Capitolo 19

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Il castello era stato costruito in tempi antichi, quando il Regno di Aahor era stato fondato, qualche migliaio di secoli prima.
Erano stati gli Elfi, i primi a comandare quelle Terre, a fondare la maggior parte delle città e il castello divenne il punto di riferimento per tutti.
Si decise di costruirlo nel punto più alto, al centro di quella che sarebbe diventata la capitale del Regno.
Per le fondamenta e le pareti del palazzo si scelse di usare una pietra speciale, una pietra magica, presa e lavorata sulle montagne dei Grandi Draghi, che da milioni di anni abitavano il nostro mondo.
La particolarità di questo materiale era la sua capacità di rendersi luminosa, quasi trasparente, alla minima esposizione al sole.
Ecco perché la città di Aahor venne definita "la città di cristallo".

Il castello era un intrico di scale e corridoi che si estendevano per decine e decine di metri.
Al primo piano c'era un immenso ingresso, ai cui lati si trovavano due "piccoli" salotti per permettere ai visitatori di accomodarsi prima di andare al secondo piano, che era occupato solamente dalla sala del trono, più una sala da pranzo, sempre decorata con oro e argento e le pareti che diventavano luccicanti come diamanti.
Al terzo piano c'erano le stanze degli ospiti, dove di solito dormivano i nobili in visita a corte, spesso provenienti da luoghi lontani, come le terre del Regno d'Oriente, o un membro delle tribù del Regno di Takúrian.

Proprio in una di queste stanze, Dalila era appoggiata ad una delle finestre, fissando intensamente una piuma d'oca, che aveva sollevato sopra la sua testa e aveva lasciato cadere.
Ora, quella piuma, fluttuava dolcemente a mezz'aria, facendo per tornare in alto nel punto da cui era caduta e subito dopo tornava indietro, eseguendo gli stessi movimenti all'infinito.
La ragazza aveva scoperto che, oltre a poter fermare e riavvolgere le azioni temporali, poteva anche farle tornare come erano prima, e persino accellerarle.

Kai la guardava, in silenzio.
Dalila gli ricordava molto se stesso da bambino, quando decise di imparare la magia.
Aveva voglia di conoscere tutto e subito, anche se questo voleva dire rimanere giorno e notte svegli.
Poco distante da lui, seduto sul grande letto a baldacchino dalle candide coperte, un bambino dalle ali bianche come la neve e gli occhi argentei guardava con espressione apatica la piuma galleggiante.
Eppure nei suoi occhi si poteva leggere una goccia di stupore.
Kai gettò uno sguardo anche a lui e si avvicinò.
Erkim sobbalzò spaventato e il giovane comandante gli rivolse un sorriso gentile, ma che agli occhi del bambino risultava perfido e senza scrupoli.

Era stato tenuto rinchiuso in una cella per qualche giorno, dopo che il villaggio suo e di sua sorella era stato attaccato.
Non lo avevano trattato male, però.
Non era stato in una cella insieme ad altre persone, ma da solo, in una stanza piuttosto grande, con un piccolo letto di paglia, delle coperte e un cuscino.
Un soldato andava anche a portargli da mangiare qualche fetta di pane e un bicchiere d'acqua in più e una volta gli aveva persino portato una trottola con cui giocare.
Aveva cominciato a pensare che essere prigionieri non era poi così male.
Quello che non sapeva, però, era che tutta quella gentilezza nei suoi confronti era stato un ordine da parte di Kai stesso.
Si trattava pur sempre del fratellino di Dalila, e sicuramente lei non sarebbe stata molto felice di scoprire che Erkim era stato trattato nella classica maniera con cui le guardie trattavano tutti gli altri prigionieri, in particolare se accusati di essere dei Guardiani.

«Ti piace quello che fa tua sorella?» domandò Kai, e il piccolo Alato mosse appena la testa in segno di assenso.
«Vorresti imparare?»
Altro timido gesto.
«Bene.»
Sempre mantenendo quel sorriso gentile, Kai estrasse dalla tasca della giacca nera un medaglione d'oro, con un segno di tre spirali che si univano nel centro.
«Perché non ci provi?»
Non era una domanda, e nemmeno un invito.
Suonava più come un ordine, ed Erkim ne era consapevole. In ogni caso, allungò una mano verso il giovane dalle ali nere e prese l'Ophix con la piccola mano tremante.

«Non succede niente» disse fissando prima il medaglione, poi il ragazzo di fronte a lui.
«Pensa al fatto che potrai fare delle magie con questo oggetto. Non ti piacerebbe farle?» insistette Kai, mentre il sorriso cominciava a incrinarsi. Non aveva tempo da perdere, ma non voleva provare il metodo che aveva usato suo padre nei confronti di Dalila.
Il bambino chiuse gli occhi e si sforzò di pensare il più velocemente e chiaramente possibile alla cosa che lo avrebbe reso più felice, ma continuò a non accadere niente.
«Non ci riesco. Non accade nulla!» si lamentò spazientito il piccolo Alato, aprendo gli occhi e lasciando cadere sul letto l'Ophix dorato.
A quel punto Kai perse la pazienza.
«Oh no, invece...Tu ci riesci

La sua voce sembrò cambiare tono, diventando più calda e ammaliante, mentre gli occhi scuri cambiarono radicalmente colore, diventando di uno strano giallo accecante come un raggio di sole, ma dall'aspetto macabro e glaciale.
Erkim si irrigidì, mentre lo sguardo diventava vuoto e assente, e il colore argenteo dei suoi occhi cambiò in un dorato metallico.
«Prendilo» ordinò il comandante riferendosi all'Ophix accanto al bambino, che allungò la mano verso il medaglione con un gesto robotico.
«Rivela il suo potere» continuò Kai mantenendo il tono di voce cantilenante.
Un sospiro da parte del bambino e l'Ophix sembrò illuminarsi debolmente, ma solo per pochi secondi.
Con uno schiocco secco, il medaglione saltò dalle mani di Erkim, facendolo risvegliare dallo stato di trans in cui era, e Kai riuscì a spostarsi appena in tempo, prima che l'Ophix lo colpisse in piena faccia.

«Che cosa fai?» esclamò Dalila riferendosi al giovane con sguardo di rimprovero per aver osato utilizzare la magia su suo fratello, lasciando che la piuma d'oca toccasse finalmente il suolo.
Erkim guardò la sorella con sguardo confuso, sforzandosi di ricordare cosa avesse fatto negli ultimi due minuti, mentre Kai fissava confusamente il vuoto, cercando di elaborare quello che aveva appena visto.
L'accellerarsi del suono di metallo che cade a terra, indicò che l'Ophix aveva smesso di rimbalzare sul pavimento, fermandosi vicino la parete opposta al letto.

***

«Serafine! Oh mio dio... Stai bene!»
Zia e nipote si tenevano abbracciate, mentre alcuni dei membri del villaggio che erano nella stessa cella uscivano fuori, felici come non mai, salutando e ringraziando i ragazzi.

I gemelli trovarono la nonna, stanca e spaventata, seduta su un lettino delle celle e corsero da lei per abbracciarla. La donna, appena vide i nipoti, sembrò riprendersi immediatamente e saltò in piedi come un fulmine.
Anche Kaspar incontrò il suo padrino, abbracciandolo subito, venendo ricambiato dall'uomo, commosso e felice di aver ritrovato il ragazzo che era stato come un figlio per lui.
«Ho incontrato papà» gli disse il giovane lasciando Taro sorpreso, ma allo stesso tempo meravigliato alla notizia che Royt fosse vivo.

In tutto questo Luce era in disparte, per cercare di essere il più trasparente possibile, sentendosi in imbarazzo in tutta quella felicità.
Lei, la sua famiglia, non l'aveva ancora incontrata, e non pensava che l'avrebbe trovata in quelle prigioni: non esistevano celle abbastanza piccole per le Ninfe.
In effetti, Luce aveva ragione: al posto di usare delle celle, le guardie avevano preferito usare delle "bolle d'acqua" create, sotto costrizione, da delle Fate del Fiume.

«Zia, mi sei mancata così tanto. Pensavo ti fosse successo qualcosa. Sono così felice di trovarti bene!» disse Serafine ancora stretta alla donna.
«Non devi essere preoccupata per me, Sera. Sei tu quella più importante.»
Zia Ortensia si staccò un momento dalla stretta, prendendo con una mano il medaglione che la ragazza aveva al collo.
«I tuoi genitori sarebbero così fieri di te...» sussurrò alla ragazza rattristandosi un attimo al ricordo della sorella.
Il sorriso di Serafine si affievolì, e in breve ritornò seria.
«No» disse, «Non ancora...»

Serafine si allontanò dalla zia, avvicinandosi agli amici.
«Non possiamo stare ancora qui. Dobbiamo andare.»
Prese il mazzo di chiavi dalle mani di Kaspar
«Tenete, liberate tutti, poi uscite di qui» disse la ragazza consegnando le chiavi ad un Alato, che immediatamente, diviso il mazzo con altri due compaesani, corse ad aprire le celle.
«C'è un passaggio, uscendo dalle prigioni , la prima porta a destra, dopo le scale. Vi porterà all'esterno...»
«Posso condurli io! Sapevo sareste arrivati!»
Una voce mai sentita prima, interruppe Serafine.
Uno degli Alati aveva appena aperto una delle celle, dentro la quale erano rinchiusi alcuni cortigiani del castello.

E poi Lei si avvicinò.
Non era come Serafine se l'era immaginata.
Sembrava piuttosto giovane per essere la "saggia e giusta Regina" di cui avevano sempre sentito parlare.
Aveva la pelle bianca, anche capelli erano bianchi e sembravano avere delle sfumature rosa pastello.
Non era propriamente bella, con un piccolo naso all'insù e i grandi occhi color ambra un po' storti, ma aveva un che di grazioso e... regale.
Sembrava mantenere il suo stato nobile anche in quello stato, con il volto leggermente annerito dalla polvere e gli abiti candidi come la neve sporchi e impolverati.
Le ali piumate sembravano soffici e leggere e anch'esse, come i capelli, avevano delle leggere sfumature rosa.

«Quindi siete voi: i giovani Guerrieri.» La sua voce suonava così calma e delicata, mentre scrutava i ragazzi con un sorrido gentile.
«Oh no, in verità, solo loro.»
I gemelli fecero un passo indietro, lasciando Kaspar e Serafine davanti alla Regina Wharia, senza sapere esattamente che fare.
«No, non inchinatevi, vi prego. Non potete perdere tempo!» disse in fretta la Regina, con una voce calma e delicata, facendo un gesto aggraziato verso i ragazzi, che avevano fatto per inchinarsi difronte a Lei.
«Sua Maestà, dovete andarvene: le guardie potrebbero arrivare da un momento all'altro. Bisogna liberare i prigionieri e...»
«I miei uomini cercheranno di trattenere chiunque si avvicini. Penserò io e il resto del popolo a liberare tutti. Voi dovete andare! Il tempo sta per scadere e per allora Dhort non dovrà avere il suo amuleto, altrimenti sarà la fine! Dovete raggiungere la sala del trono prima che sia tardi!»

I ragazzi ringraziarono velocemente la Regina, e prima che potessero correre via, Ortensia afferrò la nipote per un braccio.
«Ti prego, Serafine, sta attenta» le disse abbracciandola stretta a se con le lacrime a gli occhi.
La ragazza ricambiò l'abbraccio, sorridendole per cercare di rassicurarla.
«Non preoccuparti, andrà tutto bene.»
Dopo di che, i quattro ragazzi, seguiti da Luce, si allontanarono, diretti verso l'uscita delle prigioni.

Quando arrivarono alla piccola armeria, però, Kaspar fece fermare i ragazzi.
«Un attimo, credo che queste ci possano tornare utili» disse afferrando quattro delle spade più nuove che c'erano e un piccolo pugnale di argento che si legò alla cintura.
I ragazzi presero le spade, lunghe quasi un braccio e finalmente si avviarono fuori.

***

«Che cosa?!»
Un paio di guardie-scheletro fecero un passo indietro, spaventati dalla reazione del loro Re.
All'urlo del Tiranno, le pareti e il pavimento di tutto il castello cominciarono a tremare, come se un terremoto lo stesse scuotendo.
Dhort, avvertendo le scosse, si calmò e, inspirando profondamente, si accasciò sul trono in maniera scomposta, visibilmente infuriato.

Il volto era bianco cadaverico e sembrava stanco e malato.
I piccoli occhi castano scuro avevano assunto strane e inquietanti sfumature rosso sangue, che in quel momento brillavano come fiamme ardenti.
Tra la barba e i lunghi capelli scuri spuntavano alcuni peli bianchi.
Sembrava quasi che stesse invecchiando a vista d'occhio.

«Manca meno di un'ora al risveglio e voi mi state dicendo che i Guardiani sono liberi?!»
Uno degli Alati scheletrici fece un segno di assenso, aspettandosi la peggiore delle reazioni.
Il Tiranno inspirò nuovamente.
«La magia sta svanendo. Se non avrò nuovamente i poteri nelle mie mani prima dell'alba di domani sarà la fine! Ho bisogno dei Guardiani per acquistare la mia magia definitivamente!»
Si fermò un secondo per riprendere fiato e riflettere sul da farsi.

Gettò uno sguardo al giovane dai capelli corvini di fianco a lui. Aveva già dato ordine a chiunque dei suoi soldati di perquisire ogni angolo del castello ma questo non bastava.
Temeva l'attacco di alleati della Regina, che i Guardiani avrebbero preso il controllo dell'amuleto e che lo avrebbero...
«Andate anche voi» disse Dhort rivolto alle guardie-scheletro presenti davanti a lui, facendo un veloce e irritato gesto con la mano.

«Padre, c'è un'altra cosa che dovete sapere.»
Kai aveva osato proferire parola, mentre i soldati uscivano dalla grande porta della sala del trono.
«Il ragazzo... il bambino, non è stato in grado di attivare l'Ophix. Credo che non sia...»
Kai si bloccò quando il Tiranno girò di scatto la testa verso di lui, con la faccia ad un palmo dalla sua, fissandolo con quegli occhi rosso fuoco che solo in quel momento si accorse essere tremendamente inquietanti.

«Non è... un Guardiano?» finì Dhort con il tono di uno che avrebbe voluto sentire il contrario.
Kai annuì e il Tiranno distese con rabbia il braccio destro verso una parete della sala, dove un pezzo di colonna andò in frantumi con un'esplosione.

«Come è possibile?!» sbraitò il sovrano alzandosi dal trono e cominciando a camminare avanti e indietro.
«Non ha senso! I Guardiani avrebbero dovuto liberare il potere dagli Ophix. Non è possibile che...»
Si fermò, realizzando qualcosa a cui non aveva mai pensato, ma che analizzando la situazione sarebbe stata molto probabile.
«Oh...» mormorò, «Certo. Astuta, molto astuta.»
«Come, padre?» domandò confuso il giovane generale.
Il Tiranno girò sui tacchi, dirigendosi incredulo verso il tavolo davanti alla finestra che si affacciava sulla città, dove, al centro, erano poggiate due pergamene.

Erano entrambe antiche, una delle due sembrava avere un migliaio di anni. .
Avevano assunto un colorito giallognolo e su di esse erano incise delle rune, di diverse epoche: su di una erano più moderne, sull'altra erano scritte in un antico alfabeto.
Per chi avesse saputo leggerle, c'era scritto:

"Quando l'Oscuro da una delle Cinque Terre sarà esiliato, 
diciotto lune scorreranno prima che esso risalga dalla sua prigione di pietra. 

Il vento comanderà, così come le nuvole e le montagne, 

mentre il cielo otterrà il colore del sangue e del nero inchiostro. 
Ma coloro a cui i Doni furono affidati dal sommo padrone del Tempo, 
risorgeranno dalle ceneri del nido del sole."

Quella era la profezia che i più anziani del Regno avevano predetto, anni orsono, quella che tutto il popolo conosceva e che aveva sperato si avverasse.
Poi sull'altra, a continuo della prima, c'era scritto:

"E quando il Drago 
dalla cerulea fiamma
volerà sulla Città di cristallo,
i Cavalieri delle Grandi Terre vinceranno, portando la sconfitta
al temuto corvo dall'iride d'oro.
Uno di essi tradirà, e la rovina del suo Signore porterà al petto. 
Uno guiderà il fuoco stesso, e la potente voce di chi scuote le acque. 
Uno con la spada abbatterà
i distruttivi monti
e uno pagherà col sa-"

C'era una seconda profezia, o meglio, una prima profezia, essendo stata scritta ancora prima che la Regina Wharia e persino suo padre e tutta la sua dinastia salisse al trono.
Una profezia di cui pochissimi conoscevano l'esistenza, ma che mai nessuno aveva avuto l'onore di leggere, essendo stata dispersa in tempi remoti.
Comunque le antiche rune si interrompevano lì, cancellate dal passare del tempo.
Poggiati sulle pergamene, invece, giacevano due dei medaglioni d'oro.

Quando il Tiranno fu vicino al tavolo, disse a Kai di dargli il terzo Ophix, che il giovane consegnò immediatamente.
Una volta che ebbe sistemato anche quell'oggetto accanto agli altri, Dhort iniziò a fissarli, pensieroso, con gli occhi spalancati, continuando a ripetere: «Astuta... Impossibile... però...»
Ad un certo punto, ruotò la testa verso il corvino, con un sorriso incrinato.

Per un attimo, una singola frazione di secondo, Kai ebbe l'impressione che il volto del padre fosse stato scosso da un lampo, un minuscolo lasso di tempo che aveva rivelato, al posto della faccia barbuta da essere umano, un vecchio e decrepito scheletro, con le orbite vuote e la mascella cadente, quasi a voler mostrare la sua vera natura.
Una mummia, affamata del potere e accecata dalla voglia di distruzione, che era stata capace di vendere la sua anima pur di ottenere quello che aveva sempre desiderato in vita.
Ma forse, pensò Kai, erano stati solo i suoi occhi.

«I Doni del Drago» bisbigliò il Tiranno mentre il sorriso si allargava.
«Come?»
«I Guardiani, i discendenti del Drago...» continuò a biascicare il sovrano.
«Non capisco» interruppe il giovane con la fronte aggrottata, «I Guardiani non sono i discendenti dei Guardiani? Cioè, i nuovi Guardiani non sono i discendenti dei vecchi Guardiani?»
Era estremamente confuso, ma sembrava che suo padre aveva compreso tutto alla perfezione.
«Per tutto questo tempo si è pensato che i Guardiani fossero figli dei Guerrieri. Invece erano i figli del Drago.»
Il Tiranno mise mano alla pergamena e ci diede una veloce occhiata.

«Il Drago ha scelto i suoi eredi. E noi non sappiamo dove sono.»
«Quindi può anche darsi che quei ragazzi non siano veramente i Guardiani» azzardò a dire Kai che non aveva ancora capito a pieno quello che il Tiranno aveva detto.
«Può darsi. Ma se la profezia è vera, sarà il destino a trovarli» disse guardando Kai dritto negli occhi e allungando un braccio verso di lui, porgendogli i tre Ophix dorati.
«Prendi questi... E poi, ho bisogno che la tua ragazza faccia una cosa per me.»
«Cosa ti serve?» domandò il giovane afferrando i medaglioni e mettendoseli in tasca.
«Tempo. Ho bisogno di tempo.»
E la terra tremò di nuovo.

***

Una volta messo piede fuori dalle prigioni, i ragazzi si trovarono difronte al lungo corridoio che avevano intravisto quando le guardie li avevano portati là dentro.
Quella era la prima volta che mettevano piede in un castello, e in un'altra occasione sarebbero rimasi sicuramente incantati da tutte quelle altissime pareti di pietra levigata e le molteplici finestre senza vetri, separate le une dalle altre solo da delle strette colonne anch'esse di pietra nera e levigata.
Quell'ala del castello si affacciava su un grande giardino verde, costellato da fiori colorati, alberi rigogliosi e fontane ricoperte da edera da cui sgorgavano fiotti di acqua cristallina, il tutto illuminato solamente dalla luce della pallida luna, circondata da nuvole scure, da temporale.

«Bene, dove andiamo?» domandò Shaida avvicinandosi ad una delle finestre e scrutando il cielo sopra di loro. Pensava che avrebbero potuto volare fino alla sala del trono. Anche se in ogni caso bisognava trovarla, la sala del trono. La sua idea svanì non appena sentirono un pesante battito d'ali sormontare il cielo.

Piccoli draghi ruotavano attorno alle mura, e alcuni di essi erano appollaiato sui tetti delle numerose torri, guardando il paesaggio sotto di loro e lanciando piccole lingue di fuoco per spaventare gli uccelli che cercavano di riposare sulle guglie.

Serafine strinse con la mano destra l'elsa della sua spada, per poi proseguire a passo deciso verso il corridoio che si apriva di fronte ai cinque.
«Dobbiamo arrivarci per forza. Proseguiremo ad occhio» disse solamente.
Luce sperò con tutte le sue forze che quell'occhio di cui parlava la ragazza ci vedesse abbastanza bene, mentre volava all'altezza delle teste degli Alati in modo lento.

I ragazzi si resero ben presto conto che raggiungere la sala del trono sarebbe stato più difficile del previsto: i corridoi sembravano tutti uguali, con le stesse pareti vuote, le stesse colonne alle finestre, gli stessi archi di pietra ogni volta che iniziava un nuovo passaggio.
L'illuminazione era scarsa e fortunatamente gli occhi dei cinque erano già abituati al buio.
Al primo bivio in cui si trovarono, svoltarono a sinistra e subito dopo a destra, lasciando che l'istinto li guidasse verso la strada giusta, con i nervi a fior di pelle, sobbalzando ad ogni minimo rumore.

Dopo qualche minuto, sentirono molteplici passi dirigersi proprio verso di loro e il rumore di spade che picchiava contro qualcosa.
Il gruppo si fermò impietrito.
Senza pensarci fecero retromarcia e si diressero verso uno dei due corridoi dietro di loro, che svoltava verso sinistra.
Non fecero in tempo a girare l'angolo che si ritrovarono davanti un altro gruppo di una decina di guardie che, sfortunatamente, li vide.

«Ehi, voi!» gridò uno di loro indicandolo il gruppo.
«Prendeteli!» ordinò poi agli altri soldati.
I ragazzi, però, avevano già preso a correre per il corridoio opposto, quello di destra.
Anche l'altro gruppo di guardie aveva sentito il grido ed era immediatamente andato in aiuto agli altri.
Ora avevano una ventina di soldati armati alle calcagna e i giovani non avevano la benché minima idea di dove stessero andando.
Erano troppi per loro, persino per provare a combatterli, non avendo imparato abbastanza tecniche di combattimento da poter tener testa a tutte quelle guardie.

L'importante, pensavano, era che mettessero più terreno possibile tra loro e i soldati, correndo con tutto il fiato che avevano in corpo, senza nemmeno porsi il problema di controllare se li avessero seminati o meno.
Sentivano i passi pesanti degli Alati-scheletro dietro di loro.
Svoltavano gli angoli in continuazione, senza nemmeno pensarci e senza controllare dietro di loro.
Se si fossero trovati in un vicolo cieco sarebbe stata la fine.

Luce era in testa, volando come se non ci fosse un domani o come se stesse correndo la maratona del secolo.
Guardando dall'esterno, si poteva pensare che stesse guidando i ragazzi verso la giusta via.
In realtà, stava solo cercando di sopravvivere e la sua coscienza buona che le suggeriva di collaborare con i giovani Alati, magari cercando un posto sicuro o distraendo le guardie, era rimasta indietro, dispersa in qualche corridoio.

Arrivati ad un certo punto della corsa, i ragazzi dovettero pure tornare indietro, per evitare di incrociare altre guardie che sorvegliavano quell'ala del castello, rischiando però di essere presi da quelle che già li correvano dietro da un po'.
Man mano che andavano avanti, Serafine cominciò a rendersi conto che l'ambiente diventava sempre più buio e le pareti sempre più nere.
Inoltre, quel corridoio si sdoppiava in molteplici vicoli, tutti uguali e alcuni di essi erano probabilmente senza uscita.

Ormai stanca, Serafine rallentò la corsa, pensando che ormai avevano seminato le guardie e girò verso un corridoio che, neanche a farlo apposta, era un vicolo cieco.
Non appena si fu fermata, la ragazza si appoggiò con la schiena verso il muro di pietra e le sue gambe cedettero.
Chiuse gli occhi. Non si sentivano più i passi delle guardie.

Anche Luce stramazzò a terra, alzando lo sguardo per guardare il luogo in cui erano capitati: un muro di pietra, Serafine, una ragnatela, Bahryus, un grosso ratto, un buco nel muro, Bahryus, un'altra ragnatela, Serafine, Bahryus-...

La Ninfa saltò nuovamente in volo, come se una scarica elettrica l'avesse fatta riprendere.
"Ditemi che ho visto male..." pensò sgranando gli occhi e ricontrollando meglio.
Ma aveva visto bene, e se ne accorsero anche i ragazzi.

Accanto alla parete opposta a quella dove Serafine si era appoggiata, ancora ansimante per la corsa, Bahryus cercava di riprendere fiato, con le mani poggiate alle ginocchia e i capelli scompigliati che gli ricadevano sulla fronte.
Non era abituato a correre dall'improvviso e per così tanto tempo, ma pensò che avrebbe dovuto cominciare a farlo.
Girò lo sguardo dietro di lui.
«Sera...»
La ragazza aprì gli occhi azzurri e le ci vollero pochi secondi per realizzare quello che il giovane aveva visto.
O meglio... che non aveva visto.

«Oh mio dio... Kaspar e Shaida.»

************
In questo capitolo c'è tanta roba, eh?
Perdonatemi se la scena delle prigioni è fatta un po' a merdina, ma ho scoperto che le vacanze mi tolgono l'immaginazione meglio del periodo scolastico.

1) Il simbolo dell'Ophix appartenete a Erkim è il "triskell", un simbolo celtico più conosciuto nel mondo.

2) A quanto pare i ragazzi sono in un mare di gua i.

3) Ammettetelo, ci so fare con le profezie!

La questione dei "doni del Drago", avrei dovuto approfondirla durante i capitoli precedenti.
Cioè, nei capitoli precedenti del libro revisionato.
Quindi quando lo andrò a revisionare...cambierò qualche scenetta nei capitoli precedenti per...sì, insomma...approfondire.

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