4. Ricordi

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Corretto

Non è possibile, non posso fare da tutor a Dylan Collins. Perché dovrei rimanere nella stessa stanza per ore con la persona che mi sta rendendo la vita impossibile dal primo istante in cui ho messo piede in questa scuola? Per di più dovrei aiutarlo a studiare perché altrimenti potrebbe rischiare di perdere l'anno, ma chi aiuterà me a sopportarlo?

Per fortuna neanche Dylan sembra avere voglia di passare del tempo con me. Questo un po' mi rincuora e allo stesso tempo mi fa sorridere.

«Signor Preside, mi scusi ma non aveva detto che per me avrebbe chiuso un occhio? Cioè dovrei poter uscire dalla sua porta senza nessuna conseguenza, perché mi sta punendo?» dico senza parole.

«Signorina Anderson, la sua non è una punizione» risponde lui calmo. Da dietro le mani congiunte riesco a scorgere un sorrisetto malvagio, che continua ad alimentare quella rabbia scatenata dalle sue parole.

«Come può non esserlo se mi affida il signor Collins come alunno?» chiarisco seccata, rivolgendomi con un gesto della mano verso il ragazzo seduto alla mia destra. Istantaneamente riesco a sentire il suo sguardo posarsi su di me e percepisco la pelle bruciare laddove il sguardo è passato, senza il mio consenso.

Scelgo di ignorare quella sensazione e di continuare a sostenere lo sguardo del preside, che mi ascolta attentamente da dietro quelle folte ciglia.

«Per una volta, e chiariamo che sarà anche l'ultima, sono d'accordo con lei» replica Dylan.

Per la prima volta dopo anni, sono felice di sentire la sua voce pronunciare sante parole. Combattere per la stessa causa mi fa dimenticare persino del perché lo odi così tanto, risultando ai miei occhi quasi come un amico.

Con questo non significa che ti voglio bene Collins, mi stai solo un po' meno antipatico.

«La prego, la scongiuro, mi metterò in ginocchio se serve. Ma non mi costringa a restare vicino ad uno come lui» ammetto frustrata.

«Che acidità Anderson, non ti mangio mica sai? Neanche io voglio stare con te» replica il mio compagno di condanna, incrociando le braccia al petto in segno di indignazione.

Sto per rivolgermi a Dylan, cercando di rispondere a tono alla sua affermazione ma la voce del preside tuona in tutta la stanza, rimbalzando da una parete ad un'altra fino ad arrivare alle nostre orecchie: «Ragazzi basta, silenzio!» batte una mano sulla scrivania che zittisce entrambi.

«Le decisioni qui le prendo io e qualsiasi rapporto abbiate voi due sono sicuro che riuscirete a migliorarlo» ci rimprovera puntando il dito prima contro l'uno, poi contro l'altra. Io e Dylan ci scambiamo un'occhiata gelida.

Il preside si ricompone, passandosi una mano tra i capelli un po' scompigliati per poi passare a sistemarsi prima il colletto della camicia, poi la giacca. Prende un bel respiro prima di poggiare nuovamente i gomiti sul vetro freddo del tavolo e congiungere le mani: «Le lezioni avranno sede nella biblioteca scolastica. Tutti i giorni dopo le lezioni. Non ammetto ritardi, non ammetto scuse e soprattutto non ammetto liti» conclude e, dopo averci congedato, io e Dylan usciamo dalla stanza chiudendoci la porta alle spalle.

Una volta in corridoio riprendo fiato ed inizio a elaborare la sentenza crudele che ci è stata appena comunicata. Ancora non riesco a crederci. Noi due, soli tra milioni di libri con storie più interessanti della nostra. Al solo pensiero mi vengono i brividi.

Respira Bianca, non scordarti di respirare.

«Sai, se fossi stata zitta a quest'ora non saremmo costretti a passare così tanto tempo insieme. Però magari potrebbe essere seriamente un buon modo per conoscerci meglio» dice Dylan alle mie spalle virgolettando con le dita le ultime parole. Giuro di aver visto un sorrisetto malizioso sul suo volto.

«E che cosa avrei dovuto fare Collins? Non potevo mica lasciarmi sfuggire l'occasione per vendicarmi. E poi non farti strane idee, ti prego. Il solo pensiero di doverti sopportare per due ore al giorno è già abbastanza sfiancante» ammetto esausta e senza riflettere bene su ciò che ho detto. Infatti, alle mie parole qualcosa cambia in lui e, dopo essersi bloccato in mezzo al corridoio, mi sento trafiggere dalla rabbia dei suoi occhi.

«Tu cosa?» si avvicina minaccioso a grandi falcate. E in pochi secondi si trova così vicino al mio viso che il suo fiato caldo mi sfiora le labbra leggermente screpolate e il un'ondata del suo odore di colonia mi invade come un uragano. Dagli occhi ridotti a due fessure escono lingue di fuoco, la mandibola è serrata e pugni sono stretti lungo i fianchi. Di nuovo quella sensazione di bruciore non poco indifferente sulla pelle.

Sapevo che prima o poi ti saresti messa nei guai per la tua maledetta boccaccia. Ora che lo sa tanto vale smetterla di mentire.

«Quando mi ha beccato sulle scale che portano al tetto, sono stata portata nel suo ufficio e mi ha detto che se avessi fatto il nome di qualcuno che saliva sul tetto abitualmente non sarei stata punita» rispondo tutto d'un fiato a pochi centimetri dal suo volto.

«E tu giustamente hai accettato» risponde a denti stretti, diminuendo sempre di più la distanza tra noi.

«Si e ti ho già detto perché» cerco di mostrarmi sicura di me stessa, ma la verità è che me la sto facendo sotto dalla paura. Senza rendermene conto, anche le mie mani sono strette in due pugni tanto da sentire il dolore delle unghie conficcate nel palmo, la fronte corrucciata e il respiro bloccato in gola.

I suoi grandi occhi cristallini continuano ad osservarmi attentamente da dietro quelle ciglia lunghe, fino a diventare davvero insistente, come se stesse cercando qualcosa dentro di essi.

Cosa stai cercando Collins? Non c'è più nulla da vedere in me... Solo un mucchio di macerie attorno a quello che dovrebbe essere il mio cuore.

Piano piano i tratti del suo volto si distendono, i muscoli delle spalle si rilassano e i suoi occhi si fanno meno indagatori. Poi, contrariamente a quanto pensassi, un sorriso inizia formarsi sulle sue labbra carnose che comincio ad osservare totalmente stregata dalla forza attrattiva che hanno.

Ne rimango rapita, rapita da un bellissimo e, allo stesso tempo, spaventoso sorriso a un centimetro dalle mie labbra. Continuiamo a fissarci per qualche secondo coinvolti da un momento che non riesco a spiegarmi fino a quando lui si allontana di scatto da me e comincia a camminare all'indietro. Un vuoto viene lasciato e il respiro sembra essere tornato.

Cos'è è stato? Perché non respiravo più?

«Ci vediamo domani ragazzina, sii puntuale» dice, con le guance ancora gonfie per via del sorriso. Prima che si volti mi fa l'occhiolino.

Che strano.

~~~~

Tornare a casa dopo una giornata di scuola non è mai stato così bello. Non appena varco l'ingresso mi fiondo in camera e mi butto sul letto sfinita, ma dopo qualche secondo sento qualcuno bussare alla mia porta.

«Sorellina, posso entrare?» chiede sottovoce mio fratello, sbucando da dietro la porta bianca di legno.

«Certo, siediti qui con me» rispondo mettendomi a sedere con le gambe incrociate, in modo da lasciare spazio anche a lui. La sua figura alta e slanciata ma dalla muscolatura comunque massiccia, vestito da dei semplici jeans chiari e una felpa grigia con una scritta nera stampata proprio al centro del petto, mi raggiunge in pochi secondi facendo piegare sotto di sé il materasso coperto da una trapunta bianca come il latte.

«È andata bene oggi a scuola?» mi chiede con un sorriso e sprofondando i miei occhi grigi con i suoi dal colore verde prato, lo stesso colore di quell'uomo che ci ha cresciuti da piccoli e che diceva di amare mia madre.

È così dolce quando si preoccupa per me. L'ha cominciato a fare seriamente da quando entrambi i nostri genitori hanno riempito le loro vite con altre cose, con altre persone, solo per dimenticare una parte dolorosa del loro passato.

Peccato che di quel passato facciamo parte anche noi, ed egoisticamente hanno preferito il loro bene al nostro.

«"Bene" non è proprio l'aggettivo che utilizzerei, ma ora che sono qui con te va meglio» lo abbraccio sorridendo. Un odore di casa mi invade dolcemente le narici, tipico del mio fratellone.

Stringimi fino a farmi male, Alex, cerca di ricomporre questi pezzi di me che non riesco più a far combaciare.

Solo fra le sue braccia mi permetto di essere tanto debole da lasciare che qualche lacrima bagni la sua maglietta, senza avere paura di essere giudicata o di venir sottoposta ad un terzo grado. No, Alex sa come farmi sentire bene e sa che a me basta la sua presenza.

E solo tra le sue braccia comincio a ricordare com'era la Bianca solare, estroversa e forte, facendomi ogni volta increspare le labbra in un sorriso malinconico. Io non sono più quella ragazzina, sono cambiata da quando i miei si sono separati.

Con Alex accanto, mi sento sempre super invincibile: è diventato la mia roccia, il mio appiglio sicuro, il posto perfetto per rifugiarmi quando il mondo continua ad infliggere coltellate al mio stomaco.

«C'erano tante foto prima, vero?» dice all'improvviso, sciogliendo l'abbraccio. Solo in quel momento vedo i suoi occhi verdi percorrere tutte le due mensole bianche attaccate alle pareti color confetto, in cui sono presenti solo alcune foto con Matt e alcune con lui.

Si alza dal letto e lentamente si avvicina alla scrivania in perfetto ordine, sopra la quale si trovano proprio le mensole.

«Hai ragione, un tempo quella mensola era stracolma di nostre foto. Tipo quella scattata due mesi prima del divorzio: a Disneyland» rispondo con una nota di amarezza.

Lo raggiungo in punta di piedi, consapevole del fatto che si trova immerso nei mille ricordi e quando succede, inevitabilmente finisce col ricadere dentro a quel vortice di domande senza una risposta.

«Come ha potuto farci questo? Non gli abbiamo dimostrato abbastanza affetto? Non eravamo abbastanza per lui?» chiede con un filo di voce, cercando di nascondere il dolore e la rabbia che prova in questo momento.

Il suo profilo, illuminato dai fasci di luce che filtrano dalla finestra alla sua sinistra, mettono in evidenza lo strato di lacrime che gli vela gli occhi e gli bagna le ciglia. Il labbro sottile inferiore inizia a tremare ma cerca di nasconderlo imprigionandolo tra i denti. E così iniziano a tremare anche le sue gambe, tanto da doversi appoggiare con i pugni stretti sulla superficie della mia scrivania.

Resisti Alex, tu sì che sei forte. Prima o poi passerà tutto questo, tutto questo dolore, tutte queste lacrime. Ma ti prego di restare forte: fallo per me, fallo per la mamma, fallo per te.

«Non è colpa nostra» gli rispondo in preda all'angoscia.

Cerco di consolarlo con un abbraccio da dietro perché, anche se non vuole ammetterlo, anche lui è ancora a pezzi e ha bisogno di essere ricomposto. Ha bisogno di quella poca forza che sono in grado di dargli per restare a galla e sorreggere al contempo me per non farmi affogare.

Alex non è consumato dal dolore, no, lui ha già passato quella fase. Quella che lo distrugge giorno dopo giorno è la rabbia. Lui è consapevole che per un uomo come nostro padre non si dovrebbe versare neanche una lacrima. Sono io quella che ancora non è riuscita ad accettare tutta questa situazione, sono io quella che ogni notte piange perché spera che suo padre un giorno possa tornare da lei e la sua famiglia.

Vorrei dire a quell'uomo che lasciarci è stato l'errore più grande della sua vita, ma non sono convinta di riuscire ad affrontarlo ancora. Sono passati ormai tre anni e mezzo da quando i miei genitori si sono lasciati e più passa il tempo più mi rendo conto che il mio desiderio di riconciliazione non potrà mai avverarsi.

Ogni giorno che passa mi sento sempre più sopraffatta dalle situazioni e dalle emozioni. Ricordo ancora i primi pianti e le prime crisi d'ansia quando non riuscivo a dormire senza il bacio della buonanotte di quell'uomo. Non che mia madre non mi desse l'affetto di cui avevo bisogno, ma da quando è rimasta sola è cambiata, non è più la stessa.

Chi si è sempre preso cura di me è Alex. Lui mi dava il bacio della buonanotte e sempre lui restava a dormire con me abbracciandomi fino a quando non riuscivo ad addormentarmi.

E quando il dolore diventava troppo da sopportare, Alex si chiudeva nel suo mondo, lasciando me fuori. Si chiudeva in camera sua, infilato sotto le coperte che gli arrivavano fino alle orecchie e raccolto su se stesso, come se cercasse disperatamente di mettere insieme i pezzi senza l'ausilio di qualcuno.

Non potevo accettare di vedere mio fratello soffrire più di me, prendere il mio dolore e trasformarlo in una risata spontanea, mentre lui moriva piano paino dentro. Così ho deciso di fingere perché se io stavo bene stava bene anche lui e mi bastava quel sorriso sincero che mi donava e che rendeva la mia giornata un po' meno schifosa.

Ho iniziato a chiudermi sempre più in me stessa, fino ad imprigionare il mio cuore dentro una cassetta e chiuderla con un doppio lucchetto. Ho imparato a contare su di me, a non aspettarmi molto dalla gente perché prima o poi anche le persone che ci vogliono bene ci feriscono.

"Niente emozioni Bianca, vivi e basta". Questo è il mantra che ripeto ogni volta nella mia testa mentre cammino per strada, mentre sono dentro la doccia e l'acqua mi scorre lungo la pelle candida, mentre provo a mandare giù un boccone e soprattutto mentre cammino tra la gente.

Ho smesso di essere quella Bianca che crede nei sogni, nel destino, nel vero amore o nel principe azzurro. No, adesso sono la Bianca che affronta la vita in modo maturo e razionale.

«Hai fatto bene a toglierle, Bianca» dice Alex all'improvviso, risvegliandomi dai miei pensieri. Tira su col naso e col dorso della mano si asciuga una lacrima che era scivolata lungo la guancia.

«Lui è solo un pezzo di merda che non merita le nostre lacrime, né le nostre mensole piene delle sue foto con noi. Ha deciso di andarsene? Ci ha abbandonato come se noi fossimo un peso per lui? Bene. Questo significa che anche noi dobbiamo farlo uscire dalle nostre vite. L'unica cosa che spero è che prima o poi si renda conto di quello che ha perso» afferma con amarezza, ma io so che sta dicendo queste parole solo per convincere se stesso che verso nostro padre prova solo odio.

In fondo gli manca, è la rabbia che parla al posto suo. Lo conosco troppo bene. Ma anche lui sa che non torneremo mai più una famiglia felice.

Senza dire nulla, si volta ed esce dalla stanza con ancora i pugni serrati lungo i fianchi e a grandi falcate.

~~~~~

Non ho mangiato molto a cena, non avevo fame, e ora mi sto preparando per godermi un bel bagno caldo, l'unico momento della giornata che dedico completamente a me stessa.

Mi spoglio, restando solo in biancheria intima e quando il mio sguardo si inchioda allo specchio, la poca felicità provocata da quell'istante di relax svanisce nel vedere lo stato pietoso in cui mi ritrovo. Occhiaie, occhi gonfi e un alone sbiadito sulla mia fronte che mi ricorda quello che ho dovuto sopportare questa mattina.

Prima o poi tutto passa, cambia solo il modo in cui affronti la cosa. Quindi non ci pensare, entra e goditi il bagno.

Dopo essermi asciugata e rivestita mi metto a letto, non prima di aver inviato la buona notte a Matt. Spengo il telefono, mi sistemo meglio sul cuscino e sento le palpebre calare. Quasi non mi accorgo che qualcuno si sta facendo largo nel buio della stanza. E' Alex.

«Buonanotte principessa. Ti prometto che smetterai di soffrire, sai di essere tu la più forte tra i due» sussurra tra sé e sé, come una promessa che è intenzionato a mantenere a tutti i costi.

No, Alex, sei tu il più forte. Io sono solo una codarda che si nasconde dalle sue emozioni, perché ha paura di essere delusa ancora, semplicemente di soffrire. Fallo smettere Alex, il petto fa male da morire.

Cerco di trattenere le lacrime mentre la sua mano gentile mi accarezza la guancia, prima di stamparci sopra un bacio ed uscire in punta di piedi pensando di non volermi svegliare.

E se questo è un incubo, Alex, ti prego svegliami subito. 

Spazio autrice 

Ancora una volta vorrei ringraziare @othersense17 per tutti i consigli ❤

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