26. Mi concede questo ballo?

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CORRETTO

<<Quindi avete fatto pace?>> chiede per sicurezza ancora una volta Matt a Sofy, mentre siamo sdraiati tutti sul suo letto. Per la prima volta ci siamo incontrati a casa sua per fare un lavoro di gruppo ma adesso stiamo facendo una pausa.

Sofy ci ha raccontato che con Dylan va meglio, le ha chiesto scusa per alcune cose e adesso è confermato che stanno insieme, gira persino la notizia tra i corridoi della scuola.

Spero solo che stesse scherzando quella volta, alla festa, ma se Sofy è felice sono felice anch'io per loro.

<<Si, basta segreti o robe varie... Mi sembra un sogno>>

<<Se lo dici tu>> dice Matt, alzandosi dal letto e dirigendosi all'enorme scrivania.

<<Riprendiamo a lavorare adesso, ho un impegno per dopo>>

<<Ha ragione, dopo devo incontrarmi con Dylan per recuperare le lezioni perse>>

<<Si, gli ho detto che sarei venuta anch'io, non disturbo vero?>> chiede Sofy mentre sposta la sedia girevole per sedersi alla scrivania.

<<No, assolutamente>> mento senza un secondo di esitazione. In verità è che mi sarebbe piaciuto lavorare da sola con lui così da poterci parlare un po', ma adesso sono una vera e propria coppia, non posso dire una parola.

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Dopo alcune ore, ecco che io e Sofy Insieme ci dirigiamo a casa di Dylan, l'unica casa libera per poter studiare.

Entriamo dentro questa casa enorme e a guardarla mi viene in mente Andrew che mi dice che ha bisogno di soldi. Strano, visto la grandezza di questa casa che potrebbe essere associata a chi i soldi non mancano neanche per idea.

Il silenzio domina dentro queste mura in stile super moderno, il salotto quasi totalmente in bianco così come la cucina sproporzionata e quel giardino con una grande piscina da far invidia.

Sofy lo bacia non appena si avvicina a noi per prendere i giubbotti e portarli poi da qualche parte.

<<Sei da solo?>>

<<Si, mia madre è via per lavoro e... Di mio padre già sapete>> dice la sua voce ovattata dall'altra stanza. Ci raggiunge, iniziando a salire le scale che si trovano più avanti.

<<Seguitemi e non vi perderete in questa enorme casa, inutile a mio avviso>>

<<Ti lamenti di abitare in una villa?>> dice Sofy in una risata e mentre sale rimane incantata dalla ringhiera lucente. Io continuo a guardarmi intorno.

<<Si, quando lo spazio è così grande ma solo per te, vorresti qualcosa di più concentrato, capite cosa voglio dire?>>

<<Si, credo di si>> rispondo io, ripensando alla mia casa, sede di tutti i ricordi più belli con mio padre. Lo faccio in modo distratto e solo dopo mi rendo conto di aver pensato ad alta voce. Ma sembra che non ci abbiano fatto caso più di tanto.

Arriviamo ad piano superiore e una marea di porte si vedono da questa angolazione.

<<Quindi passi la maggior parte del tempo da solo?>> continua Sofy, camminando per il corridoio e osservando con attenzione tutto ciò che la circonda.

<<Se per "maggior parte" intendi "tutto il mese", si, proprio così>>

<<Perché non è mai a casa tua madre?>> stavolta sono io ad essere curiosa.

<<Lei dice che è per il lavoro, ma io credo che lo faccia per starmi alla larga>> guarda altrove, forse realizzando solo adesso che probabilmente le sue parole sono così reali da fare male.

Io e Sofy ci guardiamo per una frazione di secondo, poi abbassiamo lo sguardo a disagio. Sofy lo affianca e gli bacia la guancia che gli provoca un sorriso di riconoscenza, ma secondo me è più vicino ad un sorriso distaccato.

Ci conduce a quella che dovrebbe essere la stanza degli ospiti perché dice che la sua camera è troppo in disordine per essere vista persino da se stesso, figuriamoci noi due.

Dentro la stanza, così come in tutto il resto della casa, non ci sono foto di famiglia o anche solo qualcosa che possa ricondurre a chi abita questa casa fatta di cemento ma non di amore.

Ci sediamo e iniziamo a dare lezioni a Dylan, con dei piccoli intervalli di 15 minuti.

Così finiamo con l'inizio del tramonto del sole e l'arrivo della sera. Dalla grande finestra completamente in vetro, osservo il cielo colorarsi di arancione, rosa e azzurro che sfuma in un blu tipico della sera.

Mentre i due piccioncini pensano a scambiarsi delle effusioni d'amore, facendo finta di nulla o pensando anche solo minimamente che non li possa vedere.

In realtà sono io che faccio finta di non vederli, sia perché non voglio sentirmi ancor di più terzo incomodo di come non mi stia già sentendo e perché mi da fastidio vederli così affiatati, potrebbero farlo altrove.

Vedendo che non finiscono di scambiarsi occhiate dolci e amorevoli, baci d'ogni dove, preferisco levare le tende per via dell'orario.

Dylan si offre di accompagnarmi fino alla porta.

<<Viene tuo fratello a prenderti?>>

<<No, vado a piedi>> annuisce e per la prima volta non sa come continuare il discorso.

<<Dylan, dimmi la verità, lei ti piace veramente?>>

Lui si guarda dietro le spalle, per assicurarsi che non ci stia ascoltando e quando ne è sicuro, mi risponde.

<<Si, Bianca, credo che sia la prima cosa bella che mi sia capitata dopo tanto tempo>> lo dice con sincerità, lo so perché glielo si legge dentro agli occhi e non so perché ma il mio stomaco fa una capriola.

<<Allora, non è vero quello che mi hai detto alla festa?>>

<<No, Banca, ero solo ubriaco, non mi ricordo nemmeno cosa ho detto di preciso>>

<<Ma ti ricordi della rissa>> gli faccio notare. Si sta arrampicando sugli specchi e lo si vede da lontano.

<<Non mi ricordo perfettamente cosa ho detto, tutto qui>> adesso mente e sorrido per l'aspetto carino che gli dona il ruolo da bugiardo.

<<Fa nulla, voglio solo che non la fai soffrire>>

<<Sta tranquilla, non accadrà>> annuisco per poi andare via.

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I giorni passano veloci, tra compiti in classe e stress post scuola. Vorrei un po' di tempo libero per me ma anche oggi sono costretta ad andare a fare lezione a Dylan e se le altre volte ero ansiosa di cosa sarebbe successo quella volta, adesso non mi andava proprio di vederlo. Ma come si dice, il dovere mi chiama.

Mentre cammino per il corridoio per posare i libri e dirigermi poi da Dylan che già mi aspetta in libreria, ecco che mi ritrovo il preside davanti agli occhi.

<<Anderson, che piacere rivederla>>

<<Anche per me preside, deve parlarmi?>>

<<Si, riguardo a Collins... Beh, è pregata di conferirgli che tra tre settimane esatte avrà l'esame di recupero>>

<<Ma non dovevano essere questo fine settimana?>>

<<Si, ma per una volta ho avuto pietà e ho deciso di dargli più tempo>> si sistema i pantaloni, alzandoseli, come fa di solito. Guarda l'orologio da polso e sbuffa, facendo alzare un ciuffo di capelli.

<<Ora devo andare, mi faccia sapere a che punto è>> comincia a camminare.

<<Va bene, buona giornata>> lo saluto e raggiungo Dylan che non trovo seduto al nostro tavolo solito, ma in uno dei corridoi tra gli scaffali, con le gambe completamente distese ed una sopra l'altra. In mano ha un libro, lo legge con attenzione e lo sfoglia toccando le pagine come fossero di vetro.

Lo raggiungo e mi siedo accanto a lui.

<<Che leggi?>>

<<Romeo e Giulietta, mi è sempre piaciuto questo romanzo>>

<<Non ti credevo tipo da storie d'amore tragiche>> sorrido e ottengo un'occhiata da parte sua.

<<Ti ripeto, ragazzina, non sai nulla di me>>

<<Invece si, abbastanza da sapere che hai bisogno d'aiuto>> chiude il libro in un colpo secco, facendolo rimbombare per tutta la biblioteca.

<<Riguardo a quello...>>

<<Sta tranquillo, ti ho già detto che non ti costringo a fare nulla, ma ti avviso che fa male tenersi tutto dentro, finirà solo col farti sempre più male>> mi alzo e gli offro la mano per aiutarlo. La guarda per un secondo, poi l'afferra.

<<Torniamo a lavoro, hai tempo altre tre settimane per sapere tutto alla perfezione>> ci avviamo verso il tavolo dove abbiamo lasciato i nostri zaini.

<<Tre settimane? Non era questo fine settimana?>>

<<Si, ma evidentemente hai ricevuto una grazia perché il preside ha voluto darti più tempo>>

<<Non sei stata tu, vero?>>

<<Giuro, non ho fatto nulla... Ora studiamo>> apro il primo libro che mi capita sotto mano ma lui non fa lo stesso.

<<Avanti, prendiamoci un giorno di vacanza dallo studio>>

<<Scherzi? Hai un esame da fare e tu pensi al divertimento?>>

<<No, sono serissimo, ho voglia di fare qualcosa che mi faccia morire dalle risate>>

<<Tipo?>> chiudo il libro e mi ci poggio sopra con i gomiti, i palmi delle mani che sorreggono la mia testa.

<<Non lo so...>> si mette a pensare, seriamente. E la cosa mi fa ridere perché pensa seriamente di trovare un modo per divertirsi da matti.

All'improvviso, come se si fosse risvegliato, il volto gli si illumina e riesco a vedere persino una lampadina spuntare sopra la sua testa.

<<Hai mai fatto uno scherzo a scuola?>>

<<Cosa? Assolutamente no e mai ne farò uno>> ho già capito cosa ha in mente ma mi rifiuto categoricamente di partecipare. Se lo venisse a sapere mia madre non so se me la passo liscia con due settimane di punizione.

<<Perché? Hai paura che ti possa scoprire la mammina?>> mi prende in giro utilizzando una voce alquanto fastidiosa, sottile, stridula.

<<Non è per questo>>

<<Ah no? E per cosa?>> domanda fintamente confuso, poi batte una mano sulla fronte come se avesse ricordato qualcosa <<Scusa, dimenticavo quanto tu sia noiosa>> batte le mani sul tavolo per darsi la spinta necessaria per alzarsi.

<<Peccato, è bello provare l'adrenalina che ti scorre nelle vene quando metti la carta igienica dappertutto o metti a soqquadro l'ufficio del preside...>> cammina all'indietro contando sulle dita della mano le infinite quantità di scherzi che si possono fare << Ma sta tranquilla, se non lo vuoi fare non ti biasimo, nemmeno io fossi al posto tuo distruggerei la mia immagine da studente modello>> sistema lo zaino in spalla, fa spallucce e torna a camminare come una persona normale.

L'ha fatto apposta, ho capito la sua tecnica, vuole mostrarmi tutte le emozioni eccitanti che si provano solo per convincermi... E direi che c'è riuscito parzialmente.

Vorrei restare ferma nella mia idea, ma il fatto che mi consideri noiosa fa scattare un campanello che mi costringe ad alzarmi e raggiungerlo.

<<Non sono noiosa>> grido e si blocca in mezzo al corridoio, poi si volta con un sorrisetto furbo sulle labbra.

<<Dimostramelo>> incrocia le braccia al petto e mi lancia uno sguardo di sfida. Io l'accetto e comincio a correre verso lo sgabuzzino dei bidelli. Lui mi segue a ruota.

<<Ma è chiuso>> dico tra le risate mentre continua a provare di aprirla.

<<Spostati, fai fare a me>> si china a livello della serratura, estrae un aggeggio dalla tasca del giubbotto e in poco tempo riesce ad aprire la porta.

<<A differenza mia tu nascondi tante qualità>>

<<Grazie, lo so...>> sorride fiero del suo lavoro <<Avanti prendiamo tutta la carta igienica che troviamo e spargiamola dappertutto>>

Ci armiamo di carta igienica, ridendo insieme per tutto il tempo finché non corriamo classe per classe per srotolare almeno un rotolo.

Corriamo per tutta la scuola con la carta che ci penzola dalle spalle o attaccata sotto le scarpe, Dylan addirittura con un pezzo che funge da collana e la porta orgogliosamente.

Arriviamo nella piscina della scuola e gettiamo alcuni rotoli in acqua, poi passiamo per il campo appendendoli per i canestri ed infine, quando tutta la carta è finita, torniamo a correre per i corridoi.

<<Dove andiamo adesso?>> gli chiedo.

<<Ho voglia di fare qualcosa che sogno da sempre>> comincia a fare qualche salto mentre corre, con la voce provata dalla stanchezza ma eccitata per quello che ha intenzione di fare.

Svolta l'angolo e subito si dirige ad un armadietto.

<<Di chi è?>> dico a fatica.

<<Vedrai>> estrae un pennarello indelebile nero dallo zaino e comincia a scrivere su di esso. Ci metto poco a capire di chi sia.

<<Odi anche tu Madison Martin?>>

<<Ovvio, chi non odia quella figlia di papà, viziata, barbie e sottona>> dice tutti gli aggettivi che la caratterizzano e nel frattempo li scrive sulla superficie metallica.

Io non posso non ridere.

<<Chissà che faccia farà domattina>> dico scioccata dal coraggio che ha nel farlo.

Si allontana e ammira la sua opera d'arte con orgoglio. Sembra persino che gli siano spuntati gli occhi a cuoricino.

<<La faccia che pagherei pur di vederla con i miei occhi... Ora andiamo, ci aspetta l'ufficio del preside da sistemare>> lancia un'ultima occhiata all'armadietto per poi prendermi per mano a dirigermi verso l'ufficio.

Entriamo senza troppi intoppi e giuro di aver visto luccicare di nuovo gli occhi di ghiaccio di Dylan. Si avvicina alla sedia e la scaraventa a terra.

<<Questo è per tutte le volte in cui mi hai chiamato qui senza motivo>> si dirige verso i suoi documenti e con una manata li fa volare di sotto.

<<Questo per aver convocato mia madre, disturbandola e condannandomi alla sua compagnia>> lo dice con una cattiveria nascosta nella voce e basta questo per farmi smettere di sorridere. Perché ce l'ha così tanto con sua madre? Cosa avrà mai potuto fare per farsi odiare? Nonostante tutti gli errori che potrebbe fare è pur sempre sua madre.

<<Che c'è? Non vuoi distruggere qualcosa a quell'uomo troppo convinto di sé?>>

<<Stai facendo tutto tu>>

<<Scusa, rancore>> sale sulla sua scrivania e ci cammina sopra.

<<Mi concede questo ballo, signorina?>> mi offre la mano, facendo un inchino. Sorrido e la afferro, salendo sulla cattedra ma quasi cado per aver messo un piede fuori dal bordo. Lui mi tira a sè ed evita di farmi schiantare al suolo.

Mi ritrovo con l'orecchio contro al suo petto e sono sicura di sentire il suo cuore aumentare di battito.

<<Cerchi sempre il modo di finire tra le mie braccia, eh ragazzina?>> mi stacco subito da lui e scommetto di essere diventata rossa in viso. Scelgo di non replicare perché non so come, mi ha lasciato a corto di parole.

Ma per evitare che possa pensare altro, mantengo fisso lo sguardo nel suo.

Rimaniamo in silenzio e questa vicinanza mi da la possibilità di poterlo guardare da molto più vicino e mi perdo in quelle mille sfumature di azzurro che li rendono particolari e attraenti.

Mi afferra la mano e mi guida in una capriola su me stessa e facendo massima attenzione di non farmi cadere di nuovo. Ha una presa salda ma gentile e delicata allo stesso tempo e dubito che mi lasci andare così facilmente. 

Mi sembra di non percepire più i suoni tranne quello del mio cuore che comincia ad aumentare di battiti producendo un suono simile a quello di un treno in corsa. Non riesco a fermarlo e quindi decido di concentrarmi su qualcos'altro: il suo odore. Ah no, nemmeno quello mi aiuta.

A distrarci e a rompere l'incantesimo, però, ci pensa a farlo la voce di qualcuno, del bidello più precisamente.

<<Cazzo, il signor Jones>> scende con un salto poi passa a far scendere me, prendendomi dai fianchi e sollevandomi finché non mi fa toccare di nuovo terra.

Si mette dietro al muro e cerca di vedere dove sia, io rimango dietro di lui.

<<Dov'è?>>

<<Non lo so, ma dobbiamo andarcene>>

<<Bene, torniamo di corsa in biblioteca>>

<<Ma sei pazza? Il trucco per non farsi scoprire è scappare dopo aver fatto lo scherzo, mai rimanere nella scena del crimine>> mi rimprovera a bassa voce, continuando a guardare fuori.

<<Che facciamo allora?>> dico e lui si volta a guardarmi.

<<Ti fidi di me?>>

<<Ti offendi se ti dico di no?>> scherzo ma lui alza gli occhi al cielo.

<<Sono serio Bianca... Ti fidi di me?>> mi offre una mano, che aspetta di essere presa. Lo fisso negli occhi come a chiedergli, anzi, implorandolo di non farmi pentire della scelta che sto per fare.

<<Si, mi fido>> la afferro e sorrido, anche lui lo fa.

<<Bene, preparati, il divertimento inizia adesso>> 

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