Ian [New]

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La sua vita non era sempre stata buio e nuvole. Forse era per questo che Ian era così importante per Liv: perché era rimasta l'unica persona al mondo, a parte i suoi genitori, a vedere in lei quella bambina col caschetto, a poter guardare oltre il tormento e la paura. Spingeva la sua guerriera su quella moto: i capelli sparsi al vento della notte che si stava rannuvolando. Era una metafora della sua vita, in fondo, e ora le pareva di essere in lotta contro l'inevitabile. Poteva davvero smettere di combattere e lasciarsi soverchiare dalle tenebre per sempre? Ian non l'avrebbe voluto; perciò, era ora di tirare fuori gli artigli e riprendersi la propria vita. Le ruote scivolavano sull'erba e la musica si sprigionava attorno a lei. Iniziava a piovere e doveva ammettere che quel plug– in era davvero realistico: Ian aveva fatto centro. Era stato bravissimo a finire tutto quello scenario senza di lei. Era abbastanza certa che molti ragazzi del loro gruppo l'avessero aiutato, in ogni caso non aveva tempo per ringraziare tutti.

Kathy era stata fin troppo brava a distrarre Tom. Non serviva un super potere per capire che Tom era pazzo di lei. Lei era così sciolta con lui: non si spiegava da dove venisse questa sicurezza e un po' la invidiava. Le aveva dato un'idea su come avvicinare Ian: Galaxy, il suo avatar, era decisamente il suo tipo. Aveva tentennato molto se andare nella sua stessa squadra o in una opposta. Il rischio in ogni caso di finire sotto i suoi colpi ed essere costretta offline prima ancora di avergli parlato c'era. Arrestò la moto in mezzo alla strada e guardò la cartina. Osservò i tetti dei palazzi sopra di lei in cerca di cecchini. Ian non era il tipo, ma doveva essere allerta se non voleva perdere il momento giusto. Tirò la moto sotto il portico del grattacielo antistante e la appoggiò a una colonna; quindi, entrò nel palazzo.

Nascose una smorfia mentre vide l'immagine dell suo personaggio riflessa nello specchio dell'atrio: Galaxy era decisamente troppo bionda. Pensò con rammarico a Lightning, il suo avatar originario che aveva dovuto lasciare in panchina per non essere riconosciuta. In un certo senso, forse inconsciamente, aveva pensato a Kathy nel comporre Galaxy. A parte la treccia: quella era davvero troppo! Aveva optato per una coda di cavallo. Doveva convincere anche Kathy a provarla: aveva diciotto anni e non era la dama di un quadro medievale. Salì sicura sull'ascensore e digitò sul tastierino il codice. Il montacarichi cigolò sui cardini e prese a muoversi verso l'alto. Avrebbe pagato per vedere dal vivo la faccia di Ian quando avesse sentito l'ascensore aprirsi e avrebbe visto nel monitor quella ragazza vestita di pelle scendere a passo deciso!

Le mani le tremavano ed erano gelate: impugnò più saldamente l'arma e la puntò dritta davanti all'avatar. Giocare con la tastiera era davvero scomodo, ma la postazione di Tom era rimasta al millennio precedente: per fortuna aveva stabilito lei le combinazioni dei comandi e le sapeva quasi a memoria. Partecipare al LAN con la postazione che aveva a casa sarebbe stata tutta un'altra storia. Il suo punteggio ne avrebbe risentito, ma non era lì per vincere, non quella sera. Non le serviva ricordarsi cosa avrebbero rischiato tutti gli alunni della scuola se lei gli avesse rivelato troppo. Allargò la finestra della chat per essere pronta. L'ascensore si aprì.

Tristan, l'avatar di Ian, era solo alla console davanti a lei e guardava un monitor con alcuni comandi; probabilmente stava facendo scoppiare la tempesta. Fuori dai vetri ormai l'acqua ticchettava quasi fosse grandine e nella stanza l'unica luce proveniva da quei monitor.

«Non sono ammessi player» comparve scritto. Tristan non si era nemmeno girato. Sicuramente Ian aveva il microfono e il programma trasformava le sue parole in testo. Liv invece col solo mouse e tastiera doveva fermarsi: o combatteva o digitava. Visto che Ian non era armato, abbassò la pistola e si inoltrò nella stanza buia.

«Se mi uccidi non avrai punti in più: visto che tocca a me dirigere il gioco, sono immortale.»

Liv lesse stupita: aveva rinunciato a gareggiare pur di farlo funzionare da solo come lei avrebbe voluto che fosse? Era molto tenero.

«Ero qui per Lightning» scrisse decisa.

Tristan si bloccò, alzò le mani dalla tastiera e si voltò a guardarla.

«Non verrà, non stasera» comparve nella casella di testo dopo un attimo. L'avatar era inespressivo, ma qualcosa le faceva presumere che chi lo guidava non lo fosse affatto.

«Mi dispiace.»

«Anche a me.» Ian volse nuovamente l'attenzione alla console.

«Cosa saresti disposto a fare per ritrovarla?» Nel pigiare i tasti le tremava la mano.

«Tutto» Tristan rimase come incantato a guardare lo schermo. Liv sentì le sue difese franare, si asciugò gli occhi. Poi lui si girò all'improvviso verso di lei. «Tu sai qualcosa?»

«So che non è l'unica, che sono in tanti ormai e so che non possiamo più chiudere gli occhi.»

«Aspetta, tu sai cosa le è successo? Devi dirmelo, ti prego!»

«Se vuoi aiutarci, non tracciare il mio IP, non cercare in alcun modo di contattarmi, ti manderò io una mail al momento giusto. Dobbiamo muoverci in fretta, ognuno deve dare il suo contributo.»

«Se questo mi farà ritrovare Liv, sarò pronto.»

«Non parlare a nessuno di me e non cercare di seguirmi. Tra poco staccherò la mia connessione.» Galaxy si avvicinò a Tristan e lo baciò sulla guancia. «Da parte di Lightning» scrisse in chat dopo aver lanciato il comando. Quindi indietreggiò verso l'ascensore e inserì il codice sicura.

Ian impiegò un attimo di troppo a reagire, cercò di afferrare la mano di quell'avatar, ma gli sfuggì. «Tu la conosci? L'hai vista? Aspetta!» Tristan batteva contro le porte chiuse dell'ascensore. L'avrebbe seguita, nonostante la minaccia e Liv sapeva di non poter più aspettare. Chiuse il programma sia sul suo computer che su quello di Tom, sganciò la connessione dal proxy e resettò tutti i dati rimasti in cache. In un certo senso, fu quasi doloroso: vedeva ancora i ciuffi biondi dell'avatar di Ian davanti a lei e quegli occhi verdi che erano la sua salvezza e la sua dannazione, da sempre. Si asciugò le lacrime e si guardò attorno: non c'era traccia di Kathy o di Tom. Si alzò dalla console e procedette verso la vetrata. Svoltò l'angolo dietro ad alcuni server e rimase allibita all'immagine che gli si presentò di fronte: Tom e Kathy erano abbracciati su un divano sospeso per aria a un metro da terra!

Quest'ultima informazione scacciò via dalla sua testa ogni altra. Telecinesi! Davanti ai suoi occhi! Chi era? Tom o Kathy? Liv lanciò un improperio. I due si voltarono verso di lei. Istantaneamente il divano franò a terra capovolgendosi. Entrambi scivolarono sul pavimento.

«Sull'atterraggio devi migliorare!» lo pungolò Kathy.

Tom l'aiutò a mettersi seduta. «Mi ha preso alla sprovvista! Ti sei fatta male?»

Kathy lo rassicurò. «E tu che dicevi che non era un potere mutante volare!» Gli lanciò un pugnetto sul braccio.

«Quando posso fare la mutazione anche io?» Liv batteva un piede sul pavimento impaziente e passava a fissare primo uno e poi l'altra.

«Liv, no, credimi, è meglio di no»

«Ma Kathy è stata mutata!»

«Lei stava per morire, te l'ho già spiegato.» Non voleva doverle parlare così schiettamente, ma non era la prima volta che insisteva su questo punto. «È dolorosa e pericolosa, ha molti effetti collaterali e non si fa, a meno di non esserne costretti. Soprattutto quella blu!»

Liv sbuffò. «Comunque è saltata la connessione col LAN party, io me ne vado a letto.» Li salutò svogliatamente e scomparve dietro i server. Tom sistemò il divano.

«Mi dispiace, ho fatto un casino.»

«Non è colpa tua. Ti ricordi anche tu quanto era difficile i primi giorni qui. Aggiungerò il manuale a questa pila di documenti e parlerò della tua teoria a David» promise Tom.

«Ottimo.» Improvvisamente Kathy si sentiva quasi in imbarazzo, come se il fatto di non aver più un orizzonte temporale da affrontare la lasciasse incerta sul da farsi. C'erano molte parole non espresse tra lei e Tom e il test era andato bene, ma in qualche modo si sentiva di non poter continuare oltre quella sera e poi il tarlo dell'identità di quella donna aveva iniziato a torturarla. «Devo andare a finire un test per domani.»

«A quest'ora?» Tom la guardò allibito e dispiaciuto.

«Ho perso la cognizione del tempo a leggere il manuale.» Non poteva certo dirgli che aveva spedito mail a duecento persone.

«Sta attenta che l'indagine non ti porti via troppo tempo.»

«È un buon consiglio!» Kathy si alzò in piedi a fatica con una delle stampelle. Tom gli passò l'altra e si avvicinò. «Grazie per il volo, buonanotte!» Gli sfiorò la guancia con le labbra e poi scomparve tra i server.


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