10. Playlist anni '80 (I)

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Lullaby - The Cure

Zaira si svegliò piano, la luce che filtrava dalle tapparelle a colpirle le palpebre e a dare colore al mondo attorno a sé. Le ci volle qualche minuto per comprendere di essere nella sua camera, nascosta sotto il piumone ancora tiepido, mentre un sottile mal di testa e il desiderio di bere una cassetta intera d'acqua si destavano in lei, accompagnati dai ricordi della sera precedente.

Le fu necessario molto meno tempo, invece, per rendersi conto di essere sola.

Elia se ne era andato.

Dopo aver visto sulla sveglia che erano le dieci e mezza passate, si mise supina a osservare i poster appesi al muro sopra il letto tagliati dalle lame di luce esterne, con la mente che si rifiutava di processare il pensiero che l'altro l'avesse abbandonata così, senza dirle niente, dopo tutto ciò che era accaduto. Si concentrò sulle figure di Leonardo di Caprio e Claire Danes intenti a baciarsi e, con un impeto improvviso, si tirò in piedi sul materasso e staccò la cornice dalla parete, per abbandonarla sulle lenzuola rivolta verso il basso; stessa sorte tocco al poster di Irma la dolce, Vacanze romane e Harry ti presento Sally, e il folle ripulisti stava anche per colpire I segreti di Brokeback Mountain quando la nausea le risalì per la gola, costringendola a scendere e a correre in bagno, dove si chiuse per vomitare succhi gastrici e avanzi della cena della sera precedente.

"Che schifo..." mormorò, alzandosi a fatica.

Si sciacquò la faccia e i denti, cercando di non pensare a ciò che era successo nelle ultime ventiquattr'ore, ma più provava a scansare i ricordi, più quelli tornavano a ballare tra le sue sinapsi, accompagnati dal riflesso nello specchio che non si preoccupava di mostrarle quanto ci fosse di orrido in lei; si sentiva e vedeva sporca, con il pigiama a righe viola di Winnie the Pooh indosso e i ricci impazziti che le incorniciavano il viso cinereo e dagli occhi enormi e lucidi. Non fu difficile attuare un rapido confronto mentale con la compagna di Accademia di Elia, tanto diversa da lei, così come fu fin troppo facile il creparsi del volto. Si mise a piangere in silenzio e, dopo aver abbandonato lo spazzolino sul lavandino, si lasciò scivolare sul pavimento gelido, la schiena appoggiata alla porta.

Era normale se ne fosse andato, come poteva avere la forza di sopportarla dopo il pasticcio che aveva combinato? Eppure, una simile verità non la aiutava a stare meglio, ma la portava invece a piangere ancora di più e a desiderare di non essere mai uscita dall'Hemingway quella sera di fine gennaio. Oltre a smettere di bere, avrebbe dovuto anche abbandonare le sigarette, se erano state capace di trascinarla in una situazione simile.

Per un attimo si chiese cosa ci fosse di sbagliato in lei, e da una simile domanda colarono nuovi ricordi lontani che la portarono a tremare fin dentro l'anima.

"Non posso pensarci, non posso" si disse, serrando gli occhi e tappandosi le orecchie con le mani. "Non ora, non ora che sono sola."

Strinse talmente forte che la testa iniziò a dolerle e tutto il grumo mentale finì per concentrarsi solo sul male fisico, creando un miscuglio che la lasciò senza fiato e la portò ad alzarsi in un brusco singulto. Aprì il rubinetto dell'acqua fredda e si strofinò la faccia fino a sentire la pelle delle mani tirare a furia di cancellare non solo gli ultimi rimasugli della sbornia, ma anche i pensieri distruttivi rimasti impigliati tra le ciglia assieme alle lacrime.

Zaira decise che sarebbe stata una domenica come tante altre, che sarebbe andata in camera e avrebbe rifatto il letto, per poi mangiare qualcosa e mettersi a studiare, così da indirizzare ogni energia distruttiva verso qualcosa di buono e funzionante. Provò a scacciare come una mosca fastidiosa le parole di una persona che le aveva detto più volte di non comportarsi così, che non c'era nulla di male nel lasciarsi prendere dalla tristezza di tanto in tanto, e uscì dal bagno.

"Però forse dovrei richiamarla..." pensò comunque, dirigendosi in camera. "Vediamo come va."

Col cuore di nuovo gonfio davanti ai ricordi di alcune lunghe conversazioni avute una vita fa, la cura dell'acqua gelida che era servita a poco, entrò nella camera illuminata dalla luce del sole, pronta a nascondersi sotto il piumone e aspettare che tutto la scavalcasse, ma, quando alzò gli occhi sulla sua meta, si fermò all'istante.

"Ciao" mormorò Elia, seduto sul letto con indosso i jeans e una maglietta a righe, passandosi una mano tra i capelli scarmigliati. "Tutto bene?"

Zaira non riuscì a rispondere, con le labbra che le tremavano e le lacrime che, fuori controllo, le correvano sulle guance. Stava sognando, non c'era altra spiegazione, altrimenti perché mai lui si trovava di nuovo lì?

Elia, però, si alzò e le corse incontro, abbracciandola e sussurrandole all'orecchio parole a cui non riusciva a prestare ascolto, troppo confortata dalla certezza che invece , lui era in camera e la stava stringendo tra le sue braccia, si stava preoccupando per lei, stava provando a rimetterla insieme senza neppure saperlo. Ricambiò la stretta continuando a piangere, il tessuto della maglietta del ragazzo che le solleticò il viso, riempiendole le narici dell'odore di ammorbidente misto a sudore.

"Calma" le disse intanto lui, cullandola. "Non ti preoccupare."

Zaira annuì e si lasciò sfuggire qualche parola tra i singhiozzi. "Io... io pensavo fossi andato via, e non..."

"Certo che hai un'opinione bassissima di me." Elia le prese il volto tra le mani, alzandoglielo in modo che potesse vederlo negli occhi. Le asciugò un paio di lacrime con i pollici, guardandola con una dolcezza che le fece venire voglia di piangere ancora di più. "Ero andato a mettere su il caffè... e a frugare nella dispensa alla ricerca di cibo, ammetto le mie colpe" aggiunse con un mezzo sorriso. "Non potevo certo lasciarti senza sapere se stavi bene, non credi?"

Zaira provò a dire qualcosa, ma non riuscì ad articolare niente di sensato, tanto che il ragazzo la strinse ancora, donandole un ultimo abbraccio che le lasciò addosso un doloroso senso di mancanza quando si separarono a fatica.

"Magari... magari dovrei vestirmi, prima" riuscì a borbottare, ricordandosi le condizioni pietose in cui si trovava.

Elia scosse la testa. "Io invece trovo Winnie the Pooh particolarmente seducente, sai?" scherzò, per poi darle un bacio in fronte. "Andiamo a fare colazione?"

Un brontolio dello stomaco fu l'unica risposta che Zaira riuscì a dare.

"In che senso tua madre non vuole?"

Zaira smise di spalmare la Nutella sulla fetta di pancarrè, rimanendo col coltello sollevato a mezz'aria. "Dice che fa male... l'olio di palma e tutto il resto" rispose, alzando gli occhi al cielo. "Certe volte è un po' maniaca. Dovrò finirla prima di martedì, così non la trova quando torna."

Finì di preparare il panino, mentre Elia si versava dell'altro caffè guardandola sottecchi. Zaira fece finta di nulla, nonostante sapesse che il ragazzo, a un certo punto, avrebbe interrotto il piccolo giro di small talking in cui si erano avventurati per farle qualche domanda; gli si leggeva in faccia che era curioso, e lei non riusciva a decidersi se fosse peggio spiegargli come mai si era ubriacata la sera precedente oppure a cosa era dovuto il crollo a cui aveva assistito. Nel dubbio, mangiò il panino.

"Senti..." disse Elia, giocando con la tazzina piena. "Posso chiederti una cosa?"

Zaira sospirò e, annuendo, si mise a sorseggiare il caffelatte. Quanto odiava avere ragione.

L'altro, intanto, si sistemò meglio sulla sedia, per poi scuotere la testa e tornare ad allungarsi sul tavolo in granito, piantando i gomiti sul piano. "Cos'è successo ieri sera?" le chiese diretto, e una parte di lei apprezzò una simile schiettezza, nonostante l'idea di rispondere le faceva solo venire voglia di buttarsi giù dalla finestra.

Rimase in silenzio per un paio di minuti, alla ricerca delle parole con cui fargli capire come si era sentita, e alla fine si decise a fare un altro panino con la Nutella; avere le mani impegnate l'aiutava a parlare. "Mi sono sentita... inferiore, direi" disse, umettandosi le labbra. "Avevo già parlato con quella tua compagna di università e... non lo so. A vederti con lei mi è parso di essere ridicola."

"Quindi eri gelosa di Yukie?"

"Non ho detto gelosa" puntualizzò Zaira, sentendosi arrossire fino alla punta delle orecchie. "Io non..."

Elia, però, scoppiò a ridere, impedendole di concludere il vagheggio in cui stava per lanciarsi. Lo guardò con le sopracciglia aggrottate, senza sapere cosa fare, mentre l'altro appoggiava la testa sul tavolo, continuando a sghignazzare.

"Oh, ma cos'hai?" borbottò lei, abbandonando il panino davanti a lei. Si portò le gambe al petto, stringendosi sulla sedia, e lo osservò mentre si rimetteva composto, con ancora un sorriso sul volto arrossato.

"Tu non hai..." le disse, scuotendo la testa e trattenendosi dal mettersi di nuovo a ridere. "È una ace."

"Una che?"

"Asessuale. Anche aromantica, per essere precisi" specificò lui, osservandola con aria divertita. "Per carità, si attacca come una cozza a chiunque le stia simpatico, ma per il resto non desidera alcun tipo di relazione romantica o fisica."

"Ma..." Zaira lo guardò con gli occhi spalancati, ripensando al giorno in cui era andata a trovarlo in pinacoteca. "Ma lei... ma sembra così presa da te. Mi aveva detto che mi avresti rimpiazzata subito."

Elia scrollò le spalle. "È solo possessiva come una gatta" disse, per poi bere il caffè. "Per partito preso odia chi frequento."

Rossa dall'imbarazzo, Zaira tornò a mangiare, pensando che nella lista delle persone più stupide mai esistite lei rientrava di certo tra le prime dieci, se non addirittura cinque.

"Non ti facevo una persona gelosa, comunque" tornò alla carica il ragazzo, rompendo il silenzio.

"Io non sono gelosa."

L'altro le lanciò una lunga occhiata che la fece arrossire ancora di più.

"Forse un pochettino" ammise a bassa voce, prima di tornare a concentrarsi sul caffelatte sempre più freddo. Nonostante le sarebbe piaciuto affogarci dentro, trovò la forza di far proseguire la conversazione. "Poi vorrei vedere te, se ti avessero detto che saresti stato rimpiazzato presto. Ma che è, cambi una ragazza al mese?"

"Oddio, no." Elia scosse la testa un paio di volte. "Ma figurati. Mi è capitato di uscire con qualcuna nel corso degli ultimi anni, ma già di solito dopo uno o due appuntamenti lasciavo perdere."

Zaira tornò ad allungare le gambe sotto il tavolo, incuriosita dall'affermazione. "Mai avuto niente di serio?" gli chiese, seguendo con un dito l'orlo della tazza ormai vuota. "Neppure il primo grande amore a sedici anni?"

"Pensi davvero che a sedici anni si possa parlare di grande amore?" le domandò in tutta risposta, inclinando la testa e alzando le sopracciglia. "E comunque, no. Cioè, al liceo sono stato con una ragazza per un annetto, ma abbiamo deciso di comune accordo di lasciare perdere."

"Ginevra, quando si è messa con Davide, aveva quell'età lì" replicò Zaira, per poi mordersi la lingua. Dopo ciò che era accaduto, non erano di certo il miglior esempio da portare a sostegno di qualsiasi tesi.

"Mica sono i tuoi amici che si son lasciati?" le chiese infatti Elia. "E non vorrai dirmi che a sedici anni ti eri perdutamente innamorata di uno che ti ha spezzato il cuore?"

"No, a entrambe le domande." Zaira strinse la tazza tra le mani. "In terza liceo mi sono messa con un ragazzo più o meno quando i miei hanno divorziato, però mi ha lasciato due mesi prima della maturità e non proprio benissimo a causa di... cose, ecco."

Elia aggrottò le sopracciglia, rimanendo in silenzio. Anche Zaira rimase zitta per qualche minuto, chiedendosi se valesse la pena continuare. Non che ci fossero grandi segreti, solo che non le era mai capitato di raccontare di quel periodo a nessun altro, se non a Ginevra e, quindi, a Davide; Michele, invece, ne aveva vissuto di riflesso sulla sua pelle ogni momento.

"Niente di grave, comunque" si risolse a dire, nel tentativo di liquidare la questione. "Credo fossi innamorata più dell'idea di stare con qualcuno che di lui, e non mi fa molto onore. Ma tanto è finita da mo'..."

"E di me?"

Zaira si voltò a guardare Elia, che la osservava di rimando con fare malizioso; si poteva notare, però, dal modo in cui si torceva le mani e dal leggero rossore che gli colorava gli zigomi, che una simile domanda nascondesse un pizzico di ansia e paura di una possibile risposta. Tuttavia, lei non voleva sbilanciarsi e raccontargli tutto ciò che le era passato per la mente nel corso del mese precedente, non quando faticava lei stessa a capire cosa fosse. "Vieni da un'altra galassia" rispose, sentendo la bocca secca. Forse era anche troppo avergli detto qualcosa di simile.

"La stessa di Nathan Never e Harrison Ford?" le chiese, tirando un leggerissimo sospiro che faticò a interpretare.

Sentendosi di colpo molto a disagio sulla sedia, si alzò per sparecchiare, spostando tutto il necessario per la colazione nel lavello o nei ripiani della credenza. Stava giusto per nascondere la Nutella in un anfratto dietro a un pacco di biscotti integrali, quando Elia si alzò e l'abbraccio da dietro, lasciandole un bacio nell'incavo del collo.

"Dunque?" le sussurrò all'orecchio.

"Di certo..." Zaira si schiarì la gola, lo stomaco che si era attorcigliato su se stesso e le rendeva difficile respirare. "Di certo da una vicina. Molto vicina."

Lo sentì annuire, per poi girarla con delicatezza e costringerla a guardarlo negli occhi. Senza interrompere il contatto visivo, Elia si chinò su di lei e appoggiò la fronte sulla sua, strofinando la punta del naso col suo prima di annullare la poca distanza rimasta, donandole un bacio al sapore di caffè. Le venne da sorridere di riflesso, e rimase stretta a lui fino a quando l'altro si allontanò, infilando le mani nelle tasche con aria sconsolata.

Zaira, immaginando quali potessero essere le successive parole del ragazzo, si rese conto che non voleva se ne andasse, non ancora. In un modo del tutto egoistico, l'idea di trovarsi sola, senza di lui, le mozzò il fiato e la portò a uscirsene con la prima cosa che le venne in mente.

"Senti, non è che sapresti aggiustare una tapparella?"

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro