Capitolo 15 - Serum

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River lo aveva ritrovato riverso a terra, con la faccia completamente immersa in una pozza di acqua fangosa. Quando lo voltò verso di sé quasi trattenne l'impulso di guardare altrove. Brick era sempre stato un bellissimo ragazzo, i capelli ramati lo rendevano talmente peculiare che attirava gli sguardi di chiunque, ovunque andasse. Vederlo in quello stato gli riempiva il cuore di una tristezza inimmaginabile.


La cavità oculare vuota aveva iniziato il suo naturale processo di infezione, dopo giorni interi trascorsi in quell'aria sudicia e senza medicazione. Il resto del volto era coperto di ferite, fango e sangue rappreso.


Girovagando per il ristorante del Mountain Top aveva trovato un cunicolo che sembrava portare alle fognature dello stabile, quasi stava rinunciando a scendere per controllare anche lì. Eppure, era inequivocabilmente lui, lo aveva trovato. River se lo caricò in spalla, facendo meno fatica di quello che pensava. Doveva aver perso molto peso.


«Ehi amico, riesci a sentirmi?» chiese River, picchiettando con la mano sul braccio del collega che ricadeva a penzoloni sul suo petto.


«Sì», bisbigliò Brick, in uno stato di semi coscienza. River ringraziò il cielo senza farsi sentire e prese a camminare il più veloce possibile verso l'ospedale.



Non pensava che si sarebbe mai più svegliata, eppure aprì di nuovo gli occhi. Sentiva la pupilla secca e particolarmente sensibile al raggio di sole che penetrava dalle assi di legno. Il primo pensiero fu quello di guardarsi intorno. Fortunatamente, Gufo non c'era.


Provò a mettersi in piedi, lentamente. Il pavimento sembrava fosse fatto di gelatina, ma cercò di mantenersi dritta fissando un punto preciso nello spazio della stanza.
Se tralasciava i vari acciacchi, – strascichi dovuti al dormire per giorni su un pavimento freddo senza mangiare -, poteva dire di sentirsi normale. Forse Gufo l'aveva solo drogata. Non che fosse un bene, ma almeno non l'aveva seriamente tramutata in una bestia sadica come pensava.
«Hai dormito bene, principessa?» chiese Gufo, allegro, facendo il suo ingresso nella stanza dalla porta principale. Incredibile come riuscisse a camminare indisturbato, in pieno giorno, senza che nessuno lo fermasse.


Anita lo fulminò sul posto con uno sguardo al veleno.


«Mi hai drogato?»
«Non lo farei mai», rispose Gufo, appoggiando un vassoio accanto a lei, a terra. Sopra c'era un piatto di uova strapazzate e bacon croccante, accompagnate da una tazza bollente di cappuccino. Anita non riusciva a staccare gli occhi dal vassoio, sebbene fosse maggiormente interessata a capire cosa diavolo le fosse successo.


«Puoi mangiare», comunicò Gufo, indicando il vassoio. Si diresse verso una sedia di plastica e si sedette, in attesa. Anita non se lo fece ripetere due volte. Si fiondò sul vassoio spazzolando tutto in due nano secondi.


«Ti sentirai male», la ammonì Gufo, stranamente protettivo. Anita riprese a fissarlo come se fosse impazzito.


«Puoi dirmi che cosa mi hai iniettato?»

«Una donna colta e informata come te, lo avrà già capito da sola».


Anita tremò. Quindi era vero, Gufo le aveva davvero somministrato il siero Rust. Eppure, non si sentiva cambiata in nessun modo.


«Ci vogliono giorni perché la mutazione avvenga completamente», comunicò Gufo, come se potesse leggerle la mente. Anita non escluse che fosse qualcosa che i Diversi sapessero fare davvero, ma in quel momento non era importante.


«Come hai potuto farmi questo?» mormorò Anita, spaventata.
Gufo la squadrò, perplesso.


«Pensavo che anche tu volessi stare con me per sempre. Da Diversa è più facile...»


Era completamente folle, pensò Anita, con l'ansia che montava sempre di più.


«Io non ti ho mai detto nulla di simile. Mi disgusti; mi hai sempre disgustata e ogni volta che ti avvicini ho paura», ammise Anita, quasi in un sibilo, «Come potrei voler passare anche un solo minuto di più insieme a te?»


Anita si rese conto troppo tardi che forse aveva esagerato con i toni, soprattutto considerando che si stava rivolgendo a uno psicopatico.
Vide Gufo rabbuiarsi e cambiare espressione. In un attimo, era tornato il Gufo torturatore che l'aveva tenuta prigioniera per mesi, facendole passare le pene dell'inferno.


Anita sentì i polsi che le tremavano. Iniziò a indietreggiare lentamente, ma Gufo la bloccò subito con un perentorio:


«Ferma».


Si immobilizzò, pregando che lui non scattasse facendole del male.
Poi, improvvisamente, realizzò. Lei era una Diversa, adesso. Forse sarebbe riuscita a tenergli testa. Anita si mise in posizione di attacco, pronta a sferrare il primo pugno in direzione del nemico.


Gufo non poté fare a meno di scoppiare a ridere.


«Vuoi fare a pugni... con me?»
Anita rimase impassibile, ferma nella sua posa. Non poteva rischiare.


«Dovevi pensarci bene prima di farmi acquisire i tuoi stessi poteri, Gufo».

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