Il battesimo del myrmidon

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I piedi di metallo picchiavano il terreno con ferocia. Uno dietro l'altro, come martelli, suonavano il tamburo del mondo con rabbia ottusa. Il fragore del ferro contro ferro e del ferro contro il suolo erano una cantilena assordante e ossessiva.

"Non dovresti correre così."

La voce di Francine arrivava metallica tramite l'ottoniera. L'ottoniera era un affascinante strumento inventato da un italiano alcuni anni prima, che gli scienziati francesi avevano installato sui myrmidon. Era formata da una serie di piastre, in ottone appunto, sensibili a certe radiazioni. Finché due ottoniere venivano tenute a una distanzia inferiore ad alcune decine di metri una poteva riprodurre con una certa fedeltà i suoni che avvenivano accanto all'altra.

"Se non lo spingo non raccoglierò mai i dati che mi interessano." brontolò Valerius, aumentando ancora la potenza. A un certo punto la sua macchina mise piede su un tratto di terreno più cedevole e rischiò di cadere. Subito i giroscopi secondari entrarono in azione, dettando alle articolazioni i movimenti per ristabilire il baricentro.

"Io di certo non raccoglierò la carcassa di quel coso."

L'Orleans avanzava con passo tranquillo. Non aveva, nemmeno volendo, grosse capacità di corsa. Né la sua spada né il suo fucile, dopotutto, ne avrebbero giovato. La sua forma elegante, poi, incedendo lenta, incuteva persino più timore.

La macchina in cui si trovava Valerius invece era il contrario: in essa era incorporato il motore Zeddai Mark III, la versione riveduta di quello dell'elegante macellaio. Aveva l'anima di una locomotiva e il cuore di un bufalo. Il ragazzo rimise la macchina alla massima potenza e percorse un altro lungo tratto di prateria, poi frenò bruscamente. I giroscopi fecero gli straordinari per impedire al gigante di crollare, lui fu sballottato in malomodo nell'abitacolo, la pesante maschera di metallo sul suo volto fece cigolare i supporti a cui era agganciata mentre gli faceva girare la testa di lato.

"Io non ho bisogno di raccogliere dati" diceva intanto petulante Francine "torno alla base."

Valerius era così immerso nelle sue valutazioni che non avrebbe saputo dire se la salutò o meno. Continuò a forzare il suo myrmidon ancora per più di un'ora, finché le sue gambe non furono entrambe prese da crampi e, in un modo o nell'altro, fu costretto a trascinarsi nuovamente al hangar.

Uscendo dall'abitacolo gli venne incontro un ragazzo sui 15 anni con in mano un bicchiere d'acqua.

"Madamoiselle Santaroche è passata qua davanti ormai mezz'ora fa" lo avvertì "ha rivolto verso la sua persona diverse valutazioni... colorite in modo imbarazzante."

Valerius bevve piano "Un giorno, Germaine, scopriremo perché si fa chiamare Immacolata. Ma non oggi."

Il ragazzo rise, trattenuto solo dal grado di Francine e dal rispetto che doveva portarle. Poi alzò gli occhi sul myrmidon, avvolto in una sottile nuvola di vapore, ancora caldo. "Com'è, mastro Demoire?"

Valerius arricciò il naso. Germaine pronunciava il suo nome "demuà". Non si sarebbe mai abituato né a quello né a farsi chiamare mastro. "E' come me l'aspettavo... per ora."

"Spero abbia riflettuto sulla faccenda di battezzarlo. Per ora è una fila di lettere e numeri, ma non può assolutamente scendere in battaglia così. Anche il caporale Salopette lo pensa."

Valerius finì il bicchiere d'acqua, sempre lentamente, poi si lasciò scivolare seduto a terra, slacciandosi intanto il corpetto della tuta da pilota. "Hai tre anni meno di me Germaine, perché ti rivolgi a me sempre come a un vecchio?"

"Oh, mastro Demoire, io tra tre anni non sarò certo arrivato dove è arrivato lei!"

Valerius ridacchiò. "Che notevole fortuna..."

"Quindi? Ha un nome?"

Il ragazzo appoggiò una mano sulla gamba di metallo del myrmidon e la accarezzò come fosse morbido pelo. "Ho decido di chiamarlo Danse Macabre."

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