Zia Helene [New]

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Quando Kathy si svegliò era in camera sua, nel suo letto e fuori era già mattina. Il sole entrava prepotente nella sua stanza dalle finestre. Si ricordava a mala pena che Roxy l'aveva riaccompagnata. Una fitta alla schiena la fece trasalire. Il suo tablet si illuminava ritmicamente sul comodino. Lo aprì: duecento notifiche! Erano impazziti sul forum? Anche la loro chat interna sembrava fosse in fermento. C'erano messaggi da moltissimi ragazzi della scuola. Si ripromise di leggerli dopo con calma. Una parte di lei aveva paura che quello che lei aveva scritto non fosse piaciuto e le seccava molto doverlo ammettere. Non era mai stata tipa da piangersi addosso. Controllò l'orario: erano le undici passate! Quanto aveva dormito? Perché la sveglia non era suonata? Sul comodino c'era un foglio, lo prese in mano. Riconobbe la scrittura di Roxy.

"Oggi sei esentata dalle lezioni, riposati. Sono fiera di te, Roxy".

Kathy lesse il messaggio e sorrise, poi sentì lo stomaco brontolare: odiava saltare la colazione. Fece un profondo respiro e si alzò dal letto, mise un maglioncino addosso e inforcò un paio di infradito inoltrandosi per i corridoi vuoti dell'accademia. Erano tutti in classe: era sicura di non incontrare nessuno. Arrivò in sala mensa e cercò qualcosa di commestibile. Mise il suo bottino in un sacchetto: già che c'era perché non approfittarne per schiacciare un altro pisolino e tirare anche oltre il pranzo? Si sentiva così esausta. Non era qualcosa di fisico, ma di mentale: pensare a Tom la esauriva, la consumava come una pila. Riprese l'ascensore e si guardò allo specchio. Ripenso all'insistenza con cui Liv voleva farle abbandonare la traccia, supportata da Suzanne. Si sciolse la pettinatura davanti allo specchio: i capelli le caddero ben oltre le spalle, leggermente mossi e selvaggi. Odiava quel colore cinereo di cui erano diventati. Studiò disgustata lo specchio. Si infilò il laccio al polso e uscì nel corridoio diretta alla sua stanza. Si era appena avviata quando sentì delle voci.

«Alice sei davvero sicura di non volerti riposare qualche ora in più? Possiamo anche rimandare a domani il giro della scuola» diceva una voce femminile.

Kathy si affrettò verso la camera, si nascose dietro lo stipite, sbirciando dalla fessura. Mrs. Sullivan? Cosa ci faceva lì? Stava parlando con Angela.

«Sto meglio, davvero. Forse desidero convincermi che posso ancora fare qualcosa in questo mondo. Piuttosto il ragazzo come sta?»

«Sta dormendo, è in camera sua: starà bene, tranquilla. Tu ci hai fatto un immenso favore e noi ti terremo al sicuro.»

Kathy le guardò passare oltre la sua stanza. Il suo cuore batteva come un martello pneumatico.

«Vedrai che qui starai bene. C'è sempre molto da fare e non solo col programma. Questi sono tutti ragazzi a cui hanno rubato il futuro.»

«Sono contenta che siete arrivati voi per primi a Kathy» aggiunse Mrs. Sullivan seguendo Angela in ascensore.

Kathy aspettò che le porte metalliche si chiudessero e poi si precipitò in corridoio. Era talmente eccitata che le era passata la fame, ma arrivata davanti alla porta della camera di Tom si bloccò, indecisa. Provò a bussare, ma non udì risposta, allora aprì lentamente la porta. L'intera stanza era immersa nel buio, solo una lucina rischiarava l'ambiente. Studiò il volto di Tom, profondamente addormentato. Si avvicinò. Solo allora si accorse che aveva ancora la borsa col cibo in mano. La appoggiò lentamente a terra cercando di non fare rumore, ma la plastica sfrigolò. Trattenne il fiato: Tom si lamentò un attimo e poi si girò dalla parte opposta.

Kathy si sedette sul letto e si sdraiò accanto a lui sulle coperte. Studiò a lungo la benda che copriva una ferita sul lato della testa. Avrebbe tanto voluto accarezzargli il viso, ma la sua mano tremava e non riusciva a decidersi. La schiena le diede di nuovo una fitta, probabilmente la posizione che stava tenendo, semi sdraiata, non era la migliore. Si rilassò sulle coperte e appoggiò il viso sul cuscino. Provò a chiudere gli occhi e normalizzare il battito del suo cuore per resistere al dolore che le davano i nervi vicini alla colonna vertebrale. Si forzò di non emettere alcun rumore.

Fu il profumo di Kathy a svegliarlo in realtà. Per un attimo gli sembrò di sognare, poi si girò e nel dormi veglia vide il suo volto appoggiato al suo cuscino. Cosa ci faceva lì Kathy? Nel suo letto? Era reale? Se anche era un sogno: non voleva svegliarsi. Sorrise e le spostò una ciocca che le era caduta davanti al viso. Portava i capelli sciolti, come nella vasca e questo non lo lasciò indifferente. Indossava solo un paio di pantaloncini corti, una felpa con la zip aperta e sotto una canottiera leggera. Non poté fare a meno di fissare per un attimo le sue lunghe gambe da sportiva.

Kathy percepì i suoi pensieri e si mise a ridere: «Mi hai visto molto più nuda di così.»

Tom trasalì. Allora Kathy non stava dormendo! E lui non stava sognando! Non sapeva quale delle due affermazioni fosse la più sorprendente.

«Non starai arrossendo, per caso?» Era così contenta di poter guardare quegli occhi profondamente blu, puntati dritti su di lei, di percepire il suo desiderio.

«Si sta veramente stretti in questo letto in due» Non era esattamente ciò che stava pensando, ma non aveva il coraggio di esplicitare i suoi pensieri ad alta voce. D'altronde era inutile: Kathy li sentiva già.

«Perché non andiamo nella suite del quarto piano, è davvero molto più comodo quel letto, adoro quel materasso in memory form!» gli sorrise. «Non pensare male, io e Michael non ci abbiamo combinato nulla di improprio e, la seconda volta, ci ho dormito con Roxy.»

«Che ci facevi in quella stanza con Roxy?»

«Quattro chiacchiere su una dottoressa dall'indole sanguinaria.»

«Tu sei strana, Kathy Richardson. Te l'hai mai detto nessuno? Io comunque non posso alzarmi fino a domani, ordini di Mr. Lorenz.» Scacciò l'idea di Kathy e Michael in quel comodo letto. In realtà, non era quello il problema più grande. Era vero che la vasca era stata un bel momento, un ricordo tutto loro, ma in quella camera aveva trovato Kathy riversa sul pavimento con un pezzo di vetro conficcato nella schiena: era davvero troppo per lui.

«Perché non mi credi?»

«È solo che non lo trovo giusto: tu hai sempre modo di sapere se io mento e io, invece, sono tagliato fuori e non posso capire se tu ...» cominciò a protestare Tom.

Kathy si avvicinò e gli stampò un bacio sulla bocca, poi si ritrasse incerta. Tom rimase senza fiato per un attimo, poi si voltò verso di lei, stupito. I suoi occhi brillavano di un blu intenso. Voleva solo perdersi, sparire, tuffarsi dentro quello sguardo e non uscire mai più.

«Non sono sicuro di quello che ho sentito, ti va se riproviamo?» La prese tra le braccia e la portò a sé guidando quel bacio.

Kathy si mise ridere per un attimo, ma poi si lasciò trasportare. Tom non poteva credere di essersi spinto a tanto, ma non intendeva fermarsi o perdersi più un solo istante. Aveva fatto di tutto per tornare indietro e ora non voleva pensare a quello che sarebbe successo domani o il giorno dopo. Gli bastava starsene lì sotto le coperte con Kathy e che il mondo andasse al macero, se così doveva essere.

«Non sollevare il letto o cadiamo!» gli ricordò Kathy. Scoppiarono entrambi a ridere.

A più di 900 Km da lì, Michael strabuzzò gli occhi nella luce potente del giorno. Era steso su un divano blu, dalla fodera scalcagnata, da cui gli uscivano i piedi. Recuperò il panno e se lo mise addosso tremando. Non sapeva più se fosse l'infezione, la mancanza di cibo o i postumi dell'ennesima scorpacciata di acidi. Era un vero straccio. La televisione stava ancora trasmettendo, doveva averla dimenticata accesa. I giorni e le ore si erano sempre più spesso confusi nella sua mente: aveva perso il senso del tempo. Quando era arrivato in moto in quel rifugio, dopo il volo causato dall'onda di Roxy, a fatica era riuscito a trascinarsi lì sul divano: aveva lasciato strisciate di sangue sui tavoli, sulle porte, sul pavimento. Quel vecchio deposito di materiale di laboratorio universitario in cui era entrato con la tessera da internista di Alex ora sembrava il set di un film di Hitchcock. Aveva finito le scorte di cibo, non aveva soldi e aveva usato qualsiasi cosa avesse trovato per rattopparsi, ma senza molto successo. Allora, per riuscire a dormire era ricorso agli acidi: era rimasta parecchio della sostanza che aveva usato da mischiare col siero. Ero uno spreco buttarla!

Alzò il volume pigiando più volte sul vecchio telecomando. Per un attimo pensò di avere le allucinazioni: c'era il logo della Lotus Academy su quel canale. Cambiò frequenza, ma la situazione non migliorò; lo stesso logo comparve dopo pochi minuti. Rimase inebetito a guardare quello schermo: pareva un puzzle inventato da un pazzo con tutti quei pixel mancanti. La voce di una donna in sovraimpressione leggeva estratti di una petizione. Jacob Finnegan? Era veramente possibile che Kathy ci fosse riuscita, che l'avesse fatto? Sicuramente era un segno che era viva. Si guardò la ferita più grave che si allargava sul suo fianco: aveva davvero un brutto aspetto. Non aveva antibiotici e non poteva continuare a farsi per non sentire dolore. Doveva andare a prenderla! Ma come?

Poteva chiamare i suoi, ma suo padre l'avrebbe rinchiuso in qualche clinica a disintossicarsi dagli acidi, non gliel'avrebbe più fatta vedere, mai più. Poi c'era quel piccolo problema dei tre trafficanti uccisi. Non voleva passare il resto dei suoi giorni in una gabbia dorata. Era stufo di stare rinchiuso: studiò la foto della dottoressa Wolfe nel televisore. Alla fine, Kathy c'era arrivata anche senza di lui: alzò le spalle e si mise a ridere, poi iniziò a riflettere. In effetti, c'era un modo per arrivare a Kathy e portarla fuori da quella scuola, via con lui, insieme, finalmente. Forse poteva sfruttare quella petizione a suo vantaggio. Prese il tablet che aveva fregato al suo coinquilino, tolse la modalità aereo e cercò un numero sul sito del senato. Rimase in attesa ad un centralino per diversi minuti.

«Buongiorno, qui è la segreteria dell'ufficio della senatrice Wolfe, se è un giornalista le dico già che può andarsene al diavolo, non rilasceremo dichiarazioni.» La voce della segretaria era chiaramente esasperata.

«Non sono un giornalista. Vorrei solo parlare con la dottoressa Wolfe.»

«Mi dispiace, ma al momento è molto occupata a gestire un'emergenza, come penso avrà visto su tutti i giornali e le testate online.»

«Le dica solo che Michael Lorenz le vuole parlare e che può trovarmi a questo numero» poi salutò e chiuse la comunicazione. Si stese sul divano e attese sorridendo. Venti minuti dopo, quando il tablet squillò con numero privato seppe di aver fatto la scelta giusta.

«Michael sei davvero tu?» domandò la dottoressa da una videochiamata.

Il mutante abilitò a sua volta la videocamera, sorrise e la salutò con la mano.

«Mio dio, cosa ti sei fatto?» aggiunse vedendolo tutto pieno di tagli, lividi e ferite.

«Oh, questo? È stata Roxy... Un po' me lo sono meritato forse». In un certo senso era davvero felice di vederla.

«Hai un aspetto preoccupante, hai la febbre?»

«Forse un po'... ho anche esagerato con gli acidi, credo.» Si vergognava come un bambino scoperto con le caramelle in mano.

Helene Wolfe era un'amica di famiglia da tantissimi anni, non avrebbe mai confessato a nessuno che era stata lei a mutarlo. Suo padre non aveva mai chiesto e, di certo, lui non aveva mai pensato di andare a bussare alla sua porta. I suoi erano entrambi figli unici, non avevano molti parenti. La dottoressa Wolfe, col tempo, era diventata la sua zia di elezione: la persona che non mancava mai a uno dei suoi saggi di piano o alle sue partite di basket, mentre Mr. Lorentz era in viaggio per l'Europa per testare i cerotti che lo stato americano si era rifiutato di comprare preferendo istituire la "lista". Helene, senza figli né relazioni stabili, non aveva parenti a New York, così si era affezionata a lui. Prima era stata il suo braccio destro per le gare di scienze della scuola, avrebbe saputo elencare quegli esperimenti con tanto di anno in cui li avevano presentati e avevano vinto, ogni volta. Con l'adolescenza aveva sempre saputo con quale ragazzina usciva, lo copriva per farlo partecipare alle feste a cui il padre gli aveva proibito di andare perché l'alcol mischiato alle sue medicine per il cuore faceva un brutto effetto, gli prestava la macchina o gli dava qualche soldo extra. Era sempre stata il suo braccio destro. E quando i medici avevano alzato le mani e poi i suoi genitori avevano, infine, accettato il suo magro destino, lei, invece, aveva fatto l'unica azione sensata per salvarlo: l'aveva mutato.

«Michael! Andiamo! Da te non me l'aspettavo!» lo rimproverò la donna.

Il giovane alzò le spalle: aveva gli occhi lucidi. Un po' si vergognava a chiederle aiuto dopo tutti quegli anni, però questa volta era uno scambio, un contratto tra due adulti che potevano aiutarsi a uscire dall'impasse in cui la vita di entrambi era precipitata.

«Ho davvero bisogno di una mano adesso. Sono ricercato dalla polizia locale. Ho fatto un casino grosso questa volta. Mi è partita un'onda e ...» Non sapeva da dove cominciare.

«Mi racconterai ogni cosa quando sarai qui. Troveremo una soluzione, insieme, adesso mando qualcuno a prenderti, dove sei?»

«A Berlino. Non chiamare mio padre, ti prego! Lui mi rinchiuderebbe in una clinica come ha sempre fatto.»

«Non credo che al momento tuo padre sarebbe molto contento di sentirmi... Penso che abbia scoperto il nostro segretuccio» sospirò la donna.

Per un attimo le sembrò fosse sotto shock: si era persa a guardare il nulla o forse la stavano richiamando altrove. Dopo un attimo Helene si riebbe e si rivolse di nuovo verso di lui.

«Contatto l'ambasciata: troverò un modo per farti uscire dal paese sotto falso nome. Andrà tutto bene! Michael, zia Helene è qui per te.»

Il mutante fissò il tablet, sospirò e si stese sul divano finché non vide il volto della dottoressa scomparire. La televisione continuava a mostrare immagini delle sedi della Lotus Corporation e di suo padre; cancellò il viso di quell'uomo dal suo campo visivo e si concentrò sulle sue possibilità: aveva bisogno di rimettersi in sesto, ma poi avrebbe mantenuto la sua promessa. Sarebbe andato a riprendersi Kathy e l'avrebbe portata via da quell'inferno della Lotus Academy. Finalmente sarebbero stati soli, liberi e insieme, come due ragazzi qualunque.


---------------------------------------------------------------

Qui termina the Lotus Academy. Se siete arrivati fino a qui sapete che raramente metto spazi autore a fondo dei capitoli, anzi direi praticamente solo qualche nota, ma devo dirvi grazie se avete avuto la pazienza di leggermi fino a questo punto. So che non era ciò che vi aspettavate, ma se siete curiosi di sapere cosa succederà dopo, sarete felici di sapere che la storia continua! The Lotus Mutation è online e già disponibile.

Se vi fa piacere lasciate pure un commento sotto la storia sono davvero molto curiosa di sapere cosa più vi è piaciuto e cosa cambiereste, ritocchereste di questa storia.

Grazie Infinite.

Anna


Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro