30. Andrew: devo presentarvi una persona

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«Mamma, papà, posso chiedervi una cosa?»

I miei genitori erano appena tornati dal lavoro; erano le dieci e mezza, stavano mangiando un panino ed ero certo che in pochi minuti sarebbero andati a dormire.

«Certo» mia madre mi rivolse un sorriso stanco, appoggiandosi contro al bancone di pietra della cucina.

«Ho bisogno di parlarvi di una cosa importante, e di presentarvi una persona... potete per una sera tornare a casa per cena?» lo dissi tutto d'un fiato, per paura di perdere coraggio.

I miei genitori furono sorpresi, ma non rifiutarono. Decidemmo per sabato sera alle sette, in seguito mi dileguai in camera mia.

***

Dire che fossi agitato non avrebbe reso l'idea. Sentivo che tutta la mia vita sarebbe cambiata in base all'esito di quella sera; quello che sarebbe accaduto avrebbe influenzato il mio futuro. Era un punto di non ritorno ed ero terrorizzato a dir poco. Speravo che i miei genitori fossero comprensivi, ma non potevo esserne certo.

Eravamo sempre stati una bella famiglia, unita, ma in qualche modo spezzata. Separata dalla malattia di mamma, dalle sue crisi, dalla mia distanza a causa di questo. Il mio atteggiamento non era altro che un'arma di difesa contro la gente, contro il dolore. Non volevo mostrarmi debole, non volevo che qualcuno sapesse del bambino che ero stato, l'infante che si nascondeva sotto le coperte, le lacrime ad ostruirgli la gola, il cuscino premuto sulle orecchie per non sentire le grida di sua madre. Il bambino che la mattina fingeva di aver dormito tutto il tempo e di non aver assistito a nulla, solo per non dare altri pensieri ai propri genitori.

Non volevo che si sapesse che la mia vita non era perfetta. Liam era stato il primo a sapere la verità, l'unico a cui avevo avuto il coraggio di rivelarla.

E i miei genitori, per quanto mi volessero bene, non avevano mai provato a sfondare le mie difese. Si erano fatti indietro, rassegnati, sperando di fare la cosa giusta. Non li incolpavo, era stata colpa mia. Fin da bambino mi ero assunto la responsabilità di proteggere i miei genitori, ma facendo attenzione a fingere che fosse il contrario.

Sì, risultavo spesso stronzo. Mi ero reso conto da poco di quanto mi fossi calato nella parte, senza più ascoltare i sentimenti. Usavo le ragazze per divertimento, oltre che per nascondere a me stesso - che lo sapessi da sempre, dentro di me? - e a tutti gli altri di essere gay. Facevo risse senza un motivo, in quel momento ricordai quando spezzai il braccio al mio stupido rivale.

Una volta ritenevo tutte quelle sciocchezze alla base della mia vita. Ma ora per me non avevano più importanza. Solo il basket era rimasto una costante, ma tutto il resto era cambiato, l'avevo eliminato senza pensarci e senza pentirmene.

Ora contava solo Liam. Solamente lui. Il mio Liam, che avevo ferito ingiustamente, che avevo scacciato più e più volte, ma alla fine lui tornava da me. Lui era fatto così, troppo buono per portare rancore, troppo gentile per tenere il broncio o voltare le spalle alle poche persone a cui teneva. All'unica persona a cui teneva. Cioè io.

Mi resi conto di avere un'enorme responsabilità nei suoi confronti, Liam aveva solo me. E mi aveva confidato che quando non stavamo insieme Billy tornava, a rovinare e incasinare tutto, a indebolirlo, a confonderlo.

Mi ripromisi di non fare più cazzate. Di rimanergli accanto a qualsiasi costo. Tenevo a Liam, ed era il momento di dimostrarlo una volta per tutte.

Sospirai, guardandomi allo specchio e incontrando i miei occhi verdi. Sfiorai con una mano i capelli, avevo finito di sistemarli da a malapena mezz'ora ma erano già disordinati. Se c'era una cosa a cui tenevo era la mia capigliatura, perciò mi misi subito a pettinarli come volevo.

Alla fine mi decisi ad abbottonare quasi completamente la camicia bianca per fingere di mantenere un certo contegno.

La suoneria del telefono mi riscosse dai miei pensieri, lo afferrai, sapevo già chi era.

Liam era fuori, ma si vergognava di entrare solo, o di bussare, o suonare il campanello. Sorrisi, quella sua caratteristica lo rendeva ancora più tenero.

Scesi e gli andai incontro, accogliendolo tra le mie braccia in ciò che sarebbe potuto essere scambiato come un abbraccio amichevole. Liam sorrise esitante, avrei voluto prenderlo per mano, ma non potevo, non ancora. Volevo che i miei genitori capissero poco per volta, prima di dargli la notizia.

Forse stavo cercando di capire se avrebbero colto gli sguardi fugaci, l'amore che ci comunicavamo nei gesti.

«Mamma, papà» esordii entrando in casa, «Lui è Liam».

I miei genitori si mostrarono sorpresi ma educati. Forse si erano aspettati una ragazza.

«Eri tu che venivi a fare visita ad Andrew in ospedale dopo l'incidente, giusto?» domandò mio padre.

Liam confermò con un cenno del capo, per poi sorridere cercando di fare sembrare normale il fatto che non avesse ancora aperto bocca.

I miei genitori non fecero ulteriori domande, andarono in cucina a finire di preparare, così io condussi Liam nel salotto. Lo feci sedere sul comodo divano in pelle nera e presi il controller posato sul tavolino di vetro davanti a noi. «Giochiamo?» proposi allegro.

Liam accettò subito, e mi stracciò senza quasi difficoltà. Mentre gongolava silenziosamente, mia madre annunciò che la cena era pronta.

Ci sedemmo uno accanto all'altro, Liam alla mia sinistra. Posai una mano sulla sua coscia, con discrezione, per calmarlo. Non osavo immaginare quanto quella situazione lo mettesse a disagio, ma ero felice che fosse con me. Avrei tratto coraggio da lui, per dire finalmente la verità.

Cominciammo a mangiare, silenziosamente, l'unico rumore era causato dalle posate che tintinnavano a contatto con la ceramica.

Dopo qualche minuto, dato che i miei genitori non avevano più chiesto nulla, e che anzi non si erano minimamente accorti di ciò che c'era tra me e Liam, senza preavviso, lo dissi.

«Sono gay».

Due parole, ma che ebbero il potere di scioccare tutti i presenti.

Mia madre lasciò cadere le posate, la bocca aperta, gli occhi spalancati.

Mio padre si immobilizzò, il boccone a pochi centimetri dalla bocca, e si voltò di scatto verso di me.

Liam ebbe la reazione più scioccante di tutte: si alzò, all'improvviso pallido, mormorando qualcosa di inafferrabile, affondò una mano tra i capelli e scosse la testa.

«Liam...» mi alzai, gli presi un polso. Immaginavo già che cosa gli stesse capitando.

«B-Billy, basta...» supplicò difatti lui con le lacrime agli occhi.

Lo abbracciai, lo strinsi a me, accogliendo il suo corpo tremante tra le mie braccia. Gli posai un bacio sulla tempia e continuai a coccolarlo in silenzio, per lasciargli il tempo di tornare in sé.

Passarono alcuni minuti, e piano piano Liam si calmò. La prima cosa che fece fu voltarsi verso i miei genitori, che ci fissavano. Ma non erano più sconvolti. E non erano neanche arrabbiati, o tristi.

No. Sorridevano.

Sorrisi anch'io, accarezzai una guancia di Liam per fargli capire che andava tutto bene.

I miei genitori vennero ad abbracciarci, entrambi.

«Se voi siete felici, lo siamo anche noi» dichiarò mio padre.

E allora capii che erano finalmente riusciti ad abbattere le mie difese e a vedere il vero me.

Angolino autrice

Tutto è andato per il meglio! Ma la storia non è finita, e le cose non possono che peggiorare... Anche perché, ora è il momento di dirlo a tutti! Come reagiranno secondo voi?

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