Capitolo 2 ( Natalie )

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Avevo solo sei anni  quando successe l'evento che cambiò drasticamente la mia vita.

Mio padre usciva sempre la notte per andare nei locali notturni della città e fare sesso con le molte donne che usufruivano del suo corpo affascinante e muscoloso. Io crescevo sotto la tutela di mia madre che cercava di farmi vivere una vita felice senza traumi. Ma sapeva che era impossibile con un uomo come William Taylor: lui tornava a casa sempre ubriaco e drogato urlando contro Elena che cercava solo di farlo smettere poiché era padre e come tale doveva comportarsi. Le loro urla, mi ricordo bene, giungevano fino alla mia piccola cameretta. Era una stanza molto piccola con l'essenziale: c'era una piccola finestra che mostrava l'esterno della città e accanto un comò con un abat jour bianca e tre cassetti dove si trovavano i miei indumenti intimi; vi era un piccolo letto in legno e sul soffitto un lampadario che illuminava fiocamente la stanza. Quando succedeva ciò mi rintanavo sotto le coperte con le mani sulle orecchie cercando di non sentire la rabbia potente di mio padre che a volte fuoriusciva dal suo corpo schiaffeggiando e picchiando a sangue mia madre. Non era mai stato un matrimonio felice ma dettato dall'obbligo per la mia nascita. Mio padre dominava a casa nostra come un dittatore e noi avevamo paura di lui. Non potevamo denunciarlo perché all'epoca le donne non avevano nessun potere. Erano gli uomini a essere importanti in famiglia. Mia madre, per darmi almeno un minimo di istruzione, mi diede un insegnante privato. Imparavo ma non ero felice.

Il 30 marzo 1942 accadde ciò che io sperai mai potesse succedermi.

Avevo compiuto sei anni ed ero una bambina molto infelice e che non aveva amici se non un peluche particolare di un orsetto che mi era stato regalato da mia madre. Giocavo sempre e solo con lui il cui nome era Eddy. Mi ricordo che era notte fonda e mia madre stava dormendo quando sentii i passi giondolanti di mio padre. Era ubriaco e i brividi iniziarono a percorrere la mia spina dorsale come delle piccole formiche fastidiose mentre mi sentivo affannata. Il cuore batteva come un tamburo dentro la cassa toracica. Stava correndo anche lui. Mi rintanai sotto le coperte per nascondermi dalla sua furia. Ero terrorizzata. Si avvicinò alla mia cameretta e trattenni il respiro. Fingersi morta davanti a un leone era il miglior modo. I passi si fecero sempre più vicini. Sempre di più. Non dovevo piangere sennò avrebbe scoperto il mio piano. Scostò le coperte e parlò:

«Puttanella, so che sei ancora viva. Non mi inganni. Fai a vedere al tuo paparino il corpo.»

Le sue mani toccarono le mie gambe fino ad arrivare al mio sesso. Non gridai perché avrei solo peggiorato le cose. Mi abbassò le mutandine andandomi a toccare lì. Mi sentii violata. Giocò con le mie piccole labbra per poi andare a mordere l'inguine lasciandomi dei solchi violacei. Ero inerme tra le sue mani e braccia. Mi ritrovai quell'uomo addosso che iniziò a leccarmi e a baciarmi. Ingenuamente pensai che fosse una carezza innocente, ma le sue mani continuarono a toccare luoghi che non avevo mai conosciuto nemmeno io. Lui, per non farmi gridare, mi mise una mano sulla bocca mentre quello che doveva essere il suo membro entrò dentro di me con una violenza inaudita. Il dolore fu tale che io gli morsi la mano mentre calde lacrime scorrevano sulle mie guance ma a lui non sembrò importare. Gridava di piacere mentre io tremavo. Lui poi mi andò a toccare i capelli neri bagnati dal sudore per giocarci. Poi si spostò verso un mio gluteo per sculacciarmi. Gridai silenziosamente. La mia psiche era irremediabilmente devastata. Quando arrivò al suo culmine sentii qualcosa di strano riempire il mio corpo. Era un liquido caldo. Urlò come un mostro. Ciò fece svegliare mia madre che accorse immediatamente.

Quando vide tale scena, io svestita immobilizzata dalla paura e dallo shock con suo marito ancora sopra di me, la rabbia divampò con una tale irruenza che il suo timore verso di lui scomparve del tutto. Lo schiaffeggiò ripetutamente lasciandogli dei segni rossi sul volto ma lui, ancora piuttosto brillo, le prese il polso stringendoglielo con forza. Sentii mia madre gridare dal dolore mentre l'osso  si sgretolava:

«Se mi ritocchi di nuovo, stronzetta, non sarà solo il polso a rompersi, hai capito?»

Mia madre, terrorizzata dal suo stato, sentì la paura prendere possesso del suo corpo. Quando entrambi lasciarono la stanza io ero ancora spaventata. Sentivo dolori dappertutto in particolare verso quella zona che lui aveva violato con forza. Non riuscivo neanche a piangere. Non sapevo però che quello sarebbe stato solo l'inizio di una lunga serie di torture sempre più pesanti e distruttive. Pregavo ogni notte Dio che mi mandasse uno dei suoi angeli per salvarmi la vita: incredibilmente successe. Giunse così uno dei più belli. Elvis Aaron Presley.

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