Una nuova vita

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Roma, 7 luglio 2018

L'estate quell'anno era venuta particolarmente rovente, l'aveva detto il telegiornale: il clima era impazzito, quell'anno aveva addirittura nevicato alla fine di febbraio; nelle case si stava bene solo con i ventilatori e l'aria condizionata.
Maria Tindari, impiegata di banca sempre "in amore" per un uomo diverso, diceva sempre a sua figlia Irene di non stare troppo in mezzo alle correnti, perché non faceva bene al bambino in arrivo, che quando aspettava lei e sua sorella Sofia a queste cose ci stava attenta; quando sentiva queste affermazioni, Irene rideva di nascosto: quando sua madre aveva scoperto che era incinta aveva fatto fuoco e fiamme il giorno dei quadri di ammissione alla maturità, accusando lei e il fidanzato Youssef Beshir di essere due incoscienti.
Che poi Youssef non era nemmeno il padre del bimbo in arrivo: a dire la verità, il figlio dell'ambasciatore tunisino ci era entrato per caso in tutta quella storia, in un pomeriggio di maggio, in cui la pioggia scrosciante si mischiava con le lacrime di disperazione di una ragazza che aveva solo la colpa di aver amato molto un semisconosciuto e di non aver preteso da quest'ultimo niente, perché quel bambino voleva tenerlo e crescerlo da sola.
Youssef era nei sogni di Irene dal primo anno, da molto prima che trapelassero i suoi natali e tutte le ragazze del liceo lo corteggiassero per la sua posizione sociali: per questo motivo non s'era mai fatta avanti, nonostante Ester Gherardi, la sua migliore amica, la spingesse a buttarsi.
Era stato il destino a fare il resto: in un certo senso, sentiva addirittura di dover ringraziare l'austriaco Hans Fabricetti per averla messa incinta; le aveva fatto il regalo più bello della sua vita, o perlomeno uno dei più belli.

                                      ***

<< Sei sicuro che sia la cosa giusta da fare? >> domandò Irene, al telefono con Youssef.
Andava su e giù per la stanza che era stata sua e di Sofia, con lo smartphone poggiato sull'orecchio.
In sottofondo, la radio accesa sulla stazione RDS trasmetteva "Frasi a metà" di Laura Pausini:

Chiedimi scusa anche per quello che sono
Spostati almeno e non provarci mai più
Quando di nuovo provo a rimettermi in piedi
E tu che mi chiedi cosa mi resta di me
E cosa mi porta a sbatterti in faccia il dolore
Non c'era posto migliore

<< Perché non dovrebbe esserlo? Siamo due futuri genitori che vanno a fare un'ecografia, non c'è niente di strano... >> la tranquillizzò Beshir, ricordandole l'appuntamento fissato per quel pomeriggio con Lorena Dondi, la ginecologa che seguiva tutta la famiglia Tindari.
<< È che mi sento una bugiarda. Lo so che ti suona ridicolo, ma è quello che sento... >> commentò la Tindari, pensando al fatto che potesse emergere che il padre naturale del bambino fosse un altro: immaginava già il sorrisetto di compassione della ginecologa di sua madre, la quale avrebbe pensato che la storia si ripeteva; la stessa signora Tindari l'aveva pensato, fino a pochi giorni prima, e forse questa era la matrice della proverbiale insicurezza di sua figlia maggiore: anche troppi passi aveva fatto, per scrollarsi di dosso il peso del percepirsi come figlia di nessuno.
Nel frattempo, la canzone era arrivata al primo ritornello:

Sarà che hai preso tutto e l'hai buttato via
Qualsiasi cosa fu, qualunque cosa sia
Non ti accompagno più se non c'è più ragione
Si muore in mezzo a una frase o di frasi a metà

<< Hai paura che ti chieda di Hans? >> indovinò lui in tono comprensivo.
Al nome del ragazzo austriaco dello scambio culturale, lei si incupì: non era stato il classico stronzo che l'aveva abbandonata dopo averla lasciata incinta, anzi, l'amava e non aveva la più pallida idea di avere un figlio in arrivo; era stata Irene a non volerlo gravare di quella così grande responsabilità: non sapeva esattamente come si potesse comportare un padre, in fondo non ne aveva nemmeno avuto uno; sapeva solo che era diverso da quello di sua sorella.
<< Nel tempo si accorgerà che non è tuo figlio, mi guarderà come una puttana esattamente come ci ha guardato mia madre, e dedurrà che sono il prodotto della mia storia familiare... >> sospirò, buttandosi sul letto con lo smartphone in mano.
Seguì una pausa prima che Youssef rispondesse, colmata dalle parole della Pausini:

Chiudiamo le cose, veloce, che poco mi basta
La rabbia finisce all'arrivo
È il poco in valigia la cosa che resta
Q

uanta violenza hai sprecato in quel "lasciami andare"

Non c'era frase peggiore

<< Ire, tu non sei il prodotto della tua storia. Che, tra l'altro, è una bellissima storia: ingarbugliata, forse. Ma quante storie sono lineari, nel mondo? Tu sei tu. Ed è per questo che ti amo e amo il figlio che aspetti. Anzi, che aspettiamo >> disse a quel punto.
Le sue parole furono per la figlia maggiore di Maria Tindari come una scossa elettrica, che le diede nuova linfa vitale e le fece capire di non essere solo una ragazza madre e una figlia venuta per caso, ma una giovane donna amata da un altrettanto giovane uomo meraviglioso.
Perciò sorrise, rasserenata.
<< Ti amo anch'io. E non vedo l'ora che arrivi! >> concluse, mentre "Frasi a metà" si avviava verso l'ultimo ritornello:

Sarà che hai preso tutto e l'hai buttato via
Qualsiasi cosa fu, qualunque cosa sia
Ricordati di dirmi che va tutto bene
Si muore in mezzo a una frase o di frasi a metà

                                     ***

Il Policlinico Umberto I sembrava sciogliersi al sole, per tutto quel caldo: Irene si fermò a guardarlo, in piedi di fronte a quella storica struttura ospedaliera, con Youssef che la osservava sorridendo.
<< Allora, sei pronta? >> le fece, sussurrandole premurosamente la frase nell'orecchio.
Irene cercò istintivamente la sua mano, senza guardare. La prese e il suo cuore accelerò i battiti.
<< Sì, lo sono >> rispose, cosicché si incamminarono insieme dentro quell'ospedale dove erano successe molte cose quell'anno ad alcuni loro compagni di classe: Concetta Fabbri, grazie ad una cura sperimentale, aveva acquistato l'uso delle gambe mai avuto dalla nascita; Bianca Ventoni, la figlia dell'ex preside del liceo Leonardo Da Vinci, aveva perso la vita sotto i ferri durante un trapianto di midollo, riuscendo però ad insegnare cosa fosse l'amore ad Alberto Baldi, il figlio minore di Laura Castelli, la mitica prof che aveva insegnato a Irene, Youssef e a tutti i loro compagni a diventare adulti e a vivere.
<< Buongiorno, ragazzi! Siete qui per la visita? >> fece loro Gabriele Baldi, padre di Alberto e marito di Laura, nonché oncologo che pochi mesi prima aveva avuto in cura proprio Bianca.
<< Sì, esatto >> disse timidamente Irene. Vedendola insicura, Youssef le cinse le spalle con un braccio.
<< Lorena vi aspetta >> sorrise perciò Gabriele, riferendosi alla sua collega ginecologa, la dottoressa Dondi.
I due giovani lo guardarono, poi si scambiarono uno sguardo tra di loro e infine si diressero nello studio della ginecologa.

                                      ***

Lorena Dondi li attendeva nel suo studio; Irene l'aveva vista per la prima volta quando lei e Sofia erano piccole: lei e Maria Tindari erano amiche, forse a volte le consigliava di non essere troppo "in amore".
<< Buongiorno, ragazzi >> li salutò, facendoli accomodare.
<< Dottoressa Dondi... >> rispose la ragazza, con un velo d'imbarazzo.
Sapeva benissimo che la ginecologa era a conoscenza della vicenda, ma già temeva le battute sulla storia che si ripeteva, più in là nel tempo.
<< Siamo qui per l'ecografia! >> le fece coraggio Youssef, tenendole la mano.
La Tindari sorrise, rispondendo alla stretta.
<< Accomodatevi... >> disse loro la Dondi.
Beshir si sedette, mentre Irene andava a stendersi sul lettino, tirandosi su la maglietta: la gravidanza era di due mesi, ancora non si vedeva niente.
La Dondi si avvicinò alla strumentazione per l'esame radiologico, accese lo schermo dove sarebbe comparso il feto e cominciò ad applicare una crema traslucida sul ventre della diciannovenne; successivamente iniziò a passare la sonda lineare sull'addome, e contemporaneamente sullo schermo nero si stagliò un'immagine biancastra: era il bambino che si stava formando.
Irene ebbe un tuffo al cuore: non era ancora completo, ma già lo trovava bellissimo; Youssef si avvicinò a lei, altrettanto emozionato.
La Dondi notò che si era alzato.
<< Lei è il padre? >> gli chiese.
La Tindari sentì quella domanda arrivare come una doccia fredda: già immaginava il giudizio sarcastico della dottoressa.
<< Sì, sono il padre! >> la stupì il fidanzato.
Irene lo guardò sorridendo e sentendosi molto più tranquilla.
<< Allora sei molto coraggioso, anzi siete molto coraggiosi: oramai quasi nessuno diventa più genitore alla vostra età, e per questo vi faccio i miei complimenti e qualche avvertimento sul fatto che la strada sarà in salita >> dichiarò la ginecologa, facendo loro presente quello che li aspettava.
<< Lo sappiamo, dottoressa. Ma lo affronteremo, insieme >> rispose Youssef, guardando la fidanzata e il feto sullo schermo con amore.
<< Insieme >> confermò Irene.
Non c'era, né ci sarebbe stato mai bisogno di specificare chi fosse il padre naturale del bambino: la Tindari sapeva già che Beshir l'avrebbe amato come se fosse suo.

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