La Rosa Nera - We Shall Overcome

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La Rosa Nera - We Shall Overcome

Scrisă de: melianta

Che lo meritiamo o meno, che questi si rivelino i giorni più bui delle nostre vite o la felicità più fulgida, siamo stati guidati dall'amore. Come possiamo sbagliare se siamo guidati dall'amore? - (Morgan Parker)

Birmingham, AL, 27 Agosto 1963

Non era ancora l'alba e il bus terminal era già in attività. I fari del pullman per Atlanta, fermo ad aspettare i primi viaggiatori, puntavano direttamente contro il viso fradicio di sudore di Brian che, a quell'ora della notte, era seduto su una delle panchine a fumare e a bere, buttando mozziconi a terra e cercando di non stordirsi.

L'estate era calda, un fuoco rovente che bruciava a temperature torride la voglia di vivere. L'umidità faceva risalire in superficie le emozioni che aveva cercato di reprimere per tutti quei mesi infernali come la calura del Sud, tormentati e pieni di fantasmi dai quali non riusciva a liberarsi.

Negli occhi, aveva ancora le immagini dell'ultima manifestazione di quella che veniva chiamata la Campagna di Birmingham e la folla di giovani negros, tra cui bambini reclutati dalle scuole, che, spinti violentemente contro le vetrate dei negozi e i muri degli edifici, subiva stoicamente i pesanti getti d'acqua che impedivano di muoversi.

La memoria, lasciata a briglie sciolte, spaziò verso le prime rappresaglie e l'incontro con uno scricciolo di donna dalla pelle color del cioccolato al latte; con determinazione lo sfidava senza paura e quegli occhi scuri ed espressivi lo venivano a trovare nei sogni, ogni notte.

Non riusciva più a dormire, da allora.

Non riusciva più a pensare.

Non riusciva più a vivere.

Stappò la piccola fiaschetta di metallo protetta dalla busta di carta e bevve un sorso di whisky. Non era ancora così ubriaco da non rendersi conto che stava aspettando dalla sera prima. Passava il tempo guardando come in un film le pochissime persone, per lo più bianchi, che si susseguivano. Difficilmente i negros si aggiravano nella stazione dei busses a quell'ora di notte, tantomeno da soli. La tensione a Birmingham era insopportabile, una miccia a cielo aperto, con la quale tutti convivevano continuamente.

Eppure non si sorprese quando voci alte e litigiose spuntarono all'improvviso. Si alzò barcollando, sistemando la fiaschetta, all'interno della busta, nella tasca posteriore dei pantaloni beige da civile. Aggirò il Greyhound parcheggiato e vide subito una negra dal volto familiare e occhi grandi e profondi che gli fecero saltare il cuore in gola e riportare, vivide alla memoria, brevi flash dei primi mesi di quel maledetto 1963. I sensi di colpa gli strinsero lo stomaco.

Era La Rosa Nera, così la chiamavano a Birmingham, una delle attiviste più conosciute e pericolose della città.

La ragazza stava litigando con l'anziano conducente in procinto di perdere la pazienza e chiamare la polizia.

Brian dovette recuperare la sua calma e un minimo di lucidità, per parlare e intervenire, prima che la situazione degenerasse. Prese il distintivo, per mostrarlo alla ragazza che subito si zittì e scivolò con lo sguardo da quel pezzo di metallo fino al suo viso bianco e sudato. Brian deglutì straziato.

«Hey, calma. Harper. Che succede?»

«Questa negra vuole viaggiare col levriero» l'autista indicò con un cenno del pollice alle sue spalle. Il poliziotto guardò di sfuggita il bus.

«Devo solo arrivare ad Atlanta e da lì ...»

«... per quella fottuta marcia a Washington!» la interruppe Harper parlandole sopra. L'uomo, poi, sputò a terra, vicino alla punta delle scarpe della ragazza e Brian assistette alla scena sbattendo le ciglia continuamente per restare attento e vigile, senza muovere un dito.

«Ok, facciamo così» e si maledisse per la bocca impastata dall'alcool e la pronuncia strascicata del Sud «Se l'accompagno io sotto osservazione fino ad Atlanta?»

Harper spalancò gli occhi dalla sorpresa.

«Edwards, che stai dicendo! La negra vuole andare a Washington, da quel King comunista e aizzatore di folle!»

«Sì, ho capito, e non possiamo impedirglielo» ribattè lui alzando le spalle, indolente. «Gli ordini sono stati chiari, i negri sono liberi di andare. Io la terrò solo d'occhio.»

«Io non voglio ...» provò a intervenire lei.

«Affare fatto, Harper?»

L'uomo, dubbioso e guardingo, annuì verso il poliziotto.

«Va bene ragazzo, partiamo tra una ventina di minuti. Ma tienimi lontano la negra dagli altri passeggeri. Questa cazzo di desegregazione degli autobus ancora non la digerisco.»

«Starò con lei, non è un problema.»

Brian indicò alla ragazza il portellone dove sistemare la piccola valigia, senza riuscire a guardarla in faccia, e la fece salire prima di lui, in un inquietante silenzio pesante.

Alzò lo sguardo, mentre lei saliva sul mezzo, e il suo sedere, fasciato da una gonna chiara e stretta, lunga fin poco sotto il ginocchio, gli si piazzò davanti, grosso e perfetto da posarci le mani. Immaginò l'incastro unico delle proprie dita bianche sulla pelle nera e il sangue gli ribollì nelle vene.+

Tastò nella tasca posteriore la sua fiaschetta, per assicurarsi di non averla persa, e cercò di sistemarsi la patta dei pantaloni di lino con vergogna.

2. A Chance is Gonna Come

Le prime luci dell'alba gli attraversarono la nebbia fitta che era calata sul suo cervello, portandolo indietro dal buco nero in cui era finito.

Brian socchiuse gli occhi, sorpreso di trovarsi all'interno di un bus. Il leggero dolore alle tempie gli ricordava solo che, ancora una volta, aveva bevuto più del necessario, dopo giorni in cui era riuscito a resistere. La fiaschetta sulla quale era seduto gli dava fastidio e si mosse irrequieto sul sedile, tanto da attirare l'attenzione di chi era al suo fianco.

Girò il capo alla sua destra, ammaliato da un profumo intenso e speziato che gli accendeva i sensi. La negra lo stava fissando senza fiatare, mentre il sole velocemente faceva capolino su nel cielo e illuminava il colore scuro della sua pelle attraverso il finestrino, rendendola bellissima, come una rosa nera che si dischiudeva al nuovo giorno. Mai soprannome fu più azzeccato.

Guardò l'orologio al polso: non era passata neanche un'ora da quando si erano messi in viaggio. Diede un'occhiata all'interno del mezzo, un'abitudine consolidata. I pochi bianchi presenti stavano godendosi il panorama, sventolandosi davanti la faccia accaldata il giornale del mattino.

Harper sfrecciava sicuro e veloce sulla statale vuota. Non erano previste fermate intermedie prima di Atlanta.

«Avevi detto che non avresti più bevuto» la ragazza allungò la mano, in una richiesta silenziosa di consegnarle il whisky.

Brian sospirò, si mosse qualche secondo per tirare fuori la fiaschetta, senza protestare. Prontamente, lei la nascose dentro la borsa. Le dita si sfiorarono regalandogli un brivido intenso. La mente, ancora mezza intorpidita dall'alcool e dalla nottata insonne, si tuffò nei ricordi di lenzuola sudate e intrecciate tra gambe avvinghiate l'una all'altra, odori intensi di umori e sudore acre che lo risvegliarono a poco a poco a una eccitazione che con lei non calava mai. Si portò le mani al pacco, per coprire l'evidenza di ciò che provava a chiunque fosse estraneo al loro mondo nascosto. Poi la guardò e le lesse in faccia gli stessi ricordi, la stessa voglia di perdersi; la luce che intravide negli occhi neri, il leggero respiro accelerato e la disperazione dei mesi passati, si riflettevano in quelle poche parole pronunciate e in un viso che per lui era un libro aperto e gli confermarono l'affinità che fin da subito avevano provato l'uno per l'altra e alla quale non riuscivano a rinunciare, nonostante ci avessero provato più volte.

«La butterò alla prima occasione.»

«Erano pochi sorsi ...»

«Non ti ho chiesto io di accompagnarmi, Brian» gli rispose a bassa voce infastidita, tornando poi a guardare verso il finestrino e il sole ormai alto.

Aveva ragione. Non era stato obbligato da nessuno a usare la scusa del distintivo per sederle accanto, come non era stato costretto a cercarla, mesi prima.

Era stata una sua fottuta scelta, stregato dalla forza che irradiava e non aveva mai trovato in nessun'altra donna. E gli eventi si erano succeduti così rapidamente da non rendersi conto in che pasticcio si era infilato. Non fino ad ora.

«Credevo che almeno tuo fratello fosse con te» e sospirò, capendo immediatamente come erano andate realmente le cose.

«La tua famiglia non lo sa ...»

«Non potevo dirglielo» gli confermò a bassa voce, più sofferente. «La manifestazione di maggio li ha spaventati a tal punto che volevano che mi ritirassi dalla SNCC.»

«Nevaeh ...» si passò la mano sulla faccia con una lentezza inaudita, mentre la testa pulsava della sensazione quasi fisica che tutto gli stesse sfuggendo dalle mani e non potesse porci rimedio.

I loro leggeri bisbigli non passarono inosservati. Qualche viso si girò dalla loro parte e, Brian, si accorse d'istinto della tensione che si stava accumulando tra i sedili, di quei sottili rumori che lo misero sull'attenti, della curiosità malsana che poteva essere a loro fatale. Allungò il collo e incrociò lo sguardo di Harper nel grande specchio retrovisore. Le domande erano tutte scritte lì, nelle rughe più accentuate sulla fronte del vecchio che aveva occhi per guardare e una profonda coscienza confederata.

I sensi di colpa si acutizzarono: ormai mentiva per qualsiasi cosa e a chiunque. Harper, per esempio, lo conosceva da sempre. Mentiva a lui, ai genitori, ai colleghi, agli amici; viveva ormai in una bugia e il terrore di essere scoperto.

Paradossalmente, Nevaeh non gli aveva mai chiesto nulla, non lo aveva costretto a fare nulla e prendeva quello che lui le dava senza pretendere niente in cambio. Lei era più consapevole della realtà della loro situazione, eppure accettava quel poco che lui riusciva a darle, senza lamentarsi mai.

Provò a chiudere gli occhi per interrompere quel continuo rimuginare che era solo tortura e si addormentò di botto.

Il tempo passò velocemente. Quando si svegliò, ormai arrivati a destinazione, credette di aver dormito giusto cinque minuti, per la stanchezza e l'intorpidimento che si sentiva addosso. E forse era davvero così.

Atlanta era in fermento. Il terminal conteneva già un gran numero di persone che si raggruppava vicino a vari autobus adibiti per il viaggio verso Washington. Brian scese dal mezzo e non potè non notare la vivacità e l'eccitazione che imperversava, catapultandolo così in un'atmosfera a lui estranea. Il dispiegamento di forze dell'ordine era numeroso e controllava che tutto filasse liscio. Sapeva che avrebbero colpito con violenza, se solo avessero avuto la più piccola motivazione.

Si attardò a osservare un gruppo di gente mista che saliva, ridendo, su uno dei mezzi. Harper non lo perdeva di vista.

Nevaeh, davanti a lui con la valigia trattenuta nella mano sinistra, salutò qualcuno poco lontano. Brian era confuso: per la prima volta la conosceva in un contesto al di fuori del loro. E le sembrava perfetta dov'era, una rosa nera nel suo habitat naturale. Lui no, lui era un infiltrato in un ambiente che non gli era per niente congeniale.

Guardò Harper che stava fumando una sigaretta, prima di ripartire. Le domande erano ancora intrecciate in quelle rughe profonde ed erano senza risposta.

Il poliziotto non sapeva che fare. La ragione gli diceva di tornare indietro: aveva adempito al suo compito. L'ideale era continuare la sua doppia vita, se fosse stato ancora possibile. Ma, quando incrociò lo sguardo di Nevaeh, le sue labili certezze ricominciarono a vacillare pericolosamente. Cercò la sua fiaschetta, ricordandosi troppo tardi che lei l'aveva già buttata.

«Devo andare.»

«Certo» mormorò a bassa voce, vedendo l'espressione della ragazza cambiare lentamente in una profonda delusione. «Dove?» chiese incuriosito e agitato. Voleva trattenerla ancora lì, con sé.

«Assieme a Wes guidiamo un gruppo di studenti che marceranno per la libertà e il loro futuro lavorativo.»

Glielo indicò alle sue spalle, poco lontano da loro. Brian gli diede un'occhiata veloce: un ragazzo negro la stava chiamando a gran voce e strinse i pugni infastidito. Alle proprie, di spalle, Harper stava facendo altrettanto con lui.

Nevaeh intanto provava a sorridere e la stessa indecisione che aveva lui era anche in lei. Lo sguardo che gli ricambiava era una domanda non espressa a voce. Per quanto non pretendesse nulla, la richiesta silenziosa aleggiava tra di loro, un'ennesima scelta che lui avrebbe dovuto considerare e in fretta. La sua rosa nera aveva petali vellutati e un profumo esotico. Aveva spine piccole e taglienti col compito di riportarlo alla cruda realtà.

Le guardò le labbra socchiuse e carnose, morbide e scure come i petali di quella rara rosa che era solo sua. Avrebbe voluto sbatterla da qualche parte e prenderla in quel momento, dimenticandosi che, per legge, la loro relazione era vietata.

«Addio Brian.»

«Aspetta» le prese il braccio con una mano, stringendo appena le dita.

Nevaeh era rassegnata. Lo capì in quel momento: forse lei non sarebbe neanche più tornata e se l'avesse rivista a Birmingham non sarebbe più stata la stessa cosa. Stava andando a Washington, verso la libertà, in un posto dove avrebbe potuto fare qualcosa di più che nascondersi per viverlo e vivere la sua natura di donna nera e attivista.

Non la trattenne. Lei gli scivolò lontano e la vide allontanarsi senza voltarsi indietro, verso il negro sorridente che la stava aspettando. Gli lesse addosso la voglia di scoparsela e una nuova consapevolezza gli provocò la violenta intenzione di colpire Wes in pieno volto e togliergli quella soddisfazione sul muso da scimmia che quel bastardo si ritrovava.

Harper arrivò a urlare furioso il suo nome, per richiamarlo indietro.

Era disperatamente combattuto. E cedette.

3. We Shall Overcome

La black music riempiva l'intero autobus e la gente cantava brani soul, r&b e gospel senza trattenersi, negri e bianchi, in un unico coro coeso e pieno di aspettative. Brian scoprì fin da subito che molte di quelle canzoni venivano utilizzate per la causa e durante tutto il viaggio, aiutato da Nevaeh, imparava a comprendere un mondo che gli avevano insegnato a odiare.2

La maggior parte della gente si era mischiata tra loro, per mostrarsi a un cameran di una équipe assunta direttamente dal Governo, che passava lungo il corridoio e aveva il compito di documentare tutto quello che avveniva.

Brian, come molti altri, si era seduto vicino a una negra. La sua negra.

Fu accolto da tutti con una pacca sulla spalla che solo gli amici si scambiavano, senza alcun giudizio.

Non potè, però, evitare di venire ripreso dalla cinepresa, con accanto una Nevaeh radiosa come non l'aveva mai vista, ma il danno ormai era fatto: sotto lo sguardo sconvolto di Harper, solo poche ore prima, Brian le era corso dietro per paura di perderla definitivamente e si era infilato nel bus dando le spalle a tutto un mondo che conosceva, tradendo le proprie origini e gli insegnamenti ricevuti. Un punto di non ritorno.

Washington, la mattina del 28 agosto, era un via vai di gente che, dalle fermate degli autobus e dalle stazioni dei treni, si infilava in Contistution Avenue per raggiungere l'obelisco, il Washington Monument, il ritrovo di centinaia di migliaia di persone, già attrezzate di cartelli e cappelli della UAW distribuite su busses e treni.

L'inizio della marcia era programmato per le dieci del mattino. Il governo americano, da parecchio tempo, era preoccupato di ciò che poteva accadere e l'organizzazione doveva essere ineccepibile.

In molti avevano dormito in viaggio, per arrivare in tempo. Brian aveva abbracciato Nevaeh che si era addormentata sul suo petto. E per la prima volta, da quando si frequentavano, avevano dormito insieme senza preoccuparsi di niente. Il primo sonno tranquillo dall'inizio dell'anno.

Tante cose non si spiegava da quando era partito da Birmingham, come quella sensazione di essere parte di qualcosa di più grande di lui da condividere con l'unica persona che mai si sarebbe aspettato di avere al suo fianco.

Cercò la mano di Nevaeh e la trovò. La strinse forte e lei ricambiò con la stessa intensità. Non avevano bisogno di parlare, si capivano con poco. Poteva emozionarsi un uomo come lui? Poteva sentire, addirittura, il bisogno di piangere? Gli si aprì davanti un mondo nuovo alla gente che non smetteva di cantare "Black and white togheter", di sorridere e di nutrire la speranza che quella giornata cambiasse la loro storia e quella dell'America, grazie ai leaders politici del Movimento dei Diritti Civili e in particolar modo il Reverendo King.

Attorniato da una manifestazione pacifica, che non stava dando nessun problema a livello di sicurezza, Brian marciò prima timidamente e impressionato da quella passione, poi sempre più sicuro, fino ad arrivare a cantare assieme a tutti gli altri. La voce di Nevaeh sovrastava tutto il coro, mettendoci tutta se stessa negli slogan, mentre stringeva la sua mano per non permettergli di lasciarla. Brian era sicuro che per lei quella condivisione fosse un miracolo del cielo.

Arrivarono di fronte al Lincoln Memorial e Martin Luther King era lì, davanti a un mare sterminato di persone di ogni colore, piccolo da quella distanza, ma carismatico, tanto da riuscire a catturare i cuori di tutti.

«[...] Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà.»

«Amen!» la folla elevò le sue preghiere interrompendo di tanto in tanto il reverendo. Brian annuì e avvolse le spalle di Nevaeh in un abbraccio che l'avvicinò di più a sé.

«E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro.»

«Lodato sia il Signore!» le loro voci si unirono a quelle di tutti gli altri, forti e vibranti.

«[...] ritornate in Alabama; [...] ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.»

Brian e Nevaeh si guardarono in mezzo alla folla che continuava a urlare lodi al Signore. Lui si perse nel suo sguardo emozionato e posò le labbra sulle sue, atto finale di un cambiamento che da tempo, ormai, esigeva un nuovo inizio atteso e inevitabile.

«Io ho davanti a me un sogno, che un giorno [...] i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.»

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