I ricordi del passato e il dolore.

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Mi risveglio intontito in un ambulatorio dove mi stanno medicando il volto e le mani, soffoco un lamento e mi sono subito vicini.

Non mi ricordo molto del viaggio in ambulanza, avvertivo il brusio delle voci intorno e il fastidioso rumore delle sirene.

"Bentornato tra noi, Sherrinford, stai tranquillo ci stiamo prendendo cura di te."

Un medico, probabilmente un chirurgo, mi osserva attento. Mi sorride bonario e ritorna a operare sulle mie mani. Sollevo un po' la testa cercando di inquadrare il posto. Lo riconosco è la clinica governativa dove mi segue Greg Foster.

Mi hanno denudato e infilato un camicione a righe imbarazzante.

Sono disteso con le mani bloccate, aperte, sembro un cristo in croce. Il dottore mi rassicura, alzando appena il capo.

"Stiamo togliendo le schegge e devi restare fermo. Non avere paura non hai niente di grave ma devi avere pazienza ragazzo, non dobbiamo lasciare nessun frammento in giro. Ci vorrà un po'."

Ma la pazienza è già finita, ho il timore di essere solo perché non vedo Mycroft e questo aumenta il panico. Non ho dolore, ma essere bloccato in quella posizione anomala mi spaventa, mi sento stringere per le spalle.

"Tranquillo, figliolo, sono qui!" Ruoto appena la testa e lo vedo seduto dietro di me, sono sue quelle mani che mi accarezzano e mi tengono forte.

Prendo un respiro profondo e mi calmo, socchiudo gli occhi consapevole che mi è sempre stato vicino come ha promesso.

Mi chiedo dove siano finiti i miei compagni di sventura. "Come stanno Anthea e Albert?" Chiedo schiarendomi la voce.

"Albert sta bene è in una camera più avanti. Ti ringrazia per quello che hai fatto." Sento la stretta delle sue mani farsi più netta. "Anthea presto ci raggiungerà."

"Non te la prenderai con lei, vero? Sono stato io a insistere per guidare la berlina." Sono convincente e deciso nel difenderla, lei non ha colpa della mia scelta.

"Lo so, sono al corrente di tutto. Ora stai tranquillo, lasciamo fare al dottore il suo lavoro."

Papà lo vede che sono agitato, stare in quella posizione mi rende nervoso, le mie gambe non fanno che muoversi, stento a mantenere la calma, mi sposto in continuazione, ho caldo e comincio a sudare.

Tenta di porvi rimedio, mi accarezza i capelli e sento il suo sguardo avvolgermi.

"Andrà tutto bene, Hayc, respira con me e stacca la mente. So che sai farlo, concentrati, entra nel tuo "palazzo mentale".

"Come lo sai papà, del mio posto segreto?" Sono stupito, come fa sapere del posto immaginario dove mi rifugio quando mi sento perduto? Si avvicina al mio orecchio. "Lo so, perché sei mio figlio e sei un Holmes." Sorride, mi accarezza l'unica parte della fronte pulita dal sangue.

Il medico lo lascia fare, probabilmente conosce bene Mycroft.

Le mani nelle spalle si stringono delicatamente, mi aiuta a respirare, in breve mi isolo e entro nel mio rifugio che lui chiama "palazzo mentale."

Non avverto più il tormento di essere legato, mentre si occupano dei vetri conficcati nelle mani e nel viso. Tutto quel posto scompare e diventa lontano. Uno strano benessere mi avvolge mentre sento la voce di papà che mi chiama. "Ascolta Sherrinford, questa storia ci riguarda." E inizia a sussurrare un racconto che diviene lentamente immagine riflessa.

Mycroft è seduto nella casa immaginaria che beve del tè sotto un pergolato di glicini. Parla con gentilezza, dice che si chiama Musgrave, la casa degli avi, dove il miele non manca mai.

È un posto bellissimo, accogliente e calmo che vivo attraverso i suoi ricordi. Appoggia la tazzina e si alza, mi invita ad andare dentro la vecchia magione sepolta dall'edera.

Percorriamo un lungo corridoio luminoso, saliamo la scala di legno fino al piano superiore.

Lo seguo dentro una stanza ordinata e pulita.

Un letto, perfettamente rifatto, una scrivania con pochi libri, dei puzzle di opere d'arte appesi alle pareti.

Può essere solo la sua. Prende un libro dalla scrivania con la copertina consunta.

Sfila una foto da dentro, me la allunga.

Mi tremano le mani mentre la afferro.

Fisso incredulo il suo ricordo. È una foto di lui poco più che ventenne abbracciato ad una ragazza con lo sguardo dolce che lo guarda rapita. Ha i capelli castani lunghi, gli occhi chiari. Tiene la mano appoggiata al suo petto.

E avverto la sensazione di conoscerla, di averla avuta sempre nel cuore: Lei è Virginia, mia madre, colma di un amore dolce e sereno. Mio padre mi guarda e sorride pieno di orgoglio, gli occhi grigi luminosi, confessa che lei mi ha sempre amato.

Si siede sul bordo del letto e mi invita ad avvicinarmi, rimango stretto al suo fianco con la foto in mano.

Racconta di quando al liceo si erano innamorati e avevano fatto all'amore convinti di non perdersi mai. Mycroft si stava diplomando, lei doveva finire la scuola.

La amava teneramente, tanto che percepisco il suo sentimento. Era un ragazzino che mi somigliava molto, stupidamente ingenuo, un lontano ricordo del Mycroft che sarebbe diventato.

E invece...ora lo sento teso, malinconico, sento le sue mani stringere più forte.

Lo zio materno, Rudy, decide di portarlo con sé a Londra.

C'è un lavoro prestigioso al palazzo del Governo dove ricopre un posto importante. È un'occasione unica, gli dicono che sarà per pochi mesi. I genitori acconsentono e lo mandano ad imparare. Non può che obbedire angosciato.

Lascia la casa a malincuore e il suo amato fratello Sherlock che si sente perduto senza di lui, pensando che non gli voglia abbastanza bene da rimanere.

A Virginia promette di tornare presto, ma non sarà così.

Non sanno di avere un figlio in arrivo. Sono semplicemente innamorati, ma Londra e il nuovo lavoro lo aspettano.

Quando i genitori di Virginia scoprono che è incinta, lei viene travolta dalla paura. Cerca di rintracciarlo, ma le fanno troncare ogni rapporto per evitare lo scandalo. Le instillano il dubbio che lui l'abbia abbandonata proprio perché gravida. La fanno partire, facendole credere che Mycroft non tornerà più.

Lui le scrive spesso, ma Virginia non riceve nessuna delle sue lettere. Zio Rudy rimanda sempre il ritorno di Mycroft a casa e lei si convince di averlo perso.

Partorisce lontano da tutti. I genitori le vietano di rivedere Mycroft. "Quel poco di buono che l'ha messa incinta." La convincono a darmi in adozione, avrò una famiglia che mi vorrà bene. E lei cede, finisco in istituto, ma prima mi tiene con sé pochi minuti, memorizza la mia voglia sul braccio, la pianta del piede ferita da un ago infilato malamente che mi lascerà una cicatrice. E mi dà un bacio, l'unico bacio che ho ricevuto da lei.

Una madre troppo giovane, per opporsi al destino.

Sento la voce di papà smorzarsi, il racconto si tinge di scuro, e la luce diventa fioca. Ma Mycroft continua, deciso a dirmi tutto.

Ricami di dolore danzano dentro alla stanza insieme a noi.

Le permettono di darmi un nome. Si ricorda delle lapidi bizzarre che c'erano a Musgrave quando si incontravano per stare insieme. Su di una la scritta "Sherrinford," come il primo avo degli Holmes, e decide per quello, un nome importante che deve ricondurmi a lei.

E io finisco in istituto, lontano dall'amore di entrambi.

Virginia non ritorna più per anni cercando di dimenticare. Abita in un altro stato cerca di andare avanti.

Mycroft di lei non sa più nulla, gli dicono che si è trovata un lavoro stabile, una vita serena, che non vuole più vederlo dopo il suo abbandono.

Mycroft è pressato dallo zio, preso a incatenarlo alla carriera politica, non riesce a rintracciarla. E si arrende.

Si chiude in sé stesso ,si costruisce un guscio protettivo, decide che l'amore e l'affetto non fanno per lui, si dedicherà alla sua famiglia, proteggerà suo fratello cercando un perdono difficile da ottenere. Sposa il lavoro, serra il suo cuore per sempre.

Il tempo trascorre e con esso gli anni.

Virginia viene a sapere che non sono stato adottato, non ho una bella famiglia come le avevano promesso, sono solo e abbandonato, tenta di rivedermi, ci riesce un paio di volte, ma non può fare nulla.

Mycroft si interrompe aspettando i miei ricordi e ora la vedo.

La donna minuta e solitaria, che stava seduta sulla panchina di fronte all'istituto.

La mente si è aperta. Ho visto mia madre e non lo sapevo.

Si era alzata, le era caduta la borsa della spesa e le arance erano rotolate complici. L'avevo aiutata, mi aveva guardato sorpresa. In seguito mi chiesi spesso, perché mi avesse ringraziato con gli occhi lucidi.

Ora lo so.

Mycroft continua lento, addolorato. La testa china.

Si ammala troppo presto, molto gravemente, prima di poter tentare qualcosa. Allora prende coraggio e rintraccia Mycroft, gli racconta tutto. È disperata, capisce che lui l'ha sempre amata.

Non ha avuto nessun altro dopo di lui, e Mycroft non ha più voluto l'amore.

Ha poco tempo, papà mi cerca per portarmi da lei, ma non riesce a trovarmi. Virginia muore tra le sue braccia mentre le promette di prendersi cura di quel figlio che avrebbe compiuto il miracolo di creare la loro famiglia.

Mycroft si zittisce, sbiadisce, sfuma in lontananza, non percepisco il suo respiro, ma forse sono io che non respiro più.

Il mio cuore sembra impazzito, prende a battere rapido, non reggo il dolore. Cerco mio padre, voglio afferrarlo, ma lui non riesce a tenermi.

Scivolo via.

Avverto reale la stretta sulle spalle, rumori e voci che chiamano il mio nome. E cado giù da Musgrave sprofondando, non percependo che il nulla.

Non so quanto tempo trascorro in un limbo fatto di ricordi che fluttuano e che non riesco a mettere a fuoco.

L'unica cosa che mi riporta indietro è quel bip insistente, che si infila fastidioso nelle mie orecchie.

Come una folgorazione improvvisa mi ricordo tutto, il dolore di sapere da dove vengo, di Musgrave, di Virginia e di quell' amore materno che non avrò mai.

Forse sono svenuto mentre mi curavano e mi vergogno di essere un ragazzino insicuro.

Sono intorpidito, ma sento il morbido del letto, niente più ambulatorio. Le lenzuola sono profumate, scivolose e morbide.

Apro lentamente un occhio e mi guardo intorno. Sono in una stanza di ospedale, c'è una finestra semi aperta, vedo le tende muoversi, c'è una debole luce esterna, però non capisco che giorno sia.

Le mie mani sono fasciate, ma ho miracolosamente le dita libere.

Il volto mi tira in alcuni punti, segno che ho solo dei cerotti.

Apro anche l'altro occhio, sono monitorato, ho gli elettrodi attaccati al torace, intravedo il monitor sulla mia destra che registrai miei battiti.

Mi agito e perdo la calma, mi muovo troppo, tanto che il macchinario va in allarme, comincia un fastidioso cicalino, che fa alzare di scatto la figura seduta al mio fianco.

"Sherrinford, stai bene? Sono Mycroft!" Mio padre, che non ha più nulla del glaciale Ice Man, sussulta e mi è subito vicino. È in camicia, la cravatta allentata, il suo vestito spiegazzato, e quel dolore dei ricordi sul suo volto segnato dalla stanchezza.

"Papà, cosa mi è successo?" Mi esce una voce afona che spaventa anche me.

"Quando ti stavano medicando, il tuo cuore ha fatto un po' di capricci. Ma ora stai bene." Mi sorride, allenta la tensione e prende il cellulare. "Avviso lo zio e John che ti sei svegliato, se ne sono andati da poco. Rosie ha bisogno di loro." Annuisco divertito pensando alla piccola peste.

Passeggia per la stanza rassicurando i parenti, poi mi raggiunge mentre chiude la chiamata. Mi osserva attento, misura ogni mio respiro, è in apprensione e non stacca gli occhi dai miei.

Sono in ansia per quello che mi è successo e chiedo con un filo di voce. "Ma sono peggiorato? Che ha detto Greg?"

"No, stai bene, ma certo lo stress è stato alto, e ha preferito monitorarti per un po'."

Si massaggia le tempie, so che soffre di emicrania, socchiude gli occhi per un breve istante.

"Papà stai bene?" Lo guardo preoccupato.

"Sì sta tranquillo, il solito mal di testa. Ci convivo da anni." Toglie le mani e mi sorride per non impensierirmi.

"Mi dispiace." Mormoro cercando di non subissarlo di domande.

"Sono stato già ampiamente sgridato, Sherrinford, per quello che ti ho causato." Sospira cambiando espressione, si è portato alla fine del letto, stringe le mani sul freddo metallo della sponda fino a farle sbiancare...

"Che colpa puoi avere, se un bastardo voleva rapirmi." Affermo con rabbia.

"Ed è questo il problema! Dovevo proteggerti, essere presente, non lasciare che ne venissi fuori con le tue forze e guarda a quale costo." Scuote la testa indicando il mio volto ferito.

"Non è così che volevo la tua nuova vita, invece ti ho trascinato nel mio mondo. Dove le persone che mi stanno intorno, non sono certamente amichevoli."

Un'ombra scura gli offusca gli occhi, sembra sfinito.

"Smettila, non mollare papà, sai che ho bisogno di te." Ora che so la verità, posso capire il dolore che porta dentro e rispetto quello che ha fatto per stare con me, e c'è una cosa che mi incuriosisce.

"Come hai fatto a farmi vedere il passato, come hai reso i ricordi così vividi?"

Prende colore e sorride soddisfatto. "Te li raccontavo, li sussurravo mentre eri dentro al tuo palazzo mentale. Tu li elaboravi e hai visto la verità."

Un tacito accordo di distensione passa tra noi e ci avvicina.

"Papà, ho visto e ho capito, non angustiarti più." Fa una smorfia, inclina la testa come sa fare solo lui e ridacchia.

"Sei stato bravo, veramente coraggioso. Chi aveva mire su di te dovrà ricredersi."

Ora il sorriso è disteso, quasi piacevole.

"Tipo Auberton? Il tuo collega serpente?" Si sorprende, ma nemmeno più di tanto.

"Coraggioso e perspicace!" Ride finalmente sciogliendo la tensione, e come fa di solito, si aggiusta la cravatta e si rimette in ordine.

"Vado a prendermi del tè, ne vuoi?" Esclama con una ritrovata sicurezza.

"Sì papà, mettici pure due biscotti insieme." Mentre fa per uscire, cerco di consolarlo perché ha ancora le spalle pesanti.

"Virginia era bellissima." La butto lì, strozzato. Lui annuisce, la mano aggrappata alla maniglia, non dice nulla. "Eravate innamorati e questo mi basta."

"Lo ero, e lo sono ancora, Sherrinford, poi tutto è andato storto. Ora lo sai. Ho deciso di dirtelo così, in un modo poco consueto." Gli trema la voce, e afferma con convinzione.

"Mi sei rimasto tu di quell'amore. Cosa posso volere di più Sherrinford? Credevo che la mia vita fosse chiusa e invece..." Esce senza voltarsi e mi lascia senza fiato, il suo cuore di ghiaccio non è mai stato così caldo.

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