esserlo, se hai deciso di raccontarmi una pazzia del genere.-

In questo ha ragione. Voglio vedere la sua reazione, anche se contemporaneamente l'idea mi fa rivoltare lo stomaco per la paura.

-Mmh. Hai ragione, sono curiosa di sapere chi pensi che io sia.-

Sorride, voltandosi verso di me. -Credo che tu sia una che è uscita dalla caverna.-

Devo avere una faccia perplessa, perché inizia a raccontare. -Platone scrisse un mito su alcuni uomini intrappolati in una caverna, legati e immobilizzati con dei ceppi, che per tutta la vita vedevano solo delle ombre proiettate su un muro dal fuoco dietro di loro. Ora, la maggior parte degli uomini vede così, solo le ombre della realtà, e crede che sia tutto lì, perché non conosce altro. Solo uno di loro, per caso, si liberò e scoprì il mondo reale.-

-Sintesi perfetta- rispondo. E inutile, vorrei aggiungere, dato che ho studiato anche io quel mito in filosofia. -Ma hai dimenticato la parte in cui l'ex-prigioniero torna per raccontare ai suoi compagni com'è il mondo e loro lo ammazzano, perché non vogliono credergli. Non è un gran complimento.-

Fa una smorfia. -Non doveva esserlo. Solo che ti vedo un po' come quello che era uscito dalla caverna. Hai visto la luce, e ora nell'antro buio sei impacciata e ti deridono. In più nessuno crederebbe a ciò che dici del mondo esterno. Per cui hai deciso di non parlare.-

Sento un certo fastidio. Non sono abituata alla gente che mi indaga - e soprattutto scopre anche qualcosa - così.

-Ma che bravo. Ma sto per darti una brutta notizia: se io sono il prigioniero liberato, devo annunciarti che il mondo là fuori è rivoltante. Si starebbe meglio nella caverna- rispondo.

-La verità può essere spiacevole- ammette scrollando le spalle.

Mi viene quasi da ridere per l'eufemismo. Lo squadro più volte, cercando di farmi un'idea di lui. Mi ero immaginata molte cose, ma che iniziasse a parlare dei miti greci andava francamente ben oltre la mia fantasia.

-Mi stai prendendo in giro, probabilmente. Cioè, è impossibile credere a qualcosa del genere, guarda che mica divento una pazza furiosa se dici che non mi credi, è solo che davvero posso spiegar...-

Fa un sorriso sghembo e mi posa un dito sulle labbra,facendomi ammutolire. -Va tutto bene- dice poi, distogliendo lo sguardo e spostandosi un ricciolo scuro dagli occhi. -Vedi, io devo credere a queste storie.-

-E perché?- domando, sbalordita.

Gira la testa verso di me e mi guarda negli occhi, serissimo.

-Perché io ci vivo dentro.-

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