Capitolo 35 - Cemetery Talk

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'Buongiorno a tutti voi, miei adorati telespettatori, dal vostro Daily District. È Joyce Campbell che vi parla'


Anita aveva acceso casualmente la televisione proprio in quel momento, rimanendo catalizzata dalla figura appariscente della presentatrice. Un tailleur rosa contornava la sua figura pingue. Era difficilissimo non notarla. Joyce mise su un'espressione triste, degna della peggior protagonista di film di serie b sulla piazza.


'Oggi abbiamo delle notizie davvero desolanti. Il dipartimento di polizia ci ha messo al corrente che il defunto magnate Alexander Restev ha ordito l'assassinio della stessa figlia, Natalia'


Sullo schermo passarono in una presentazione piuttosto grottesca una serie di immagini di repertorio di Natalia, il viso sorridente. In una delle foto era abbracciata a Brick. Anita sentì una fitta al petto e si costrinse a continuare a guardare. Lui sembrava spensierato, mentre con un braccio scompigliava amorevolmente i capelli di lei. Nonostante fosse una copertura, doveva volerle molto bene. Si vedeva dal suo sorriso. Anita si dispiacque di non aver mai avuto la possibilità di conoscere Natalia Restev.


'Una notizia davvero terribile che mette fine alle domande su chi avesse potuto compiere un tale gesto'


Mette fine proprio a un cazzo di niente, commentò Anita, trangugiando del caffè.


'I nostri beneamati guardiani, i poliziotti della centrale del Distretto, sotto l'esperta guida del caposquadra Rottemberg, sono già sulle tracce dei mercenari che avrebbero finalizzato l'atroce richiesta di Alexander Restev'


Anita fece il verso alle parole della donna, gettandosi di nuovo sul divano. La molla rotta le si infilò nella coscia e borbottò un'imprecazione fra i denti.
River rientrò a casa in quel momento. Non lo vedeva dal giorno prima, ma non gli fece alcuna domanda. Si limitò a fargli un cenno di saluto con la testa. River lasciò chiavi, maschera antigas e giubbotto nell'atrio e si gettò sul divano a fianco a lei.


«Di che puttanata stanno parlando?» bofonchiò, appoggiando i gomiti sulle sue stesse ginocchia, ingobbito.


Anita indicò il viso di Natalia, come se fosse tutto abbastanza palese. Dopo qualche minuto in cui il servizio alla televisione continuava a ripetersi all'infinito, utilizzando parole diverse ma reiterando lo stesso concetto, River sembrò aver chiaro il quadro della situazione.


«Quindi ci limitiamo a fare quello che vuole Jep Tucci, adesso?»
Anita sospirò, stancamente.
«È incredibile la tua capacità di mancare costantemente il punto del discorso».


River si alzò dal divano, dando accidentalmente un calcio al mobiletto accanto a esso. Trattenne una imprecazione dal dolore, ma proseguì fino alla cucina.


«Penso di aver capito fin troppo bene, Anita», berciò lui.
«E cosa avresti capito?»
«Ci stiamo tutti sbattendo per evitare che il tuo nuovo toy boy venga fatto a pezzi da Tucci».


Anita si coprì istintivamente il collo. Non aveva indossato la sciarpa quando River era rientrato, quindi la ferita era relativamente in bella vista. Il solo cerotto la copriva a stento, rivelando un evidente alone rosso che non lasciava spazio a molti dubbi.


«Toy boy... non essere ridicolo», sputò Anita, alzandosi e dirigendosi in camera sua.
«Non sono affatto ridicolo. Sto esponendo la realtà dei fatti».


Anita ritornò in cucina, gonfia di un sentimento che avrebbe potuto etichettare come orgoglio.
«Allora lo faccio anche io. Non sarai ridicolo, certo, ma sei sicuramente geloso».


Il gelo cadde fra i due. River sembrò paralizzarsi, immobile accanto al frigo, con un pacco di würstel in mano.
Anita accennò una risata, per smorzare la tensione che lei stessa aveva creato.


«Stavo scherzando, Ri», mugugnò qualche istante dopo, vedendo che lui continuava a non avere alcuna reazione.
River accartocciò la plastica che avvolgeva i würstel, astioso.


«Non c'è niente da scherzare. Sei una cretina, Anita», asserì, serissimo, prima di uscire di nuovo da casa.
Nel silenzio totale che la avvolse, Anita si diede effettivamente della cretina.



Il cimitero era invaso da una coltre di nebbiolina rossastra che le impediva di vedere a un palmo dal suo naso. Ricordava benissimo dove avessero sepolto Brick, però. I suoi piedi si mossero da soli per condurla precisamente in quel punto.
Sulla lapide nera era stato inciso, con lettere dorate:

Brick Ashton (2644 – 2674)
amico, collega e fratello

Anita si inginocchiò e fece scivolare le dita meccaniche lungo il bassorilievo delle scritte. La terra era brulla, e morta accanto a loro, arida e costellata solo di frammenti di ruggine e spaccature.


«Avrei voluto seppellirti in un bel campo pieno di fiori. Quelli veri, però», sussurrò lei, continuando ad accarezzare la lapide. «Mi dispiace così tanto, Brick. È tutta colpa mia».


Anita scuoteva la testa, evitando di fissare per troppo tempo le parole che erano state incise.
La squadra duecentocinquantaquattro era composta da fratelli, non consanguinei, ma era quello che sentivano di essere gli uni per gli altri.


«Ho fatto il solito casino con River», esordì lei, asciugandosi le lacrime che le stavano rotolando incessantemente giù dagli occhi verdi. «Tu lo dicevi sempre che era così scorbutico perché era segretamente innamorato di me».


Anita appoggiò la schiena contro la lapide e inspirò pesantemente. La ruggine penetrò a fondo nei suoi polmoni, ma ormai non faceva più alcun male.


«Non ti ho mai dato retta»
Un turbinio di pensieri le gravava sulla testa, come una spada di Damocle fin troppo affilata.
«Se lo avessi fatto sempre... se solo avessi testimoniato quando me lo avevi consigliato saresti ancora qui».


Anita nascose la testa fra le ginocchia e iniziò a singhiozzare sommessamente. Non ricordava l'ultima volta che aveva pianto in quel modo, senza alcun freno inibitorio. Le fece bene. Si rialzò da terra, scrollando la polvere in eccesso dai jeans neri con due sonore pacche e poi diede l'ultima carezza alla lapide.


«Buon riposo, amico mio».



'Ho deciso che agirò questa notte. Ho individuato dove custodisce il vero documento. Ti aggiorno'


Era il biglietto che aveva trovato incastrato sotto la porta. Sembrava scritto con una matita ricavata da un ramo intero, tanto la calligrafia era storta e calcata.
Anita se lo rigirò fra le mani qualche volta, prima di prendere l'ennesima decisione stupida di quella settimana e recarsi alla proprietà sotterranea di Jep Tucci.

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