Una concorrenza spietata

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Henry si infilò in una laterale della 45a Strada. Aveva avuto una pessima idea a uscire di casa nell'ora di punta. A New York non puoi muoverti liberamente senza venire imbottigliato nel traffico nemmeno se ti sposti a piedi. Stava solo perdendo tempo, e non ne aveva molto a disposizione. Rimpianse di aver accettato quella richiesta, ma non vi era altra soluzione: quel Mark Tiffany non poteva assolutamente entrare nel suo laboratorio. La ricerca di tutta la sua vita non poteva esse messa a repentaglio da un giornalista, nemmeno se si fosse trattato del caporedattore del New York Times.

- Per fortuna - si disse - sono quasi arrivato. -

Non gli sembrava vero di sentire il calore del sole sulla pelle. Da quando aveva lasciato la fredda e umida Londra, aveva trascorso tutto il suo tempo chiuso in laboratorio.

Nel frattempo era arrivato al numero 25 di Connor Street. Suonò il campanello. Riconobbe al citofono la voce che lo aveva contattato per telefono. Il portone di ingresso si aprì: era atteso al ventisettesimo piano. Qualche secondo dopo, le porte dell'ascensore, si aprirono, scoprendo un giovane elegantemente vestito, che lo aspettava.

- Lei dev'essere il dottor Henry Jekill! - esclamò l'uomo tendendo la mano.

- Esatto. Suppongo invece che lei sia il signor Tiffany. - rispose lo scienziato.

- Certo. Venga pure. -

Il giornalista lo accompagnò all'appartamento e lo fece accomodare.

- Grazie mille. Non vedevo l'ora di sedermi. Sa, non lascio così spesso il mio laboratorio. -

- Lo immagino, dottore; ma sono io a doverla ringraziare. Innanzitutto per avermi concesso questa intervista; inoltre la prego di voler ... -

- Senta, signor Tiffany, non vorrei sembrare scortese, ma avrei molto lavoro da fare, quindi se non le dispiace, io inizierei subito con le domande. -

- Ma certo. Allora comincio. - il giornalista si schiarì la gola, in palese soggezione. Non si aspettava tutta quella fretta. - Dunque, lei viveva a Londra fino allo scorso mese, come le sembra la città di New York? -

- Il primo aggettivo che mi viene in mente è frenetica: c'è talmente tanto traffico e tanti pedoni che non ci si riesce nemmeno a muovere. Il clima invece è tutta un'altra cosa: il sole non mi fa rimpiangere per niente la nebbiolina che scende fitta tra le case, nelle sere londinesi. Infine, qui negli Stati Uniti posso disporre di maggiori mezzi scientifici e tecnologici, che prima potevo solo sognare. -

- Bene, ha introdotto il tema del lavoro. Lei è uno scienziato di fama internazionale, uno dei cervelli più brillanti del ventesimo secolo. Cosa può dirmi sui suoi esperimenti? -

Jekill si rabbuiò in volto:

- Niente, la concorrenza è spietata, e i miei studi devono rimanere un mistero: ogni parola che trapela su questa cosa è di vitale importanza e non può essere divulgata. - certo di avere ottenuto l'atmosfera che voleva, si giustificò:

- No, scherzavo, davvero. Altrimenti che senso avrebbe concedere questa intervista? -

Sapeva che gli americani apprezzavano molto l'umorismo, anche se gran parte delle loro battute non facevano per niente ridere. Il giornalista confermò la sua tesi scoppiando in una fragorosa risata:

- Dottore, che spavento mi ha fatto prendere! -

Questi rise a sua volta e cominciò a spiegare:

- Vede, io penso che il nostro carattere possieda una parte positiva e una negativa: ecco, io intendo scinderle per studiarle separatamente. - si mantenne sul vago, pur cercando di essere esaustivo per non trovarsi costretto a dare altre risposte a riguardo.

- Molto interessante. Quando ha cominciato a lavorarci e a che punto sono i suoi studi? -

- Sono su questo progetto da quasi dieci anni ormai e penso di non essere troppo lontano dalla soluzione. -

In quel momento si udì un rumore provenire dalla porta, che subito dopo venne scardinata e spalancata. Un uomo alto, capelli brizzolati e occhi iniettati di sangue, entrò impugnando una pistola e sparò al giornalista, che cadde a terra, scioccato e dolorante con una mano sul fianco. Lo sconosciuto lo scavalcò e puntò l'arma contro lo scienziato.

- Tu, schifoso opportunista, dovevi proprio venire qui a New York e destare l'apprezzamento della comunità scientifica? Non potevi restare a Londra a fare le tue stupide ricerche? Ho investito la mia vita intera nello studio della bipolarità, ho seguito per anni i soggetti ricoverati in cliniche specializzate in infermità mentale e tu, adesso, arrivi da un altro continente ad oscurare il mio progetto? E dopo neanche un mese dal tuo arrivo, questo scriteriato ti chiede un intervista? -

In quel momento Henry volse lo sguardo al giornalista: si era rialzato e stava impugnando anch'egli una pistola, mentre con l'altra mano cercava di fermare l'emorragia. Fece fuoco sulla gamba del loro aggressore, che rantolò al suolo urlando di dolore. Dopo che Tiffany e Jekill lo ebbero immobilizzato, il dottore gli chiese da dove spuntasse quell'arma.

- Vede - spiegò l'altro - anche noi giornalisti abbiamo una concorrenza spietata: ogni caccia alla notizia qui a New York è una vera e propria guerra: non giro mai disarmato. -

Il dottor Jekill lo guardo strabiliato e se ne tornò a casa. Dopo qualche giorno dall'avvenimento, quando i controlli della polizia furono terminati e il caso archiviato, prese un aereo e ritornò nella sua calma Londra, senza traffico, sole o scienziati armati che si aggirano per la città.

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