La diagnosi.

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L'auto di servizio è già fuori che aspetta. Albert mi saluta, gli rispondo cordialmente, Holmes fa una smorfia, naturalmente non approva certe mie libertà con i suoi sottoposti.

Io però non sono uno snob, non mi piace tenere le distanze. Mi accomodo al fianco di Mycroft, lui si tiene sempre un metro più in là. L'unico contatto è il profumo del suo dopobarba e degli abiti freschi di lavanderia.

Rabbrividisco e mi stringo nella vecchia giacca troppo leggera per quel periodo dell'anno. Sento Holmes muoversi. Apre il suo cappotto costoso e si toglie la sciarpa.

"Prendi questa, mi ero dimenticato del tuo abbigliamento poco adeguato. Almeno ti scalderà." La voce si è fatta gentile, mi osserva curioso.

L'afferro senza protestare, lui è ben coperto lo stesso. La metto attorno al collo e la annodo malamente.

Borbotta qualcosa. "Fatti aiutare." Mi guarda terrificato da tanto orrore, mi sistema la sciarpa al millimetro, con un intreccio impeccabile. Ha il suo profumo e mi sorprendo nel sentirmi protetto.

È strano come ci studiamo, come prendiamo le misure del nostro essere. Rimango muto, e guardo fuori dal finestrino. Mi mordo le labbra nervoso, odio gli ospedali. Ci sono stato quando tre ragazzi all'istituto mi fratturarono la tibia. Fui stupido perché scoprii i loro intrallazzi, ed ebbero paura che li tradissi. Fu un avvertimento, nemmeno troppo velato. Rimasi ricoverato per un po' e non mi piacque per niente.

Così tengo le mani in tasca, perché tremo di paura e non voglio apparire ridicolo.

Ma lui gira appena la testa. Ha percepito qualcosa, ha l'aria dispiaciuta. Mi accorgo che forse sa più di quanto io creda, il British Government ha il potere d'intrufolarsi nella vita di tutti, soprattutto nella mia.

La sua voce si fa gentile, abbassa la testa. "So cosa hai passato Sherrinford, so molte cose su di te. Credimi mi sento in colpa, mai avrei voluto abbandonarti. Un giorno ti spiegherò tutto, pazienta ancora un po'." Si aggiusta il bavero e torna a fissare la strada, non mi permette di replicare.

Il viaggio si fa silenzioso, nessuno dei due inizia una conversazione, neppure una breve o insignificante. È come se non ci fosse alcun punto d'incontro. Comincio a temere di aver fatto la scelta sbagliata nel seguirlo.

Guardo fuori dal finestrino, la strada scorre veloce ma io neppure la noto, in breve entriamo in una struttura governativa austera e ben protetta.

"Eccoci arrivati." Mi guarda titubante. "Va tutto bene?" Nascondo le mie paure, mi esce un sì deciso.

Scendiamo e lo seguo con le mani ben strette nelle tasche. Lui mi precede dondolando il suo ombrello. Forse ama solo quello. A me resta la sciarpa con il suo profumo.

 Il posto è grande, c'è un immenso parco. Scorgiamo un imponente edificio vittoriano con le colonne e le scalinate di marmo. Si intravede qualche soldato in divisa e alcune infermiere che portano a passeggiare i degenti.

Camminiamo lenti, ma per quanto cerchi di controllarmi, mi sento improvvisamente in trappola e mi incollo sul viale di ghiaia.

Holmes non se ne accorge e continua, ma non sentendo i miei passi si gira di colpo e mi vede cinque metri più indietro.

Pianta l'ombrello per terra, ci appoggia tutto il corpo, mi guarda torvo.

Sbotta seccato. "Sherrinford, per piacere! Non fare il bambino." Non so perché sento l'impulso di andarmene, e lui non mi aiuta granché. Forse capisce, si muove, ritorna indietro e ci ritroviamo vicini.

Ma la voce tradisce una durezza offensiva. "Basta ragazzo. Vedi di sbrigarti! Non ti faranno nulla di male. Pensa che è per il tuo bene."

Quelle poche parole mi fanno male, perdo il controllo e gli urlo tutto il mio disprezzo. "Non è per il mio bene! È per te che lo fai, non lo vuoi un figlio malato!" Ho bisogno disperatamente del suo aiuto, ma lui non sente nulla, non afferra il mio disagio.

Diventa glaciale, mi afferra il braccio e mi stringe da farmi male. Poi mi lascia di botto, amareggiato.

"Non voglio ascoltare quello che dici, non ti permetto di giudicarmi, non sai nulla di me. Questo è un comportamento stupido e infantile. Andiamo e non dire più nulla. Non una parola." Ci studiamo, non distogliamo i nostri occhi. Cedo per primo e lo lascio fare. Si è arrabbiato più di quanto mi aspettassi.

Ma ha un ripensamento, mi si avvicina e quasi mi scorta. Non accenna a toccarmi, è come bloccato. Ammutolisco a questa mancanza di contatto fisico e penso che manchi di empatia.

Saliamo per entrare nello studio del suo amico medico. Un posto lussuoso, governativo, come tutto il resto della struttura.

"Salve Greg, l'ho letteralmente trascinato qui. Questo è mio figlio Sherrinford, di cui ti ho parlato. Tra poco, spero, anche Holmes. Fanne ciò che vuoi." Gli è sfumato via tutto il risentimento o forse finge bene.

Greg Foster è il tipico medico da manuale: capelli sale e pepe, faccia cordiale, occhi attenti nascosti dietro occhiali di marca, un camice dal bianco abbagliante. Si conoscono bene loro due, si stringono la mano e sorridono divertiti vedendo il mio imbarazzo.

"Accomodati Sherrinford. Chiamo l'infermiera e andiamo nel mio ambulatorio." Il dottor Greg non sembra arrogante, è più alla mano di quanto mi aspettassi.

Mi siedo sulla poltrona di pelle, ma ci sto poco perché l'infermiera entra quasi subito e mi trascina nella stanza vicina. Mi fa spogliare e sdraiare nel lettino. Poi mi toglie una provetta di sangue. Stringo i denti per non fare la figura del bambino, ma mi ha pizzicato per bene. Chiudo gli occhi quando esce e respiro più forte.

 Perché ho accettato tutto questo? Devo essere stupido! Per un padre difficile, per nulla affettuoso che non riuscirà ad amarmi. Mi si inumidiscono gli occhi, cerco di riprendermi in fretta.

Il dottore entra quasi subito. Mi osserva, io cerco di evitarlo. Mi sento a disagio perchè non mi piace essere denudato, sono sempre stato pudico.

"Sei magro, mangi abbastanza?" Greg è professionale, prende una cartella e scrive. Il suo modo di fare gentile non mi mette in imbarazzo, così mi apro e gli racconto tutto.

Gli rivelo la quantità di problemi che ho avuto, come ho vissuto le privazioni di quegli ultimi anni, le botte che ho preso dentro all'istituto. La gamba e le due costole che mi hanno rotto nelle risse. Le cinghiate dei genitori adottivi, troppo severi.

Annuisce in silenzio. Si ferma per pochi istanti, mi sorride guardando le mie mani bianche strette sul bordo del lettino.

"Va tutto bene, Sherrinford, rilassati, cerco solo di capire come stai." Mi fa stendere e mi scombina i capelli con la mano, un gesto inusuale, che mi lascia sorpreso. Non succedeva di sicuro con il medico dell'istituto, che era disattento e frettoloso. 

Mi esamina con attenzione, mi guarda la schiena, controlla la gamba dove sente l'osso saldato. Poi percorre tutto il mio corpo, trova qualche livido. Mi sente il torace e mi fa male quando preme dove avevo le ferite delle percosse. Non lascia un centimetro indietro. Vede le braccia e i buchi. Si sofferma con la mano e li sfiora.

"Cosa prendevi, cocaina diluita o altro?" Sospira interdetto, stringe le labbra.

"Quello che trovavo dottore ma cercavo di non eccedere. Il dolore a volte era insopportabile." Mi stringo le braccia e trattengo il respiro.

"Parli del dolore delle fratture che hai subito?"

"Non solo quello, spesso pensavo all'abbandono, al perché mi avessero respinto. La droga mi stordiva e mi faceva stare meglio. Era facile da trovare. A volte bevevo, cioè bevo anche adesso." Scuote la testa, ma non è arrabbiato.

"Quando ti sei iniettato l'ultima?"

"Tre settimane fa." Tremo e arrossisco, lui è rassicurante, mi fa una carezza leggera sulla schiena.

"Hai sopportato molto, ragazzo mio, ma vedremo di alleviarti il tormento."

Lo vedo pensare assorto.

"Sherrinford, vediamo il tuo cuore quanto ha sofferto. Non ti spaventare, l'uso della droga non gli ha fatto bene. Ma possiamo sempre rimediare."

Sento il sangue non arrivare al cervello e impallidisco. Sono in panico totale e non riesco a nasconderlo. Greg, mi prende le mani che non smettono di tremare.

"Tranquillo, ci sono molte cure e in più hai un padre che ti sarà vicino." La sua voce è calda.

"Non lo conosco dottore, non so come reagirà a tutto questo." Continuo a torturarmi le mani. "Forse mi ha abbandonato per molto meno."

"No, Sherrinford, conosco bene Mycroft. Non sapeva di essere padre. Non è da lui lasciare indietro un membro della famiglia, soprattutto un figlio." Mi tocca il braccio con leggerezza. "Ha protetto suo fratello che abusava di queste sostanze persino più di te. Pensi si tirerà indietro? No, ragazzo mio, non te lo toglierai più di torno. Anche se non lo sai, o non lo vedrai." Mi sorride e mi aiuta a stendermi.

l'ECG è indolore e veloce, ma vedo la sua faccia seria. Il tracciato fa schifo da come lo studia.

"Vestiti ragazzo, parliamo con tuo padre nel mio studio."  Mi dà una pacca affettuosa sulla spalla ed esce. 

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