Capitolo 17 (da revisionare)

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Una piccola curiosità: il nome "Dalila" viene dall'ebraico e vuol dire letteralmente "traditrice".

«Dalila...» mormorò Barhyus.
Serafine strinse i denti mentre Dalila rideva alle sue spalle, sempre puntandole la sua spada contro la schiena.
Sentì i suoi passi e dopo poco se la ritrovò davanti, i capelli mossi che le arrivavano alle spalle, nerissimi, proprio come le sue ali piumate.
Sera sentì Shaida inveire silenziosamente contro l'Alata, mentre cercava di divincolarsi dalla stretta della guardia-scheletro, che le teneva le mani bloccate dietro la schiena.
«Non sapete quanto è stato bello passare del tempo con voi, ragazzi!» disse Dalila continuando a sorridere.
La voce innocente che aveva avuto fino a quel momento si era tramutata in una voce cattiva e aspra.
«Devo ammetterlo, pensavo che non vi avrei incontrato! Ero stanca di aspettare lì, tutta sola...Ma per fortuna siete arrivati. Felice di aver fatto la vostra conoscenza».
«Tu... brutta traditrice...» sibilò Shaida mentre l'Alata rideva.
«Traditrice?» intervenne il figlio del Tiranno stringendola per la vita «No, io non la chiamerei così...»
«Diciamo che so bene da che parte stare» disse la ragazza sorridendo all'Alato dai capelli corvini.
Si avvicinò a lui e... lo baciò.

Serafine percepì Kaspar alzare gli occhi al cielo, disgustato, mentre Barhyus osò parlare, a rovinare quel momento "intimo" tra i due Alati.
«Quindi hai mentito? Non sei una Guardiana!».
«Oh! Ma certo che lo sono! Solo che... preferisco essere dalla parte dei vincenti!»
Dalila afferrò la collana che portava al collo e, con uno strattone, la staccò e la consegnò al figlio del Tiranno, che immediatamente se la mise in tasca.
Quello osservò i prigionieri e si avvicinò a Serafine, mentre le guardie-scheletro li facevano inginocchiare, per limitare i loro movimenti.
«Dunque tu sei la ragazza predestinata a sconfiggere mio padre? Ti immaginavo più grande, sai?» disse con un ghigno malevolo che gli si allargava sul volto.
Scostò i lunghi capelli biondi della ragazza per rivelare un medaglione d'oro.

«Questo lo prendo io...» disse, per poi afferrare la collana e staccargliela con forza, mentre Serafine manteneva uno sguardo fisso verso di lui, senza proferire parola.
«Tuo padre sarà fiero di me, Kai.» intervenne Dalila attirando l'attenzione del giovane «Ho trovato i tre Ophix mancanti giusto in tempo» e, con un gesto del capo, accennò a Kaspar, che guardava Kai con uno sguardo pieno di odio, come gli altri.
Al comandante delle guardie si illuminarono gli occhi quando notò il medaglione luccicare al collo del ragazzo.
«Ma dai... A questo punto devo ammettere che hai fatto proprio un ottimo lavoro!» esclamò con un sorriso soddisfatto sul volto mentre si avvicinava a Kaspar.
Strappò la corda a cui era attaccata, mentre il giovane cercava di divincolare i suoi polsi dalla forte stretta del soldato.

«E l'altro?» chiese Kai alzandosi in piedi e guardando Dalila.
L'Alata corrugò le sopracciglia, indicando Serafine.
«Ce l'aveva lei... l'ho vista!» mormorò.
«Ho controllato, non ha niente!» replicò Kai leggermente irritato.
"Se quell'Ophix si è perso" pensò "Mio padre mi ammazzerà"
Mentre i due discutevano, lo sguardo di Sera venne attirato da una piccola lucina azzurra che brillava nell'angolo in cui giaceva la sua borsa strappata, agitandosi leggermente.
"Ehi! Ehi, Sera! Guarda! Il tuo medaglione è qui! Ce l'ho io! Ehi!..." diceva Luce, sbracciandosi per attirare l'attenzione della ragazza.
Serafine, cercando di non farsi notare da nessuno, le fece segno di stare nascosta e di non provocare alcun rumore.
Kai notò lo sguardo dell'Alata diretto altrove e si girò verso l'angolo in cui si trovava la piccola Ninfa.
Luce fece appena in tempo a nascondersi nuovamente nella borsa, prima che il comandante la vedesse.
Quello cominciò ad avvicinarsi verso di lei, ma in quel momento si sentirono dei passi frettolosi scendere le scale che conducevano alle prigioni.
Un consigliere imperiale, anche lui con la faccia scheletrica e vestito con abiti di corte, si affacciò all'entrata.
«Signore!» esclamò affannato per la corsa senza badare al fatto che il suo padrone era impegnato.
«Suo padre chiede di Lei, signore! Dice che è urgente!»

Kai lasciò stare la borsa di cuoio e si avvicinò alle scale.
«Portateli alle prigioni. E perquisiteli. Quell'Ophix è di vitale importanza. Dalila...» disse chiamando la ragazza che subito seguì l'Alato, lasciando i prigionieri in mano alle guardie.
«Gettate le armi» ordinò uno di loro con tono che non ammetteva repliche.
«Via l'armatura» disse un altro dopo che i ragazzi ebbero gettato davanti a loro le spade e tutto ciò che avevano con loro.
Ci impiegarono più tempo del previsto.
Avendo passato parte del tempo al freddo, le cinghie che sorreggevano la parte inferiore delle sottili armature si erano congelate e irrigidite, quindi fu alquanto difficile aprirle.
I quattro rimasero solamente con dei leggeri vestiti di stoffa -una camicia e dei pantaloni per i ragazzi e Shaida e un vestito di seta per Serafine- e i giovani vennero scossi da un brivido di freddo.
Nessuna delle quattro guardie notò la piccola borsa di cuoio al cui interno era nascosta la piccola Ninfa del Lago, che ogni tanto lanciava occhiate al medaglione di Serafine, come se avesse paura che sparisse.
Quando i prigionieri ebbero finito di spogliarsi delle armature, le guardie controllarono che nessuno dei quattro avesse altre armi oppure nascondessero quel dannato medaglione a cui il loro Signore teneva tanto.
Non sapevano cosa avessero di tanto speciale quei cosiddetti "Ophix", sapevano solo che il Tiranno ne aveva ardentemente bisogno.
Dato che nessuno dei ragazzi aveva nulla di particolare con sé, i soldati li legarono nuovamente le mani dietro la schiena e poi li spinsero fino alle scale che conducevano alle prigioni.

I prigionieri proseguirono senza proferire parola.
Prima di venir condotta su per la rampa, Sera lanciò una veloce occhiata a Luce, che la guardò preoccupata.
"Aspettate... non mi lasciate sola! E ora che faccio?"
I giovani Alati continuarono a salire quei gradini corti e stretti, sempre guidati dalle guardie-scheletro, fin quando non arrivarono in un corridoio in pietra grigia che si divideva in un bivio.
Guardando a destra si intravedeva un ennesimo lunghissimo corridoio, con un soffitto ad arco ogivale, senza finestre e con alle pareti delle torce che illuminavano il passaggio.
Le guardie, invece, li condussero verso sinistra, dove, alla fine si trovava una porta di legno, rivestita in ferro.
La guardia che teneva Serafine bussò due volte e attese.

Subito la porta si aprì, rivelando una guardia (e lui sì, era un Alato) bassa e tarchiata, senza capelli, con un pizzetto nero e riccioluto e una faccia annoiata.
Non appena notò i quattro ragazzi, sbuffò aprendo di più la porta per farli entrare.
«Ultima cella a destra, prego seguitemi...» disse ai soldati con voce assonnata richiudendo la porta alle sue spalle e cominciando a prendere un mazzo di chiavi legato alla cintura di cuoio dei pantaloni.
Superò le guardie e i prigionieri, cominciando a dirigersi con passo lento e ondeggiante verso lo spazio più interno delle prigioni.
Se non fosse stato per le vecchie e polverose lampade ad olio, con le loro piccole fiammelle deboli ad emanare una flebile luce, sarebbe stato completamente buio. Le celle erano totalmente immerse nell'oscurità e i ragazzi non furono in grado di vedere se all'interno ci fosse qualcuno.
Senza neanche guardare quello che faceva, il carceriere afferrò una vecchia chiave arrugginita (evidentemente doveva conoscere le serrature a memoria) e aprì la porta a sbarre di ferro, spostandosi di lato per permettere alle guardie di portare dentro i ragazzi.
Quelle spinsero con violenza i quattro all'interno della cella, senza preoccuparsi di slegare loro i polsi, ancora legati strettamente con delle corde.
Uscirono dalla cella e si spostarono, stando attenti che il carceriere chiudesse bene la serratura.
«Tratti bene i nuovi arrivati. Sono ospiti d'onore... il Re li riceverà sicuramente tra poco.»
Uno dei quattro soldati sembrò sorridere, con la sottile pelle nero cenere che si tendeva andando a formare molteplici rughe su tutta la mascella.
Dopo di ché, se ne andarono seguiti dal carceriere, che gettò un'ultima occhiata alla cella per poi andare ad aprire la porta alle guardie.
Dopo averla richiusa, l'Alato si gettò su una vecchia sedia di legno, afferrò una bottiglia di vino e, dopo averne bevuto un sorso, chiuse gli occhi cercando di riaddormentarsi.

I vestiti dei ragazzi erano troppo leggeri e gli Alati tremarono dal freddo.
L'ambiente era grigio, spoglio, senza finestre e incredibilmente polveroso.
A Serafine parve di scorgere la coda di un ratto rintanarsi in un foro presente in un angolo del muro.
Shaida si lasciò scivolare lungo il muro in pietra, fino a sedersi sul pavimento polveroso.
I suoi amici la imitarono, senza proferire parola, guardando fisso davanti a loro.
Oltre ad essere stanchi morti, erano anche delusi da loro stessi.
Si erano fidati della persona sbagliata e per quello avevano perso i medaglioni. Se il Tiranno fosse salito al potere sarebbe stata solo colpa loro.
«Beh... alla fine siamo qui...».
Barhyus si bloccò un attimo, pensando a qualcosa da dire. Non trovando altro da aggiungere, preferì stare in silenzio, gli occhi castani puntati sulla cella buia davanti alla loro.
Serafine poggiò la testa contro le fredde sbarre della cella, guardando il vuoto, sentendosi completamente fallita.
Aveva perso. Aveva deluso i suoi genitori. Si guardò i polsi, che le facevano male per via delle corde troppo strette e provò a slegarle con i denti. Si arrese dopo poco, tornando ad ascoltare il silenzio delle mura fredde della prigione.
«Era ora che arrivasse, Sera...»

I ragazzi alzarono la testa all'unisono.
La flebile voce di un anziano proveniva proprio dalla cella difronte la loro.
Quando i loro occhi si furono abituati al buio, gli Alati riuscirono a scorgere una piccola figura avanzare verso l'entrata della cella.
«Edulis!»
La faccia barbuta dello gnomo sorrise tristemente ai ragazzi, mentre altri gnomi imprigionati nella sua stessa cella si facevano avanti, curiosi. Serafine era piuttosto felice di vedere un volto amico, nonostante la situazione. Ma lo era ancora di più perché, se gli gnomi erano lì, forse anche sua zia e il resto del villaggio di Yaahr era nelle prigioni.
«Dove sono tutti? Mia zia...» domandò Serafine.
«Sono oltre quella porta. Molti del mio villaggio sono lì» la anticipò Edulis Boletus indicando con il dito indice un vecchio uscio opposto a quella da cui erano entrati i ragazzi.
«Come facciamo ad uscire?»
«Abbiamo provato ad aprire la serratura, ma è impossibile. Servono le chiavi.»
I volti dei ragazzi tornarono nuovamente abbattuti.
«Ci dispiace...» mormorò Kaspar rivolto a Edulis e agli altri gnomi.
In quel momento, le pareti e il pavimento cominciarono a tremare.

***
Kai e Dalila percorsero il lungo corridoio con passo svelto.
Il sole stava calando, presto sarebbe stata sera.
Man mano che si saliva e ci si avvicinava alla sala del trono, le pareti si schiarivano fino a diventare di un bianco candido.
Con le nuvole nere che da qualche giorno coprivano il cielo, però, non avevano più quel colore puro.
I due Alati arrivarono davanti al portone centrale, da cui provenivano strani rumori.
Kai aprì la porta che introduceva alla enorme sala color cenere, ma un tempo bianca, con delle pareti che sfioravano i quindici metri.
Non c'era nessun lampadario: il gigantesco terrazzo opposto alla porta illuminava tutta la stanza anche di notte. In più, ai lati della sala, si trovavano altre due finestre, che davano su un profondo burrone.
Al centro della sala poi, si trovava il trono. Un meraviglioso trono, con lo schienale alto e ricco fili d'oro e argento che si andavano intrecciando andando a formare eleganti segni runici che si estendevano come dei rami e terminavano con degli spirali di diverse dimensioni. Ad entrambi i lati del trono si trovava lo stemma Reale, con le ali d'avorio, sormontate da una corona d'oro e smeraldi.
Non appena misero piede all'interno della stanza, il terreno cominciò a tremare leggermente, facendo vibrare le pareti, tanto che qualche pietrolina cadde a terra, rimbalzando un paio di volte.

Dhort stava attendendo il figlio, la fronte corrugata, le ali nere e demoniache ripiegate che sfioravano appena il pavimento. Era appoggiato al tavolo di legno scuro che aveva fatto posizionare al lato del trono, vicino alla finestra che dava sul grande terrazzo, da cui si intravedevano le case della città di Aahor.
Non appena sentì il giovane aprire la porta, il Tiranno cominciò ad avvicinarsi verso di lui, con sguardo infuriato.
«Allora? Dov'è? Dov'è l'Ophix?» disse gettando uno sguardo alla ragazza che accompagnava Kai, che di rimando, si limitò ad abbassare il suo.
Il comandante delle guardie estrasse dalla tasca i tre medaglioni d'oro, compreso quello di Dalila, che sembrarono illuminarsi quando il Tiranno li afferrò.
«Finalmente...» disse lentamente alzando i medaglioni all'altezza del volto e osservandoli compiaciuto.
Dalila aprì leggermente la bocca, come per voler dire qualcosa, ma Kai le fece capire che non era quello il momento.

Dhort tornò al tavolo, su cui era poggiata una vecchia pergamena con scritte runiche sopra, e poggiò i medaglioni sul legno, osservandoli.
«Centoquindici anni. E finalmente il potere è di nuovo nelle mie mani!»
Da una tasca della sua lunga tunica estrasse una piccola scatolina di metallo, la aprì e tirò fuori il contenuto: l'amuleto di ferro lavorato con il grosso rubino rotondo al centro brillò.
Il Tiranno pronunciò alcune parole in una lingua strana. La pietra preziosa assunse un colorito rosso sangue, mentre la luce si indeboliva nuovamente.
Sorrise soddisfatto: l'amuleto aveva assorbito il potere necessario.
La "Regina" non poteva fare nulla contro di lui. Era invincibile. La sua magia era invincibile. Nascondere i poteri negli Ophix non lo aveva fermato.
Ora mancava solo una cosa...
«E mio fratello?»
Kai si girò verso Dalila intimandole di stare zitta, ma la ragazza continuò.
«Ora che ha avuto ciò che voleva lo può liberare, vero?»
Dhort si girò soddisfatto verso Kai e Dalila, gettando uno sguardo su quest'ultima e sfoderando un sorriso per nulla amichevole.
«Certo! Rivedrai tuo fratello molto presto. Prima però...» disse porgendole il medaglione su cui risplendeva il simbolo della clessidra, «Mostrami il suo potere.»
Dalila esitò, mettendoselo nuovamente al collo.
«Io... non ho la minima idea di come fare, Signore» ammise, tremando allo sguardo che le fece il Tiranno.
«Oh, non è un problema. C'è sempre una prima volta...» disse schioccando le dita.

Una grossa guardia scheletrica entrò nella sala, tenendo stretto un bambino con la pelle chiara, i capelli neri e dei grandi occhi grigi. Il piccolo Alato aveva la bocca chiusa da un legaccio di stoffa, e si dimenava tra le braccia del soldato, che lo spingeva per farlo camminare. Le ali di un bianco delicato erano legate, con una sottile corda d'acciaio alle cui estremità erano attaccate due sfere, ed era impossibile per il ragazzino muoverle.
«Erkim!» gridò la ragazza facendo per correre incontro al fratellino, ma venne trattenuta dal Tiranno, che continuò a parlare.
«Se vuoi riabbracciare il tuo amato fratellino, devi farmi vedere di cosa è capace quell'Ophix.»
«Gliel'ho detto! Non so come si fa! Per favore...» disse Dalila agitandosi.
Kai si avvicinò al padre, facendo per aiutare la ragazza a liberarsi, ma venne spinto via da Dhort.
«Di solito la magia si ottiene quando si provano emozioni forti. E' quello che voglio fare» sussurrò al figlio, che guardava preoccupato la guardia che trascinava il bambino vicino ad una delle grandi finestre che davano sul vuoto.
«Allora? Non sei ancora in grado??» disse il Tiranno a Dalila, che cercava di liberarsi dalla stretta presa dell'uomo.
«Per favore, non gli faccia del male! Non gli faccia del male!» piangeva la ragazza.
«Toccherà a te decidere se fargli del male o no...»
Detto questo, il Tiranno lanciò uno sguardo alla guardia che teneva stretto il bambino, che piangeva e di agitava.
Come fosse stato un segnale, il soldato sollevò il piccolo Alato e lo scaraventò di peso dalla finestra.
«Nooo!»

Dalila riuscì a scappare alla stretta del Tiranno proprio nel momento esatto in cui il soldato aveva lanciato giù nel burrone suo fratello.
Dopo di che ci fu il silenzio.
Kai e Dalila erano rimasti impietriti, con la mano di quest'ultima tesa verso la finestra da cui era scomparso il bambino. Il Tiranno, invece, osservava impassibile la scena.
Non si sentiva niente. Il nulla assoluto.
Finché il tempo sembrò cominciare ad andare all'indietro.
Piano piano la figura del piccolo Alato riapparve dalla finestra, fluttuando come per magia.
Dalila era rimasta con la mano tesa verso di lui, rendendosi conto che era lei a farlo.
Senza neanche pensarci, come fosse una cosa naturale, mosse il bambino all'interno della sala, cercando di concentrarsi, lasciando la presa solo quando non ce la fece più.
Il bambino toccò il suolo e, ancora sconvolto, si tolse la benda dalla bocca e gridò il nome della sorella, allargando le braccia verso di lei.
La ragazza si rese conto di quello che aveva fatto, correndo incontro al fratello, piangendo per lo spavento e per la felicità.
Dhort ghignò. Kai era ancora sconvolto per quello che era successo e si avvicinò al padre.
«E ora?»
«Trova l'ultimo Ophix mancante. E poi portami qui gli altri due Guardiani. Stanotte Aahor sarà mia.»

***************
Mi scuso per l'eternità che ho fatto passare dall'ultima volta che ho pubblicato.
La parte finale fa leggermente schifo perché non sapevo come organizzarla.
Però...*realizza*
*ansia*
*saltella in modo euforico*
ODDIO! ODDIO! ODDIO! SIAMO QUASI ALLA FINE!
Beh, più o meno...MA TRA SETTE CAPITOLI ESATTI IL LIBRO SARÀ FINITO!
Ho cominciato a scrivere i capitoli seguenti, così (forse) riuscirò ad aggiornare più velocemente

P.S. Per vostra curiosità, la sala del trono cambia colore in base all'anima del suo "proprietario", se così lo si può chiamare.

P.S.P.S. Sono tanto curiosa di sapere...come pronunciate i nomi dei personaggi? Perché ho notato che quasi tutti quelli che leggono il mio libro pronunciano in modo sbagliato i nomi.
Per esempio... Serafine si pronuncia Serafin non SerafinE.
È Shaìda non Shaída, e senza la "a" accentata 😑.
Grazie

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