Capitolo 1

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21 marzo 2035, Verona Viva, Italia.

«E lì non ci ho visto più: gli ho fatto un bel discorsetto con la morale di smetterla di fare il codardo e di dichiararsi a Carlo, dato che sapevo già quanto gli piaccia tanto. Poi gli ho augurato tutta la fortuna del mondo e me ne sono andata, lasciandolo lì» Sandra concluse di raccontare quanto accaduto il giorno prima con Ugo alla sua migliore amica Gherose, mentre stavano entrando all'Accademia di Belle Arti che frequentavano entrambe, anche se in corsi diversi, per un nuovo giorno di lezione.

«Uhm, io te l'avevo detto che quel tizio era solo un approfittatore. E, visto che l'avevi capito anche tu, a quanto pare, inizio a chiedermi perché ti sei sottoposta alla tortura di uscirci insieme» disse Gherose, per poi mettere in bocca una manciata di piccole patatine fritte preso dal pacchettino di patatine preconfezionate che teneva in mano.

Gherose era una ragazza che adorava mangiare le merendine più impensabili.
Era molto alta e aveva un fisico un po' curvy.
La giovane aveva dei lunghi capelli lisci e rossi che sormontavano i meravigliosi ed espressivi occhi verdi.

In realtà, Gherose era solo il suo cognome, il suo vero nome era Sasha - un nome che sua madre Cristina aveva deciso di darle alla nascita, in onore del personaggio Sasha Braus dell'opera di Hajime Isayama, da grande e pazza fan di manga e anime (in particolare di Attack on Titan) quale era -, ma sin da piccola Gherose riceveva spesso critiche pesanti per "un nome tanto strano", secondo gli altri coetanei. Perciò, per risolvere, chiarì a tutti di volersi far chiamare con il suo cognome, ovvero "Gherose", il quale da allora rimase il suo soprannome da parte di tutti - meno che per sua madre, ma dettagli...

Quel giorno Gherose non aveva fatto colazione per via del fatto che rischiava di fare tardi alla fermata dell'autobus che da Verona Area Vecchia, dove alloggiava, portava alla zona Verona Viva, dove, tra le tante cose, si trovava l'importante istituto, in cui frequentava il corso di "Arti grafiche, fumetto e manga".

Perciò aveva dovuto indossare velocemente una semplice maglietta rossa a mezza manica, un paio di leggings neri e le sue solite scarpe di ginnastica. Dopodiché prese con sé quel pacchetto di patatine fritte e si mise a mangiare quello spuntino durante la fine del tragitto, mentre ascoltava Sandra (la quale prendeva la stessa sua fermata ogni mattina) e i suoi "drammi comici d'amore", come li chiamava lei.

All'ultima domanda che aveva posto a Sandra, non ricevette una vera e propria risposta, ma più che altro un sorriso impassibile, piuttosto ambiguo.

Un'espressione che Gherose conosceva troppo bene: Sandra lo faceva quando non sapeva spiegare le relazioni che tentava di intrattenere in tutti i modi con le persone sbagliate.

Ogni volta che la migliore amica si comportava in quel modo, Gherose si preoccupava per lei.

«Sandra, quando la smetterai di fare la bambina? Hai vent'anni, ormai! Se esci con gente come Ugo e Company ti fai solo male, lo vuoi capire o no?!» sbraitò lei, rivolta all'altra ragazza.

Che cosa ha che non va, per non capirlo? pensò Gherose.

«Ma vale la pena provarci, no?» blaterò timidamente Sandra.

«Ma se sono delle cause perse...» Gherose stava continuando la frase, ma venne interrotta da qualcuno che, forse per sbaglio, sbatté ai fianchi di entrambe, facendole cadere rovinosamente a terra.

Ne conseguì un disastro: la borsa a tracolla di Sandra era caduta da un lato e, dato che era aperta, aveva rovesciato la maggior parte dei suoi libri del corso di Architettura per terra; all'altro lato, lo zainetto di Gherose per fortuna era rimasto sulle spalle della proprietaria, ma le patatine rimanenti nella bustina che la rossa aveva tenuto gelosamente per sé, erano finite tutte a terra, combinando il caos maggiore, dato che qualche briciola andò a finire pure tra i libri della sua amica.

«Oh cielo, sono molto desolato! Non volevo...» disse una voce maschile piuttosto delicata, che si era espressa in maniera mortificata.

Solo in quel momento le due studentesse misero a fuoco la situazione, supponendo che l'uomo che aveva appena proferito parola fosse il responsabile di quel piccolo incidente che, quasi sicuramente, le avrebbe fatte entrare in ritardo nella loro aula.

«No, ma tranquillo, che problemi ti fai» tuonò sarcastica Sandra, cercando di sistemare i libri e rimetterli nella propria borsa.

Gherose, dal canto suo, fulminò il colpevole che tremava ancora davanti a loro, con lo sguardo basso.

L'oggetto dei suoi occhi era un ragazzo molto basso (forse non arrivava nemmeno a un metro e cinquanta centimetri di altezza), dall'aspetto piuttosto gracilino.
Aveva dei strani capelli castani tenuti a caschetto che gli arrivavano fino alle spalle, oltre che dei dolci occhi color ambra.

«Senti, tu» Gherose riprese voce rivolgendosi allo sconosciuto  «Non so chi sei, ma la prossima volta che ci scontriamo, ti prego di non fare più questo casino. Guarda qua, ora come faccio con tutte queste patatine a terra?» sospirò, infine.

«Ah, quindi questa è la tua tecnica per approcciare con i ragazzi» se ne uscì fuori quello, iniziando a guardare la sua interlocutrice con un sorriso entusiasta.

«Eh? Io? Guarda che potrei dire lo stesso per te con le ragazze!» esclamò Gherose, arrosendo mentre lo guardava interdetta.

Si sentiva presa in giro all'improvviso.

«Io, comunque, mi chiamo Gabriel, piacere» si presentò lui, ignorando le congetture di Gherose e continuando a sorridere malizioso «E tu sei...?» chiese.

«Gherose, e la mia amica si chiama Sandra» rispose stizzita quella, distogliendo lo sguardo, orgogliosa.

«Anche se non capisco cosa significhi, hai un bel nome, Gherose. Spero di rivederti in giro presto sia a te, sia a Sara. Ora vado, sono piuttosto di fretta» chiarì lui per poi girare i tacchi e correre per la sua strada.

Sandra credette che il tipo avesse sbagliato il suo nome apposta. Quindi, non reagì alla frecciatina, mandandolo mentalmente a quel paese per la sua maleducazione.

«Wow, Gherose ha rimorchiato!» si intromise Carlo, il quale si trovava giusto dietro le loro spalle e, probabilmente, aveva visto e sentito tutta la scena.

«Ma quando mai: quello lì aveva qualche rotella fuori posto» spiegò saccente la diretta interessata.

«Non credo proprio, dato che è un mio compagno di studio e fin'ora mi è sembrato simpatico, peccato sia etero... Ci avrei fatto un pensierino» spiegò Carlo.

Carlo era un ragazzo con la battuta sempre pronta, oltre che bellissimo. Era molto alto e aveva  un corpo molto vigoroso. Teneva i lisci e corti capelli castani, che tanto odiava, piuttosto scompigliati - senza, però, coprire mai gli allegri occhi grigi come il mare in tempesta.  Frequentava il corso di studi di Musica e strumenti musicali dell'Accademia di Belle arti di Verona ed era abilissimo a suonare il pianoforte e la tastiera, anche se non disegnava anche gli altri strumenti.

«Scusate, tra cinque minuti dovremmo essere tutti nelle varie aule» rifletté ad alta voce Sandra, guardando l'orologio che aveva al polso.

«Bene, allora me ne vado anche io» annunciò Gherose visibilmente sollevata: quell'incontro inaspettato e la successiva conversazione con Carlo l'avevano messa stranamente in imbarazzo. Ed era una cosa che le succedeva molto raramente.

Salutò i due amici e si inoltrò nel corridoio.

Poco dopo anche Carlo, aggiungendo che non poteva fare troppo tardi perché nella prima ora di Flauto, avrebbe avuto un professore nuovo, fece lo stesso con Sandra.

Quest'ultima, rimasta sola con i propri pensieri, si avviò verso la sala di design urbano: la prima materia che avrebbe dovuto seguire quel giorno.

*

Sei ore più tardi, all'una del pomeriggio Sandra si ritrovò sull'autobus di ritorno verso Verona Area Vecchia.

Era molto stanca e tutta sudata sia per via della giornata impegnativa e del caldo, sia perché quel giorno si era messa in testa di vestirsi con un'altro completo di smoking a fantasie floreali e primaverili che era leggermente più pesante di quello che aveva messo il dì precedente e, tra l'altro, attirava calore per via del fatto che camicia e fondo del completo erano neri.

Diamine, sta mattina faceva più freschetto... imprecò tra sé stessa.

A differenza della mattina appena passata, Sandra non era in compagnia di facce conosciute durante il viaggio, dato che il suo gruppo di amici formato da Gherose, Carlo e Lucia (un'altra sua amica che, invece frequentava la facoltà di Lettere, recensioni ed elettronica all'Università veronese) avevano deciso di pranzare insieme al solito bar dove bazzicava anche Ugo.

La ragazza non voleva rischiare di incontrarlo dato l'ultimo trascorso, perciò aveva preferito tornare a casa prima e da sola.

Tuttavia se ne era quasi pentita, vedendo l'autobus quasi stra pieno e con l'unico posto libero che era quello di fianco al suo.

Prima che il conducente mise in moto, però, salì un ragazzo di origini afro con degli interessanti occhi azzurri. Vestiva elegantemente una bella camicia rosa a maniche corte e un paio di jeans neri e, nonostante sembrasse più grande di Sandra, portava anche lui con sé una borsa a tracolla grigia e identica a quella della studentessa.

È uno studente o un professore? Si domandò lei curiosa, guardandolo mentre nervoso si avvicinava sempre più per cercare posto.

Alla fine si fermò proprio di fianco al posto accanto al suo e con quella che le parve una misteriosa scintilla di felicità negli occhi, le chiese gentilmente «Ti darebbe fastidio se mi sedessi qui, vicino a te?»

«Assolutamente no, anzi, mi stavo annoiando» rispose quella che, con entusiasmo, indicò il cuscinetto del sedile per spingerlo a sedersi con lei in fretta, prima che qualcun'altro gli fregasse il posto.

E lui, recepito il messaggio, si accovacciò a lato della ventenne.

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Spazio autrice:
Chiedo scusa per possibili errori e incomprensioni lessicali, cercherò di risolvere il prima possibile!

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