Capitulo II

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Facto fermo proposito di stare alquanto tempo dal consorzio umano seperato, in una amena e solitaria villa non molto da Roma discosto mi condussi; et avendomi con meco alquanti giorni le mie miserande pene sfocato, acade una sera che, combattuto da molti varii e confusi pensieri, in un gran bosco ivi propinquo fui dalla nocte sopragiunto, nel quale elevato da remota considerazione, a meditare quanto nel sequente capitulo si contiene me dispose.

Capitulo secondo nel quale l'autore tracta de Dio, de' cieli e de fortuna e del destino, e ultimamente della miseria umana.

Febo era già for del nostro orizonte,
girando el carro aurato a l'altro polo,
che mal per lui volse guidar Fetonte (1):

i vaghi ucelli avèn postato el volo
con dolce canto, quando io mi trovai
in un gran bosco, lacrimoso e solo.

Ivi traendo d'infiniti guai,
rivolto gli ochii in alto al ciel sereno
a contemplar le stelle incominciai;

e per saper distinctamente a pieno
quanto dei cieli la virtù s'adopra
a bene e mal d'ogni animal terreno,

e si gli è ver che ciascuna nostra opra
da lor proceda e non da nostro ingegno
e che ogni effecto in noi venga di sopra,

io fece un presuposito e disegno
di contemplar con mente et intellecto
le stelle errante e ogni celeste segno.

E mentre ch'io fermava dentro al pecto
tal singulare et alta fantasia,
spesso mirando ogni supremo aspecto,

a me parve sentir una armonia
in la suprema spera che girava
tutti i pianeti per diversa via.

E mentre attento io considerava
qual fosse a noi propizio e qual contrario,
e si al nostro operar alcuno obstava,

vedeva el corso lor veloce e vario
per circuli distincti e proprio flesso
non de necessità ma voluntario;

doppio era e con tanto ordine commesso
al mobil primo ch'or verso occidente,
et or verso oriente avea reflesso.

La stupida, inquieta e vaga mente,
vedendo ordine in tanta differenzia,
esser facea me da me stesso absente,

fermo pensando quale intelligenzia
a l'instabil gir del gran firmamento
mai non porgesse del posar licenzia,

e como nel continuo movimento
rotando sempre con mesura equale,
fusse l'un segno presto e l'altro lento,

ma fixi: chi in figura de animale,
chi de monstro, chi d'altra cosa strana,
tal che a ciascun noto era el suo signale.

E ben che il sole in region lontana
porgesse luce a quel altro emisperio
che mai non vidde Arcturo (2) o Tramontana,

non m'era però piccol refrigerio
pensar come fra' segni reverito
discorra con mirabil magisterio,

e nel celer[e] volo et expedito
ogni giorno con suo perpetuo affanno
giri da l'indo al mauritanio lito,

et or rinveste et or dispoglia l'anno
furando nel cambiar de la stagione
el viver nostro con occulto inganno;

e come el suo splendor solo è cagione
porger la luce a sua cara sorella
che tanto già dilexe Endimione (3),

la quale ora s'asconde or se fa bella,
or dà luce a la nocte ombrosa e scura,
occupando el splendor d'ogni altra stella.

Donde la madre provida Natura,
per crescere e scemar quando se vede,
di prender le casone se assecura.

Ma perché sempre ogni effecto procede,
da la sua causa, al fin restai confuso,
ché senza ale el volar non se concede.

L'ingegno spesso sòl restar deluso,
se il senso a specular non è suo duce,
inalzandolo for del commune uso;

come io, mendico adunque e senza luce,
privo de senso, specular poteva
chi tanti varii effecti in noi produce?

E tanto più quanto cercar voleva
come da quel celeste ordine eterno
tra noi tanto disordin procedeva.

E però, vinto da un stupore interno,
la impresa abandonai per maraviglia,
non sapendo a chi dar nostro governo;

e fixe al ciel tenendo ambe le ciglia,
de pensiero in pensiero trapassando,
abandonai de la ragione la briglia,

e cominciai con ira, lacrimando,
a biasimar la nostra infelicitade,
che di concordia e pace ha sempre bando.

« Se quella alta e ineffabil maestade »,
dicea piangendo, « che tempra e corregge
el tutto con suprema potestade,

ad ogni cosa ha dato la sua legge,
sua misura, suo tempo , ordine e loco,
questa umana natura chi la regge?

Si Lui è, perché ne lassa essere in gioco
del cieco mondo, in tante amare pene,
morendo in terra, in acque, aere e foco?

Perché equalmente non comparte el bene?
Perché da i tristi sono oppressi i boni?
Perché iustizia qua non se mantene?

Se non è Lui, che porga tanti doni,
che infundi quella illuminata grazia
a far che 'l secul vano s'abbandoni? »

Così, in tal confusione prese audacia
chiamar per dea quella invida Fortuna
che mai de mutar stato non se sazia,

et affermar ch'ella, ceca e importuna,
nata de stelle, per voler divino
governi quanto è qua sotto la luna.

Poi come afflicto, misero e mischino,
trasportato da l'uno a l'altro errore,
saltai dalla Fortuna nel Destino,

e spento ancor più avanti dal furore
per considerar cosa più molesta,
in me sentio adoppiar pena e dolore.

La mente inferma et a vacillar presta,
m'indusse a dubitar se dapoi morte
l'alma, sciolta dal corpo, immortal resta,

e questa fu quella ultima e più forte
cogitazion che mi privò del senso
ogni cosa vedendo a caso e sorte;

e però spinto da un furore immenso,
a gridar cominciai con tal furia
ch'ancora abruscio e tremo quando el penso:

« O de mortali detestanda iniuria!
che l'om col proprio pianto quando nasce
subito ogni miseria e mal s'auguria!

Al mondo nudo vien, poi delle fasce
per conservar i membri è avolto e cinto,
sol con l'altrui mezanità si pasce.

Gli altri animal tutti hanno el suo d'istinto:
chi al corso, chi al natar, chi al volo è pronto
come più e meno da natura è spinto;

lui in questa valle de miseria gionto,
inerme e vinto iace mansueto,
quasi simili ad om che sia defunto.

Non è suo proprio istinto altro che 'l fleto,
sol tra tanti animali a pianger nato:
ah, de nostra natura impio decreto!

Benigna madre a tutti gli altri ha dato
pene, pungente spini, irsuto pelo:
de tanto ben sol l'omo ha separato.

Esce dal materno alvo senza velo,
povero, bisognoso d'altrui aiuto
per guardarse da vento, caldo e gelo;

carpon camina e stasse un tempo muto,
né sa pur chieder quello li bisogna
fin che in adulta età non è venuto.

Cresce nell'anni poi como chi sogna,
e uscito dalla dolce puerizia,
abandona onestà, tema e vergogna,

perché col tempo cresce la malizia,
la superbia, luxuria, ira e perfidia,
la ceca ambizione e l'avarizia.

Gli è ricco: orsù ognun li porta invidia;
gli è sano: infirmità lo expecta al varco;
gli è giovene: vechieza ognor lo insidia;

gli è virtuoso e d'ogni bontà carco:
sì ben, ma povertà li fa tal guerra
ch'oltra el dovere è nel suo viver parco.

Nessun felice mai se trovò in terra;
dunque l'umana specie è sempre in doglia;
se nulla è in ciel, chi more è for de guerra ».

E così dicto, una sfrenata voglia
mi venne de morire impetuosa,
ch'io fui per atterar l'afflicta spoglia,

e si per morte cruda e spaventosa
creduto avesse retrovar mia diva
che del mio male in ciel forse è pietosa,

la stanca carne arei de spirito priva;
la qual, noiosa de sua vita acerba,
vinta dal dol che ad or ad or sentiva,

cader lassòsi giù intra fiori e erba.

~~~

Parafrasi:

Apollo era già fuori dal nostro orizzonte,
voltando il carro dorato verso l'altro polo,
che Fetonte volle guidare con suo danno:

i bei uccelli avevano cessato di volare
con dolce canto, quando io mi ritrovai
in un vasto bosco, lacrimoso e solo.

Qui, ricavandone infiniti guai,
rivolti gli occhi in altro verso il cielo sereno
incominciai a contemplare le stelle;

e per conoscere pienamente e in modo distinto
quanto la virtù dei cieli opera
il bene e il male di ogni essere terreno,

e se è vero che ciascuna nostra azione
derivi da loro e non dalla nostra volontà
e che ogni effetto su di noi venga da sopra

io mi prefissi
di studiare con mente e intelletto
le stelle erranti ed ogni segno celeste.

E mentre che io racchiudevo dentro al petto
questa singolare ed elevata fantasia
guardando spesso ogni supremo aspetto

mi pare d'avvertire un'armonia
sulla sfera suprema che faceva girare
i pianeti tutti in una direzione diversa.

E mentre io consideravo attentamente
cosa fosse per noi propizio o avverso,
e se qualcuno s'opponeva al nostro operare,

vedevo il loro corso (dei pianeti) veloce e vario
per cerchi distinti e il loro movimento
essere volontario e non necessario;

(questo movimento) era doppio e provocato ordinatamente
da Dio, il primo mobile, che lo aveva riflesso
ora verso occidente e ora verso oriente.

La sciocca, inquieta e vuota mente,
scorgendo dell'ordine in tanta diversità,
mi faceva essere da me stesso assente,

mentre pensavo assorto a quale intelligenza
non concedesse mai di riposare
all'instabile giro del vasto firmamento,

e (pensavo) come in quel continuo movimento
ruotando sempre in misura uguale
fosse un segno (zodiacale) veloce e l'altro lento,

ma fissi: chi in figura di animale,
chi di mostro, chi d'altra cosa strana,
per modo che ciascuno conosceva il proprio segno.

E benché il sole (trovandosi) in una regione lontana
porgesse la luce a quell'altro emisfero
che mai non conobbe Arturo o Tramontana,

non m'era però di minimo sollievo
pensare come (il sole) fra tutti i segni il più riverito
si sposti con meravigliosa maestria,

e nel veloce e rapido volo
ogni giorno con perpetuo affanno
giri dall'indiano al mauritano lido,

ed ora veste ed ora spoglia l'anno
rubando ad ogni cambio di stagione
la nostra vita con nascosto inganno;

e (pensavo) come il suo splendore sia l'unica causa
della luce che dona alla luna, sua cara sorella,
che tanto già amò Endimione,

la quale ora si nasconde ora si fa bella
ora dona luce alla notte ombrosa e scura,
coprendo lo splendore d'ogni altra stella.

Da cui la saggia madre Natura,
per crescere e decrescere quando si vede,
si assicura di prendere per sé questa causa.

Ma poiché sempre ogni effetto deriva
dalla propria causa, io rimasi infine confuso,
perché senza le ali non è possibile il volo.

L'intelletto umano spesso suole rimanere deluso,
se la capacita d'indagare non lo guida,
innalzandolo fuori dalla consuetudine comune;

come potevo io, povero dunque e senza luce,
privo di quella capacità, indagare
su chi producesse tanti e tanti vari effetti su di noi?

E tanto più quanto volevo ricercare
come da quell'eterno ordine celeste
derivasse tra noi tanto disordine.

E perciò, vinto da uno stupore interiore,
abbandonai l'impresa per la meraviglia,
non sapendo a chi imputare il nostro governo;

e puntati entrambi gli occhi al cielo,
passando da un pensiero all'altro,
impazzì,

e cominciai con rabbia, piangendo,
a biasimare la nostra infelicità,
che mai conosce concordia e pace.

« Se Dio, quell'alta e ineffabile maestà »,
dicevo piangendo, « che modera e corregge
tutto con suprema potenza,

ha dato ad ogni cosa una sua legge,
una sua misura, un suo tempo, ordine e luogo,
questa umana natura chi la governa?

Se è Lui, Dio, perché ci lascia in balia
del cieco mondo, tra tante amare pene,
a morire in terra, in acqua, aria e fuoco?

Perché non divide in egual modo il bene?
Perché dai malvagi sono oppressi i buoni?
Perché la giustizia qua non si perpetua?

Se non è Lui, Dio, chi porge tanti doni,
chi infonde quella luminosa grazia
capace di far sì che la vana del mondo s'abbandoni? »

Così, fra tanta confusione mi feci audace
a chiamare dea l'invidiosa Fortuna
che mai non si stanca di mutare condizione,

e affermare ch'ella, cieca e importuna,
figlia delle stelle, per volere di Dio
governi quanto si trova qua sotto la luna.

Poi come afflitto, misero e meschino,
spinto da un errore all'altro,
passai dalla Fortuna al Destino,

e spinto ancor più oltre dal furore
nel considerare qualcosa di più ostile,
avvertì raddoppiare in me la pena e il dolore.

La mente inferma e incline a vacillare,
mi spinse a dubitare persino se dopo la morte
l'anima, separata dal colpo, resti immortale,

e questo fu quell'ultimo e più forte
pensiero che mi privò dell'intelletto
poiché vedevo ogni cosa dominata dal caso e dalla sorte;

e perciò spinto da un furore immenso
incominciai a gridare con una tal furia
che ancora oggi brucio e tremo quando ci ripenso:

« O detestabile ingiuria dei mortali!
che l'uomo quando nasce col proprio pianto
subito si augura ogni miseria e ogni male!

Viene al mondo nudo, poi dalle fasce
è avvolto e cinto per preservare gli arti,
e solo con l'aiuto altrui si nutre.

Gli altri animali hanno tutti il proprio istinto:
chi è incline alla corsa, chi al nuoto, chi al volo
così come è più o meno spinto dalla natura;

lui, l'uomo, giunto in questa valle di miseria,
inerme e sconfitto giace mansueto,
quasi più simile ad morto.

Non ha altro istinto che il respiro,
l'unico tra tanti animali che sia nato per piangere:
ah, empio decreto della nostra natura!

La madre benigna ha dato a tutti gli altri
penne, pungenti spine, irsuto pelo:
di tanto bene ha privato solo l'uomo.

Esce dal ventre materno senza un velo,
povero, bisognoso dell'aiuto degli altri
per ripararsi da vento, caldo e gelo.

cammina a carponi e per qualche tempo se ne resta muto,
e non è neppure capace di chiedere ciò di cui necessita
sino a che non è giunto all'età adulta.

Cresce poi nel corso degli anni come colui che sogna,
e uscito dalla dolce infanzia,
abbandona onestà, timore e vergogna,

perché col tempo cresce la malizia,
la superbia, lussuria, ira e perfidia,
la cieca ambizione e l'avarizia.

Egli è ricco: allora ognuno lo invidia;
egli è sano: allora la malattia lo aspetta all'angolo;
egli è giovane: la vecchiaia lo insidia ogni ora che passa:

egli è virtuoso ed è carico di ogni bontà:
è un bene sì, ma la povertà gli fa una tal guerra
che oltre il necessario è nella vita contenuto.

Non si trovò mai in terra alcuno che fosse felice;
dunque la specie umana è sempre nel dolore;
se non v'è nulla in cielo, allora chi muore è fuori dalla guerra ».

E così detto, una voglia sfrenata
di morire mi venne impetuosa,
tanto che io fui per gettare a terra il mio corpo afflitto,

se per una morte cruda e spaventosa
avessi creduto di raggiungere la mia dea (Beatrice),
la quale in cielo è forse pietosa del mio male,

avrei privato il corpo esausto dell'anima;
il quale corpo, stanco della sua vita acerba,
vinto dal dolore che ogni ora sentiva,

si lasciò cadere in basso tra fiori ed erba.

~~~

Note:

(1) Fetonte era figlio di Apollo, volle guidare a tutti i costi il carro del sole, nonostante il padre lo supplicasse di distogliersi da quell'intento, così, salito in cielo, per l'inesperienza alla guida causò gravi sconvolgimenti all'ordine del cosmo, e la terra, seccata ed arsa, invocò l'aiuto di Zeus, il quale pose fine alla vita di Fetonte con un fulmine che lo fece precipitare nel Po.
(2) Arturo è una delle stelle più luminose del firmamento, conosciuta fin da tempi remoti.
(3) Endimione era un giovane pastore la cui grande bellezza fece innamorare perfino la stessa Luna, la quale, secondo una leggenda, per poterlo ogni notte venire a baciare lo fece sprofondare in un sonno eterno.

[ continua... ]

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