VIII

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Era l'11 di febbraio. Tutto taceva.

Clarice ormai non contava più i giorni, ma le ore e quasi i minuti che passavano senza nuove da Firenze. Temeva che il ritardo fosse dovuto a qualche incidente e la sua immaginazione ricamava sulle sue paure mettendole insieme quadri sempre più terribili. All'inizio aveva pensato a una caduta da cavallo, cose che possono capitare qua e là durante una giostra; poi, alla caduta si era aggiunta una ferita, magari una gamba o un braccio rotti, che necessitavano di cure; e ancora, forse la caduta era stata più grave del previsto, forse aveva perduto l'elmo e aveva picchiato la testa, o si era offeso il collo e non camminava più. Ora, a ben quattro giorni dal fatidico appuntamento con la giostra, Clarice era convinta che suo marito fosse rimasto sfigurato da un colpo al viso e che fosse lì lì per morire: nient'altro, a parer suo, avrebbe giustificato un silenzio così lungo se non la prudenza di evitare notizie affrettate e imprecise.

Era seduta su una seggiola che le sembrava fatta di pruni e spini. Faticava a trovarsi comoda e si muoveva di frequente; benché le labbra scandissero a mezza voce un salmo, la sua mente era da tutt'altra parte, vagava negli incubi. Se l'avessero interrogata su cosa, di preciso, stesse leggendo, non avrebbe saputo rispondere. Voltò una pagina. Ne voltò un'altra. E un'altra ancora.

A un tratto il suo sguardo si staccò dalla sottilissima pergamena del salterio e si elevò verso la finestra che stava alla sua sinistra. Prese un respiro profondo, ma l'aria fresca non fece che acuire l'emicrania che la torturava dal giorno prima. Si portò una mano sulla fronte e il libretto che teneva in grembo le scivolò, cadendo per terra. Chinandosi a raccoglierlo, Clarice si accorse dell'arrivo di del maestro di ballo: solitamente era contenta di dedicarsi alla danza, tanto più se sapeva, com'era capitato, che Francesco Tornabuoni avrebbe comunicato i suoi progressi al marito. Quel giorno, però, non sentiva alcuna voglia di ballare; avrebbe di gran lunga preferito restare in camera, seduta o inginocchiata davanti al crocifisso, e pregare per la buona salute di Lorenzo.

«Madonna, mi duole interrompervi, ma vostra madre insiste che veniate a lezione», le disse il giovanotto che da qualche mese le stava insegnando i nuovi passi in voga a Firenze. Si chiamava Angelo, era toscano, ma non fiorentino, ed era per di più un gran chiacchierone: le aveva già descritto nei dettagli gli abiti più belli di dame e signori nell'ultimo Carnevale cui aveva partecipato, gli accessori costosi e la bizzarria dei festeggiamenti; le aveva anche raccontato qualche aneddoto divertente, che le aveva subito dimostrato quanto i toscani potessero essere mordaci. Poi Maddalena li aveva colti a parlare troppo e a tralasciare le lezioni, così era intervenuta per sedare una confidenza che le pareva inopportuna. Ora Angelo si limitava a dire il necessario, a meno che non fosse certo che madonna Maddalena si trovasse altrove. Clarice, sospirando, si alzò e si avviò verso la sala da ballo.

Sua madre non era lontana, perciò Angelo era stato di poche parole. Mentre la figlia attendeva alla danza, lei si dava al ricamo. E ricamava un fazzoletto che Clarice avrebbe portato con sé a Firenze, perché, a differenza della ragazzina apprensiva, lei non mostrava impazienza di fronte al silenzio. Sapeva che Lorenzo stava bene, benone, e che il ritardo delle notizie andava addebitato al maltempo: se fosse successo qualcosa di grava, i portatori avrebbero avuto molta più fretta.

Mentre trafiggeva la sottile tela di lino con l'ago, una fantesca la raggiunse. «Madonna, ci sta messer Francesco de Firenze che ve vol parlare.»

La prontezza, l'agilità insospettabile con cui Maddalena balzò dallo scranno e si volse alla volta della porta non si potrebbero descrivere; si affrettò, con la sua andatura traballante, per accogliere l'ospite con le solite feste. Francesco attendeva nell'anticamera e si inchinò leggermente alla vista della matrona, che nel fisico tondetto sembrava incarnare la nobiltà e l'agiatezza della propria famiglia.

«Madonna, ho buone nuove da Firenze che daranno sicuro conforto a vostra figlia», esordì, e la sua voce giovane e squillante la riempì di gioia. Aprendo le mani e sollevando le braccia verso il cielo, esclamò: «Sia lodato il Cielo! Clarice, non sapete, è tre giorni ormai che non sorride più! Pare un'anima del Purgatorio, se ne va in giro con una faccetta smunta che non la si riconosce!»

Anche Maddalena sapeva essere piuttosto chiacchierina quando qualcosa le stava a cuore: se in quel momento tenesse alla salute di Lorenzo per affetto o per interesse non era dato sapere e Francesco si accontentò di prendere atto del fatto in sé. Ebbe tutto il tempo di notarlo, se non altro proprio perché Maddalena voleva che lo notasse. Usò talmente tanto fiato che il suo accompagnatore si stupì di come potesse camminare senza arrancare, ma per quanto la madonna si profondesse in alleluia e osanna per ringraziare il Signore, ciò risultò nulla in confronto agli occhi sbarrati di Clarice, quegli occhi verdi che saettarono su Francesco non appena questi comparve sulla soglia.

«Oh, messer Tornabuoni!» lo chiamò a mani giunte, d'un tratto spaventata dalla sua presenza perché finalmente avrebbe conosciuto la verità.

Non le lasciò il tempo di dire altro, esausto dopo gli sproloqui di sua madre. Semplicemente, sorrise, e da quel sorriso Clarice cominciò a ben sperare. «È andato tutto bene, vero? Lui sta bene?»

«Lui sta bene; ed ha avuto l'onore della giostra», rispose Francesco allargando le braccia.

«L'onore! L'onore! E ditemi, è stato tanto prode? Ha spezzato lance?»

«Certo, madonna mia! Mio zio Giovanni ha scritto che s'è portato come un novello Lancillotto e ha fatto orgogliosa tutta la brigata sua. Mi figuro Piero, come fosse contento d'un simile ragazzo. Eccovi la lettera, leggete.»

«Non lo dubito, messere, non lo dubito. Messer Angelo, m'è venuta una gran voglia di danzare, ora!»

E via una bella giravolta, e poi un'altra, scivolando senza imbarazzo sulle punte come una libellula che si posa sul pelo dell'acqua senza quasi bagnarsi, pronta subito a librarsi di nuovo in aria con un guizzo azzurro. E Clarice vestiva di azzurro quel giorno, e la seta della gonna mandava attorno i suoi riflessi di lapislazzulo. Angelo, che aveva ascoltato dal proprio posto a un canto della sala, si avvicinò preoccupato. «Madonna,» le disse, tenendo d'occhio Maddalena, «non esagerate! Il vostro mal di capo potrebbe costarvi una caduta...»

«M'è passato, giuro che m'è proprio passato a una così bella notizia! Vi prego, messer Francesco,» riprese, fermandosi d'un colpo e assorbendo il conseguente capogiro con una mano poggiata sulla fronte, «vi prego che glielo diciate, a mio marito messer Lorenzo, che m'avete dato un gran sollievo.»

«E aggiungeteci, già che vi metterete a scrivere,» si intromise Maddalena, prendendo Francesco sottobraccio con una confidenza che non si era mai permessa in precedenza, «che ora che la giostra è bella che passata, Sua Magnificenza può venire a visitarci, magari durante la Quaresima! Che dite? Non è il caso che venga a vederla, la mercanzia sua, prima che se la ritrovi per la casa?»

Clarice trattenne il respiro a sentire la propria madre compararla con una mercanzia. Ritrasse le mani al petto, abbassò svelta lo sguardo, ma subito qualcosa la fece rinvenire. Era un sentimento nuovo, che non aveva mai provato prima e cui avrebbe dato il nome di superbia, sbagliando: lo capì un attimo dopo, quando intese che la natura di quella scintilla non era negativa, ma l'opposto. Era amor proprio, ed era stato l'orgoglio, la felicità della bella notizia a suscitarglielo. Sua madre aveva preso l'abitudine a trattarla in modo mortificante in certe determinate situazioni; pure, ora si rendeva conto di non essere più sotto la sua tutela, ma sotto quella del marito. Le venne un'idea e, senza riflettere troppo, passò all'azione.

«Messer Francesco, vi devo chiedere un altro favore.»

«Dite, madonna.»

«Vorrei che scriviate a mio marito che scenda presto, perché devo riferirgli un gran segreto che mi sta molto caro e che non voglio rivelare a persona. Solo lui deve saperlo.»

Come aveva previsto, gli occhi di sua madre brillarono di curiosità e, come se non avesse sentito che quello che voleva sentire, Maddalena domandò: «Un segreto? Oh, figliola mia, e che segreto devi confidargli?»

Clarice serrò le labbra, quindi, sommessamente, ripeté che non avrebbe messo a parte nessuno di ciò di cui aveva urgenza di parlare con Lorenzo. Francesco assistette divertito al broncio della matrona Orsini, osservando al contempo una fermezza d'animo che non aveva avuto mai occasione di cogliere sul viso della cugina acquisita.

*

Lorenzo, come aveva temuto, non venne. Le rispose con una graziosa lettera formale, a cui lei replicò con una breve missiva volutamente un po' asciutta, per parere offesa. In realtà non era offesa, ma delusa; aveva sperato per un momento che l'avrebbe potuto vedere di nuovo, e parlargli, e questa volta senza la paura che qualcuno li scoprisse sul fatto e li facesse diventare lo zimbello della città.

Ora più che mai si sentì prigioniera del proprio palazzo. Per una giovane donna romana era disdicevole muoversi per le strade, soprattutto se sola, perciò le sue occasioni di uscire erano limitate all'indispensabile; il che significava solo la partecipazione alle funzioni religiose. Non si era mai accorta di quanto fosse piccolo il palazzo, di quanto potesse soffocarla talvolta. Forse era per questo motivo che Lorenzo non voleva scendere lungo l'Appennino per venire a trovarla: aveva paura di essere risucchiato dalla cupezza di un'architettura vecchia e grigia, mentre a Firenze, da come le avevano raccontato, era sempre primavera, e i giovani si incontravano a chiacchierare all'ombra di grandi alberi sempre carichi di foglie e di frutti, e il sole splendeva sempre...

Un sogno, questo era divenuta per lei Firenze. Lorenzo avrebbe portato Firenze da lei, se fosse venuto; ma non veniva. E Clarice si crogiolava nella disillusione.

Finché, un giorno, Francesco Tornabuoni venne a bussare al portone. Non era nulla di straordinario, poiché era ormai di casa, perciò Clarice sul momento non fece caso alla sua presenza più di quanto non facesse di solito. Poi, con una scusa, lui le si avvicinò e, di nascosto, le trasmise un piccolo foglio ripiegato e chiuso da un'anonima goccia di ceralacca, facendo cenno di non parlare.

Clarice la infilò nella piega della sua gonna rossa, un capo tutto nuovo realizzato apposta per quell'ultima Quaresima romana, e lasciò che sua madre continuasse a ripetere quanto era addolorata di non poter conoscere il genero prima che la figlia le fosse portata via.

«Vedete, madonna, messer Piero è malato e Lorenzo è il suo figliolo primogenito. Non può partirsi con il padre in simili condizioni.»

Ascoltò a malapena la giustificazione del Tornabuoni al mancato arrivo del giovane cugino, atteso per quei giorni. Teneva in mano il breve, lo stringeva come per intuire al solo tocco la natura e il contenuto di quel messaggio. Benché la sua ragione la frenasse dal pensiero che potesse arrivare da lui, il suo cuore ne era convinto e scalpitava nel suo petto, tanto era forte il desiderio di appartarsi per leggere. Perciò, dopo pochi minuti, Clarice si alzò. «Perdonatemi, messer Francesco, e perdonatemi, madre, ma credo che tornerò in camera. Sono un poco stracca...»

«Stracca? Ma abbiamo appena terminato il pranzo! Resta o il nostro ospite se ne risentirà!» vibrò la voce di Maddalena; prima che Clarice potesse insistere, Francesco, con un occhiolino ben camuffato, ribatté condiscendente: «Non fatevi un cruccio di me, madonna, perché la banca mi richiama indietro e devo congedarmi io stesso. Riposatevi e preparatevi alla Settimana Santa».

Come gli fu grata poté dirlo l'intenso sguardo con cui accompagnò il saluto. Si volse e, seguita da due serve poco più grandi di lei, Clarice imboccò il corridoio e con passo sempre più affrettato raggiunse la propria camera, in cui entrò sola. Finalmente sola.

Trasse la mano dalla gonna, la sollevò in alto perché i raggi del sole pomeridiano potessero illuminarla e confermarle che sì, era vero, era proprio una lettera, senza mittente né destinatario all'apparenza, senza sigilli sulla cera rossa che era gocciolata grossolanamente attorno al girolo di carta che faceva da chiusura. Non ebbe timore di strapparlo via, perché non significava nulla in sé, rimandava all'interno, al tesoro d'inchiostro che custodiva: lì giaceva la risposta alle mille domande.

Magnifica Clarice, cominciava così. E seguiva: mia cara consorte a Roma. Tolto ogni dubbio, il suo cuoricino scoppiò di gioia, le sue gambe cedettero sotto il suo peso e si ritrovò seduta sul letto, con il respiro corto e le lacrime a fior di ciglia. Perdonate il mio lungo silenzio, benché sia cosa molto riprovevole per un marito non indirizzare alla propria donna tutti i pensieri. Passata la giostra mi pregaste di venire e pur io anelavo rivedervi dopo tanta lontananza. Francesco m'ha scritto molto bene di voi e dei vostri progressi nel ballo, cosa che è molto lodevole, e più m'ha detto che siete bella e degna più d'ogni donna nell'Italia tutta. Vedete che il mio disiderio di congiungermi a voi è tanto grande per cagione vostra. La mia venuta è impossibile, ma non lo dite a vostra madre, che ne rimarrebbe male come presumo. Ho chiesto la licenza di venirvi a prendere, sì come sarebbe mia volontà fare, ma il padre mio, Piero, che vi tiene sempre vicina al cuore suo, non arrischia la mia partita. Verrà Giuliano, mio e vostro fratello, e vi condurrà costì dove v'aspetto.

Fate che nessuno legga codesta lettera poiché l'ho scritta per sotterfugio e non è bene che altri ne sappia. Credete che non v'ho dimenticato, che il ricordo è sempre con me.

Non altro per ora. Attendete a star sana e bella come siete. In Firenze die xxiii martii 1469

Obbediente per natura, e resa ancor più zelante dall'emozione, Clarice ripiegò il foglio e si affannò a trovare un luogo sicuro in cui riporla. L'occhio acuto di Maddalena avrebbe potuto scovarla dovunque: la cassapanca ai piedi del letto non era adatta a far da nascondiglio, perché le serve la aprivano e chiudevano ogni giorno più e più volte; l'armario, a propria volta, era troppo alla portata di mani estranee. Si volse al letto, ma anche in quel caso nulla le dava certezza. Poi alzò gli occhi: sopra la testiera pendeva un quadretto raffigurante la Madre con il Bambino. Era una tavola di dimensioni ridotte e sul fondo dorato risaltavano le due sante figure, ieratiche come si conviene alla divinità. Clarice fissò gli occhi su di essa, quindi, toltasi le scarpette, salì sulla pedana del letto e quindi sul materasso, scostò il quadro e vi sistemò dietro la lettera, badando a che non scivolasse giù una volta rimesso a posto il tutto.

«Custoditelo, Santa Vergine; a voi affido i miei segreti perché son segreti puri, senza malizia, e non vi farà dispiacere l'aver vicino a voi il nome che ora mi è più caro d'ogni altro», sussurrò, accarezzando il volto della donna velata, sebbene il suo sguardo inclinasse più al biasimo che alla complicità.



--------

Riporto qui la trascrizione di due lettere del buon Francesco Tornabuoni che mi sono state utili nella stesura di questo capitolo. La trascrizione è mia e potrebbero esserci errori o sviste, ma ci tengo a mostrare come veramente Clarice tenesse alle lettere che le giungevano da Firenze e quanto bene Francesco parlasse di lei al cugino Lorenzo.

+ Al nome di Dio addì IIII di gennaio 1468 (da intendersi 1469 per via del computo fiorentino, che faceva cominciare l'anno il 25 marzo e non il 1° gennaio) Magnifice vir e mi honorandissime. A giorni passati v'ho scripto e non ho vostra per questa per mancho a dire. E non mancha mai giorno che io non sia a vedere la vostra madonna Clarice, che mi si è inpegnata, che omgni giorno me ne pare meglio: lei, bella e piena di tutti i buoni chostumi e ha uno spirito mirabile. E sono circha viii giorni che ha inchominciato a imparare a balare, ch'omgni giorno ha inparato un ballo, che non li è prima mostro che l'ha inparato. Maestro Angiolo l'avea pregata che la dovesse scrivervii di sua mano e per niente non lo volea fare. Io l'ho tanto pregata che per amore mio disse essere chontenta farlo, ma [...] mi disse che voi dimostravi essere molto hochupato im questa giostra, che dipoi è venuto Dominino non ha avuto vostre lettere. Poi che voi non la potete vicitare con la persona, fatelo almancho con lettere spesso, che gliene date gran chonsolazione. E credete, voi avete la più dingna chonpangna d'Italia. Non achade dire altro, se non che sempre mi rachomando a Vostra Magnificenza e del'altri. Iddio la mantenga in filicità. Vostro Francesco di Filippo Tornabuoni in Roma.

+ Al nome di Dio addì xi di febraio 1468 (stesso discorso di prima). Mamgnifice vir e mi honorandissime. Questo dì c'è suto inteso di Giovanni Tornabuoni come aveti fatto la giostra e n'era uscito sano e con grandisimo honore Vostra Magnificentia, la qual chosa, subito l'abbi intesa, l'andai a dire ala vostra madonna Clarice e le portai una lettera di Giovanni, che non vi potrei dire la chonsolazione n'ebbe, che e' sono iiii giorni non s'è ralegrata se non oggi, perché stava chontinovamente in sospecto di Vostra Magnificentia per rispetto de la giostra. E anchora ha avuto un poco di doglia di testa e, subito intese questa nuova, li passò la doglia e stette alegra. E madonna Madalena non vi dicho nulla, che sarebbe inpossiile a dirlo con quanta consolazione e alegreza sta; che solo le resta ancor una chonsolazione, e questo ène che voi vengnate fin qua questa Quaresima; che dice che vuole che voi vegiate la vostra merchantia avanti l'abiate a casa, la quale ongni giorno megliora. In questa sia una lettera sua. Madonna Clarice non v'ha voluto scrivere: hami detto che io vi scriva per sua parte che v'ha da dire un grandissimo segreto e che non si fida di persona né lo vuol scrivere, perché dubita non ne fusse facto mal servigio. E in[...] vi chiama a più potere e dice: "ora s'è fatta la giostra non avrà più scusa da contare", e a Vostra Magnificentia si rachomanda e vi pregha la rachomandate al Mangnifico Piero e a madonna Contesina e a madonna Lucrezia e a la Biancha e ala Nannina e a Giuliano. Hieri levai panno pagonazo di Londra per una gonna ala romanescha perché questa Quaresima vuol madonna che la vada a la romanescha, che credo non vi starà punto male, e vuole andare vicitando tucti questi perdoni preghando Iddio per voi.

Per questa terra non si fa altro che dire de la gran magnificenza avete facto e masimo de la persona, che vi siate adoperato tanto dingnamente quanto sia posibile di dire e che giamai fu paladino facesse quello ha facto Vostra Mangnificentia; che ciascheduno se n'è ralegrato grandemente e masimo gli amici vostri. Anche Giovanfrancesco, figlio del marchese di Mantova, si racomanda a Vostra Magnificentia e per Dio se n'è molto ralegrato che ha avutone grandisima consolazione e scrivendomi s'è sempre parato a piaceri di Vostra Magnificentia.

Per questa non mancha de a dire, si non che sempre mi rachomando a Vostra Magnificentia. Che l'Altissimo Iddio di male guardi e conservi in filicità. Vostro Francesco di Filippo Tornabuoni in Roma.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro