Go to Baker street

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"Sherrinford, si è fatto tardi, preferirei pranzare prima di andare da mio fratello Sherlock, che ne dici?"

Mio padre, con le gambe incrociate e la schiena rigida, sembra non toccare neppure il sedile mentre digita compito sul suo cellulare, dalla sua espressione sembra qualcosa d'importante. Messaggi governativi probabilmente o magari prende qualche ora di pausa per me. Distolgo lo sguardo dalla strada e gli rispondo contento, visto che sento lo stomaco brontolare.

"Va bene papà, sono affamato."

Ci fermiamo in un ristorantino italiano, poco prima di Londra. Un posto carino, tavoli apparecchiati con cura, linde tovaglie bianche e comode sedie. Pranziamo seduti in un angolo. Lui è decisamente attento alla linea, ordina degli alimenti light, io invece mangio anche per lui.

"Sherrinford! Ma sei incredibile, dove lo metti tutto quel cibo?"

Mi fissa, cerca di fare una faccia disgustata, ma si vede che è contento del mio appetito, almeno il mio stomaco funziona meglio del mio cuore. Gli sorrido, abbassando gli occhi e addentando la carne e le patate che mi sembrano il cibo più buono che ho assaggiato negli ultimi mesi. Però mi ha proibito la birra, così mi devo accontentare solo dell'acqua.

Mentre mangio, prendo coraggio, mi sembra il momento giusto per avere delle risposte visto che Holmes sembra essersi ammorbidito, percepisco in lui un barlume d'intimità

"Mycroft, chi è mia madre? Pensi di potermelo dire?" 

Sospiro incerto e mi sento imbarazzato mentre glielo chiedo. 

"Perché non mi avete tenuto con voi?"

Spezzetto il pane, lo riduco in briciole, faccio piccoli cumuli regolari, mentre aspetto con la testa china.

Prende pochi secondi di pausa, poi mi risponde con gentilezza. "È presto per darti delle spiegazioni. Ma credimi tua madre è stata il mio primo e unico amore. Eravamo troppo giovani e questo ci ha distrutto. Ci siamo allontanati senza un vero motivo, lei era incinta e non l'ho mai saputo."

Si ferma e prende dei respiri profondi.

"Lei era bellissima." Tormenta il tovagliolo, lo stringe con forza, poi lo ripiega mestamente.

Mi sento avvampare fino alle orecchie, sobbalzo ripensando alle ultime due frasi, e biascico incerto.

"Era? Ma è morta?"

Le mani di mio padre hanno un tremore, non riesce a guardarmi in volto.

"Virginia è morta un mese fa, un male incurabile. Ma prima di morire ha voluto raccontarmi di te e di essere stata costretta ad abbandonarti." 

Alza gli occhi grigi e mi fissa preoccupato. Devo essere impallidito perché mi allunga il bicchiere d'acqua.

"Si chiamava Virginia?" Mi esce un filo di voce, gli occhi mi si appannano.

"Sì, e credimi Sherrinford, ti voleva bene, nonostante abbia dovuto abbandonarti in quell'istituto, da solo." Si ferma ansimando. "Voleva rivederti prima di morire, ma non ho fatto in tempo a ritrovarti."

Si alza bruscamente mettendo fine alla conversazione, perchè una sofferenza profonda lo percorre,  la sua fronte è segnata da rughe scure, non riesce a continuare.

"Ne riparleremo più avanti, con più calma. Ora sei troppo fragile."  Ansima cercando le parole giuste. "E lo sono anch'io."

È in piedi in tutta la sua altezza, si nasconde nella solitudine con cui ha convissuto, mi aspetta e allunga la mano docilmente.

Per ora non posso far altro che afferrarla e assorbire una parte di quel dolore che lo blocca.

"Andiamo figliolo ci aspettano." Indossa nuovamente la maschera che per pochi minuti ho visto cadere e torna a essere l'uomo chiuso alle emozioni e senza rimpianti che ha imparato a essere.

Albert, che ha pranzato appartato, ci aspetta.

Mi assale il rimpianto di avergli chiesto di Virginia, ora la mia confusione diventa più grande. E le domande aumentano in modo esponenziale. 

Mi rifugio nel fondo del sedile con la testa in fiamme.

Partiamo per Baker Street che è praticamente nel centro di Londra, ma l'auto di Holmes non conosce ostacoli, potrebbe arrivare direttamente a Palazzo Reale. Oggi è come se avessi vissuto metà della mia vita in un solo colpo e adesso mi aspetta l'altra metà.

Non sono mai stato abituato alla gente, né tanto meno ad avere improvvisamente una schiera di parenti. Sono sempre stato solo, ora in poco meno di dodici ore ho un padre, so che non potrò mai rivedere mia madre Virginia, e ho una nuova famiglia.

 E sono anche malridotto. Sto dando proprio il massimo, in termini di stress e infatti mi agito.

Mi giro verso di lui che sta tormentando il cellulare, solleva il volto e mi fissa.

"Sherrinford, stai tranquillo! Sono brave persone. Calmati."

Ha imparato alla svelta a conoscere il mio stato d'animo.

Rotea gli occhi spazientito e io non mi calmo per niente. Mi metto le mani in tasca per nascondere il tremore che non vuole lasciarmi. Devo avere la faccia stravolta perché sbuffa e allunga la mano stringendomi il braccio.

"Smettila, non ti torturare, va tutto bene, se può farti sentire meglio vieni... appoggiati a me"

La sua voce è tesa, avverto il suo disagio ma ho davvero bisogno di sentire che non sono solo. Non me lo faccio dire due volte, mi sposto al suo fianco desideroso di sentire il suo contatto, lui avviluppato nel suo capotto costoso, mi passa il braccio sulle spalle e mi avvolge.

Mi sento uno stupido ragazzino, ma è bello sentirlo vicino, appoggio la testa sul sedile, socchiudo gli occhi cercando di riprendere la forza per affrontare il resto della giornata.

Lui inizia a parlare lentamente, la sua voce tranquilla mi calma.

"Ho chiamato mio fratello, sanno del nostro arrivo e che starai con loro per un po' di tempo. Tuo zio Sherlock è un consulente investigativo."

Parla in modo gentile tenendomi stretto, è sempre rigido incapace di rilassarsi ma sento che si sta sforzando o almeno che ci sta provando.

"Vive insieme al dottor Watson che lo aiuta nelle indagini. Loro, dopo vari tentennamenti, sono una coppia, spero che questo non ti crei delle difficoltà."

Si ferma, aspetta, vuole rassicurazioni su questo stato di cose, alzo la testa, lo guardo e annuisco.

"Non è un problema papà."

Continua contento. "Bene, hanno una bambina di nome Rosie, figlia di John." Vedo mio padre increspare le labbra preso dai ricordi. "Era sposato con una brava donna, che è morta in un disgraziato incidente. Tuo zio, beh, lo devi conoscere. È scombinato come tutta la famiglia Holmes." 

Mio padre ridacchia con naturalezza, mi vede sconcertato. 

"Beh alcuni sono bisex, ma non sta a noi chiederci come sono andate le cose."

Cerco di avere un atteggiamento convincente perché di certo la sorpresa è stata bella tosta. 

Ma non sono ostile a questi rapporti, all'istituto ne avevo conosciuti di ragazzi gay, alcuni erano stati degli amici sinceri.

Lui vede che sto imparando a gestire la mia nuova famiglia. Così mi stringe più forte la spalla.

"Tranquillo, ti avviso che hai anche dei nonni che sono molto peggio. Mio padre può passare, ma mia madre, Violet, ecco, sarà più impegnativa."

Ritira il braccio, scuote la testa, sembra dispiaciuto.

"Non li frequento molto per vari motivi. Ma ti spiegherò col tempo. Siamo una famiglia... complicata." Increspa le labbra, le rughe si fanno più accentuate sulla fronte ma finisce per sorridermi. "Dovrai imparare a sopportarci."

La berlina rallenta e si ferma. Mi spinge fuori senza tanti complimenti. "Forza ragazzo, iniziamo!" Ridacchia soddisfatto.

Saluto Albert di malavoglia e cammino dietro a Holmes che ondeggia il suo dannato ombrello come se andasse a una festa. Io sembro un condannato a morte.

Pall Mall era una bella casa, tranquilla e accogliente, ci sarei stato bene da solo insieme a lui. Però devo curarmi e stare con il dottor Watson, così sospiro, mi stringo nella sciarpa e mi rassegno.   

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