2. Sul tetto

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CORRETTO

«Mi raccomando, sta' attenta. A dopo, socia» la voce di Matt rimbomba in tutto il corridoio mentre si avvia verso la sua classe, attraversando il corridoio, ormai vuoto, dalle pareti gialline e addobbato da vari cartelloni realizzati da ragazzi degli anni passati.

Sospiro alle sue parole. Vorrei tanto poter togliere questo enorme peso da sopra le spalle, da sopra al cuore, che giorno dopo giorno mi porta a stare sempre peggio.

A volte lo stomaco mi si chiude a tal punto che mi passa la voglia di mangiare; quasi ogni giorno lo passo dentro la mia camera a stringere forte il cuscino per colmare la sua assenza; le lacrime scorrono sempre più velocemente e piano piano stanno prosciugando quello che Matt chiama "spirito vitale".

E penso abbia ragione: ogni giorno che passa è sempre più difficile armarmi di sorriso e sfoggiarlo come se tutto andasse per il meglio. Vorrei solo che tutto questo finisca, vorrei poter decidere io quando mettere un punto a questa storia e manca davvero poco alla fine della frase...

E se c'è qualcosa che mi spinge a muovere le gambe per dirigermi verso la mia di classe, quello è sicuramente il soprannome con cui mi chiama Matt: "Socia".

Io e lui lo siamo sempre stati, abbiamo sempre fatto tutto insieme perché da piccoli ci siamo fatti una promessa: saremmo sempre dovuti esserci nel momento del bisogno per l'altro. "Se cadiamo, cadiamo insieme", mi aveva detto Matt, guardandomi dritta negli occhi e tenendo le labbra strette il una linea, che non facevano altro che accentuare le sue guanciotte paffute.

Poi ci siamo stretti la mano e siamo tornati a giocare al parco giochi in cui le nostre mamme ci avevano portati, stracolmo di bambini che facevano a lotta per poter avere la precedenza su una giostra.

Iniziare la settimana con una delle materie più odiate dagli studenti non è mai presagio di una buona giornata, ma la cosa che più mi turba non è la matematica in sé. L'incubo di questa lezione si chiama Andrew, uno degli amichetti di Dylan, che dall'inizio dell'anno non fa altro che darmi il tormento con qualche scherzo infantile, ma per lui esilarante.

Devo ammettere, però, che per tutto il lungo corridoio non ho fatto altro che pensare di saltare la lezione, ma a impedire il mio perfetto piano di fuga è proprio la professoressa che sembra attendere il mio ingresso sulla porta con uno sguardo corrucciato nascosto dai pesanti occhiali a fondo di bottiglia.

Alla vista di quella vipera faccio un rumoroso sbuffo e non mi resta che accomodarmi in classe, cercando il posto più lontano da Andrew. Con la coda dell'occhio noto il sorriso di quel ragazzo allargarsi sempre più alla vista del mio corpo. Chissà cosa avrà in mente oggi. Non si stanca a pensarne sempre una diversa? Che inutile spreco di energie.

A pensarci bene, se non fosse uno degli amici di Dylan, sarebbe anche un bel ragazzo: intensi occhi castani, capelli sempre super ordinati e del medesimo colore, uno sguardo bruciante e delle labbra carnose che potrebbero far cadere ai suoi piedi tutte le ragazze della città. Il suo fisico poi è da capogiro, come tutti i componenti della squadra di football.

I miei occhi studiano la stanza alla disperata ricerca di un posto lontano dal tavolo della professoressa, non ho proprio voglia di sentirla inveire contro chiunque faccia troppo rumore. Non chiedo tanto, solo una sedia e un banco che siano abbastanza nascosti per potermi fare gli affari miei ed ascoltare musica. Nonostante i miei sforzi, però, l'unico posto disponibile è quello in prima fila proprio davanti a quello di Andrew. Dannazione!

Passano i primi minuti, la prima mezz'ora e sembra proprio che la mia mente non voglia saperne di stare attenta.

Passo così quasi tutte le lezioni. Le voci dei prof appaiono sempre come flebili sussurri, sovrastati dal rumore incessante di tutte quelle parole, di quelle cattiverie che ho dovuto subire durante gli anni passati in questa scuola.

"La solitudine ti accompagnerà per il resto della tua vita" è una delle frasi più gettonate da Dylan per annientare il mio sorriso in quei giorni in cui, stranamente, sono felice per qualcosa. La cosa peggiore è che più mi sento rivolgere queste frasi disgustose, più la mia mente sembra convincersi che siano vere.

E se prima provare qualcosa mi faceva rendere conto di essere umana, adesso sprofondare nell'apatia più totale è l'unica medicina capace di anestetizzare quel dolore.

«Ei Bianca» alle mie spalle, una voce mi chiama per nome . Il primo istinto è quello di girarmi, ma nello stesso istante maledico me stessa per averlo fatto.

Infatti, un grosso pennarello indelebile nero mi sfiora la fronte prima che io possa rendermi conto di quello che stava accadendo. Credo che non potrò mai dimenticare gli occhi penetranti di Andrew fissi nei miei, mentre divertito disegna qualcosa sulla mia pelle, una lettera.

In pochi secondi sento gli occhi farsi lucidi e una lacrima rigare la guancia destra. Rabbia, tristezza, umiliazione e rassegnazione sono rinchiuse all'interno di quell'unica goccia salata che lentamente mi inumidisce le labbra. Scappa Bianca, questa è l'unica cosa che sai fare bene dice la mia mente.

In un secondo mi ritrovo fuori dall'aula del tutto frastornata con l'intento di correre in bagno a sfogare tutte le emozioni accumulate in classe. Mi rintano dietro alla prima porta disponibile e mi siedo sulla tavoletta chiusa del wc, con le mani in fronte mentre i singhiozzi echeggiano nella stanza.

Vengo riportata alla realtà da flebili picchiettii sulla porta.

«Che vuoi ancora da me, Andrew? Non ti è bastato umiliarmi così?» urlo, ma la voce tremante mi tradisce e quella che avrei voluto suonasse come una minaccia, risulta solamente una supplica.

«Non so chi sia Andrew, stai bene?» chiede una voce femminile e gentile. Da un lato sono sollevata dal fatto che non sia lui, ma dall'altro non faccio altro che rendermi conto di quanto possa risultare ridicola in questo momento.

«Si, tutto bene» mi affretto a rispondere mentre tiro su con il naso e mi asciugo velocemente le lacrime.

«Sicura? La mia esperienza mi ha insegnato che chi piange non sta del tutto bene, a meno che non siano lacrime di felicità. Non penso sia il tuo caso» la curiosità di questa ragazza mi sta irritando.

«Ho detto che sto bene, non ho bisogno d'aiuto» ripeto scontrosa.

«Okay, va bene. Mi chiamo Sophia comunque, Sophia White e sono nuova» sussurra appoggiandosi di spalle alla porta chiusa. Percepisco questo suo movimento dalle sneaker ben visibili da dove mi trovo.

«Sono Bianca» piagnucolo in risposta, giusto in tempo per sentire la porta che ci divideva dal mondo esterno chiudersi alle sue spalle.

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Non sono certa della quantità di tempo che ho passato seduta su quella tazza ma, dopo essermi ricomposta e aver cancellato il disegno aberrante dalla mia fronte, sono riuscita a trovare la forza di uscire da quel luogo poco confortante.

Ho bisogno di prendere un po' d'aria e non ho proprio voglia di tornare in classe e affrontare i compagni di corso, i quali non avranno mica perso l'occasione di farsi una bella risata alle mie spalle.

Per fortuna nella fuga ho avuto la prontezza di portarmi dietro le mie fidate cuffie, che ora sono incastrate nelle orecchie e accompagnano la mia passeggiata nei corridoi con della musica rilassante.

Senza accorgermene, giungo ad una strana porta che non avevo mai notato prima. La curiosità è troppa da essere ignorata e non ci penso due volte ad aprirla, nonostante ci sia scritto "Stay away". Inizio a salire i gradini in cemento, leggermente sgretolati laddove il tempo ha deciso di lasciare un segno, che mi dividono da un ulteriore pezzo di ferro con maniglione anti panico.

Spalanco il portone e vengo accecata dalla luce del sole che illumina questa frenetica mattinata. I palazzi in lontananza e la piccola porzione di verde tra essi mi donano un panorama mozzafiato, che purtroppo fatico a guardare dal punto in cui mi trovo.

Avanzo senza neanche pensarci, fino ad arrivare in prossimità del muretto. Una strana idea comincia a farsi strada tra i miei pensieri, così annebbiati che non mi impediscono di ergermi sul muretto. Mi mostro subito incuriosita dall'altezza e inevitabilmente finisco col guardare di sotto. Le persone sono così piccole da quassù e sembrano così tranquille, penso.

Il vento fresco mi scompiglia i capelli e una strana sensazione di pace e libertà invade ogni cellula del mio corpo. Mi sento leggera e senza preoccupazioni mentre allargo le braccia, come ad abbracciare ciò che mi si presenta davanti.

Ad infrangere la mia bolla di pace, però, è la strana presenza al mio fianco che non smette di fissarmi. Mi sta osservando. Mi volto velocemente e per un secondo sento l'equilibrio abbandonare le mie gambe, ma per fortuna mi ricompongo scossa da un brivido di paura di cadere.

Dylan è appoggiato coi gomiti al muretto e con gli occhi color ghiaccio mi scruta attentamente con un'espressione vuota.

«Fammi capire, io mi trovo in piedi sul muretto della scuola, perdo quasi l'equilibrio per capire chi mi sta stalkerando e tu non fai niente?» dico acida mentre con una mano tolgo le cuffie dalle orecchie.

«Si» risponde noncurante della mia espressione scioccata.

«E perché? Ah giusto, perché sei uno stronzo da sempre» urlo mentre sposto lo sguardo verso il panorama. I suoi occhi iniziavano a essere insostenibili.

«Giusta osservazione, ma non è solo per quello» risponde pieno di sé.

«Sono davvero lusingata di meritare non uno ma ben due motivi per cui non ti sei mosso al mio quasi suicidio»

«La verità è che non lo faresti mai. Le persone come te non hanno il coraggio di fare una cosa del genere. Sei una codarda» dice al solo scopo di ferire la mia anima già dilaniata da anni di cattiverie e bullismo.

«Vuoi scommettere?» lo sfido con lo sguardo e lui mi fa cenno con la mano di procedere, come se non gli importasse niente.

Sono arrabbiata e mi sento profondamente umiliata dal suo comportamento. Anche ora, in questo momento così delicato per me, Dylan riesce ad annientarmi. Vale la pena portare a termine un gesto così estremo solo per accontentare uno stupido ragazzino? Decisamente no.

Così, tutti i motivi per cui avevo intenzione di compiere quel gesto cominciano a sparire uno dopo l'altro.

Inspiro profondamente mentre scruto con lo sguardo l'altezza che mi divide dal marciapiede sottostante. La paura di cadere torna a farsi sentire, come se una piccola parte di me fosse ancora abbastanza umana da percepire un'emozione.

Lentamente scendo dal muro su cui mi trovo e solo dopo aver sentito il pavimento sotto la suola delle scarpe, mi avvicino al ciglio e ci appoggio sopra i gomiti. Torno a godermi della leggere brezza che fa ondeggiare leggere alcune ciocche castane.

«Lo avrei fatto sai? Se non ci fossi stato tu, intendo» dico rassegnata alla mie evidente codardia.

«Vuoi dire che la mia presenza ti distrae, principessa?» replica con tono divertito.

«Si, ma non nel modo in cui credi» mormoro acida mentre ascolto indignata la risata un po' troppo rumorosa di Dylan. Abbasso lo sguardo e gli concedo il tempo necessario a far tornare il silenzio tra noi.

«Che ci fai qui?» domando incuriosita dalla sua presenza sul tetto.

«È un buon posto in cui fumare una sigaretta in tranquillità» dice, tirandone fuori una dal pacchetto che ha in tasca. Lentamente la porta alle labbra mentre con l'altra mano tira fuori un accendino dalla tasca. L'accende aiutandosi con una mano a coppa.

«Quella roba fa schifo» dico, abbozzando un'espressione schifata. Anche solo l'odore mi fa venire la nausea.

«Tutto fa schifo, questa è una delle meno peggio» dice seccato buttando fuori tutto il fumo inspirato. Aspetta qualche secondo e poi fa una seconda aspirata.

Non avevo mai visto Dylan Collins così cupo, pensieroso. In questo momento mi sembra quasi che abbia abbassato leggermente la pesante maschera che porta sul viso ogni giorno. Sembra una persona dal cuore spezzato, che non riesce a superare il passato e questo lo sta logorando lentamente. Un po' come me, forse siamo più simili di quando avessi mai pensato.

Se non lo conoscessi e non mi avesse reso la vita scolastica impossibile, proverei quasi pena per lui. In questo momento però non posso proprio, perché i ricordi si schiantano ad alta velocità sul mio volto facendo un male cane.

Avevo ragione, non ha un cuore e sono stufa di tentare, tentare, per poi ferirmi un'altra volta, no grazie.

Questa breve discussione con lui mi ha fatto innervosire profondamente, devo andarmene. Non riesco a sopportare per troppo tempo la sua presenza vicino a me.

Velocemente e senza proferire parola giro i tacchi e mi avvio verso il portone di ferro che mi divide dalle ripide scale.

«Ciao ragazzina, bel confronto» dice alle mie spalle prima di scoppiare a ridere mentre con rabbia sbatto la porta, che segnala la mia uscita di scena.

Sono davvero incazzata, così incazzata che a malapena mi rendo conto di aver sbattuto contro qualcuno durante la mia fuga. Quando alzo gli occhi per capire chi è quel folle che ha interrotto il mio tragitto, mi si gela il sangue. Ora si che sei nei guai, Bianca. 

Spazio autrice 

Ringrazio la gentilissima @othersense17 per i suoi consigli ❤❤

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